giovedì 3 settembre 2015

Dignità

La casa in fiamme. L'incendio, divampato al pianterreno in un magazzino di vernici, aveva già conquistato il secondo piano dello stabile. I pompieri lavoravano senza sosta con gli idranti e con le lunghe scale per salvare, attraverso le finestre, gli inquilini bloccati nelle stanze. Urla laceranti di donne e pianti di bimbi s'innestavano via via nel rombo dei motori delle pompe e nel crepitare del fuoco.
Dall'alto della sua scala il pompiere Anderlini si affacciò a una finestra del quarto piano: «Venga» gridò, «venga che la porto giù». Il vecchio, forse ottuagenario, rimaneva immobile al centro della stanza, la camera da pranzo. Avvolto dal fumo che mangiava i contorni di tutte le cose, era in piedi a fianco del tavolo, con una mano posata sul piano, l'altro braccio disteso lungo il fianco: sembrava in posa per una fotografia dell'Ottocento, con i baffi lunghi, gli occhi fissi. «Venga avanti, si appoggi al davanzale, così la carico su una spalla e scendiamo» l'invitò ancora il pompiere. Il vecchio fece un passo avanti: un passo incerto. «Sono un colonnello» disse con voce stentorea, ma si interruppe scosso da un accesso di tosse per l'asprezza dell'aria ormai irrespirabile. Poi riprese: «non ho bisogno di essere portato a spalle, io» e decisamente avanzò fino alla finestra facendo largo con una mano perchè il pompiere si scansasse. Si mise di sbieco, sollevò una gamba per farla arrivare al davanzale, ma stentava a riuscirci e il pompiere allungò una mano per aiutarlo a sollevarla. Con molta fatica la manovra approdò: seduto sul davanzale il colonnello riuscì a tirar su anche l'altra gamba e si girò verso l'esterno. Dondolava la testa in segno positivo, per dire con orgoglio che ce l'aveva fatta, era già pronto per la discesa. Posò un piede sul primo gradino, poi l'altro sul secondo, sempre sorretto dalle mani del pompiere. A metà discesa ebbe un moto di liberazione per togliersi di torno le braccia soccorritrici. «So scendere da solo» disse. Gli tremavano le mani e i piedi, tuttavia scendeva, ora preceduto dal pompiere che stava pronto per afferrarlo. Due minuti ancora e poi era a terra, annerito dal fumo, con gli occhi sbarrati, scintillanti. «Ero negli alpini, io: un colonnello degli alpini», disse.

L'albero di cuccagna. C'era la fiera nel villaggio collinare. La piazza era gremita di bancarelle e dietro la chiesa, nel campo di calcio, si alzava un alto palo alla cui sommità erano attaccati, a grappolo, i più svariati oggetti: dal salame al copertone di bicicletta, dal fiasco di vino al barattolo di conserva. Era l'albero di cuccagna: i premi appesi sarebbero andati a chi li avesse raggiunti per primo dopo essersi arrampicato lungo la superficie liscia e insaponata. La gara, aperta a tutti, si sarebbe svolta nel pomeriggio. La gente faceva pronostici: «Vincerà Domenico, il garzone del fornaio». «No, vincerà Luigino, il figlio di Battista». Nel gruppo s'alzò una voce: «Ve lo dico io chi vincerà: il pompiere Anderlini che oggi deve venire dalla città a trovare la famiglia qui in villeggiatura, più agile di un pompiere non c'è nessuno».
Nel pomeriggio la folla si accalcò intorno al palo e la gara ebbe inizio, ma nessuno riusciva ad andare oltre la metà della salita. Le risate nascevano dalla folla a ondate, ogniqualvolta il concorrente di turno all'assalto della cuccagna scivolava perdendo la quota conquistata a costo di tanta fatica. A un tratto un giovane gridò: «Sta arrivando il pompiere». Tutti si voltarono verso la strada e videro Anderlini che veniva avanti lentamente assieme alla moglie e alla bambina; vestiva in borghese, un abito grigio con camicia bianca e scarpe di camoscio, e guardava incuriosito verso il palo. Uno gridò: «Vieni giù Michele, che adesso il pompiere ti fa vedere come si fa ad arrivare in cima». Il pompiere si voltò di scatto a guardare quello che aveva parlato. Gli puntò addosso due occhi fissi e freddi e così glieli tenne a lungo. Tutta la gente tacque e guardò il pompiere che continuava a fissare l'altro. Sembrava che stesse per partire un gesto d'ira, un gesto violento. Infine disse, lentamente: «Continuate pure a giocare» e si avviò per tornare indietro, assieme alla moglie e alla bimba, a passeggiare sulla strada.
Un'ora dopo alla cuccagna arrivò Luigino, il figlio del contadino Battista.


Un paio di pantaloni. Quando il giovane Luigino ebbe finito di scaricare le bottiglie di vino dal motocarro, nel cortile del padrone, fece un fischio e chiamò Mafalda, la donna di servizio, perché dicesse alla signora che lui aveva ultimato e se ne tornava in campagna. Invece di Mafalda venne sul balcone la vecchia signora, moglie dell'avvocato proprietario del podere del quale il padre di Luigino era affittuario. «Che bravo ragazzo, sei», disse guardando le bottiglie allineate a terra davanti alla porta della cantina. Aggiunse: «Ma come mai sei così mal conciato?» e gli indicò i pantaloni che avevano, in una gamba, uno strappo sopra il ginocchio. Luigino tirò su le spalle: «Non importa» disse, «mica devo andare a ballare, per lavorare vado bene anche così». La signora gli fece segno di aspettare e rientrò nella stanza. Riapparve poco dopo con un involto che buttò giù, sul motocarro. «È un regalo per te» disse. Luigino ringraziò e andò in sella a mettere in moto.
Appena fu due strade più in là accostò al marciapiedi e aprì il fagotto: moriva dalla voglia di vedere cosa conteneva. C'era un paio di pantaloni color marrone, usati, lo si vedeva bene: erano pantaloni del padrone, Luigino ricordava di averglieli visti una volta che era venuto in campagna a vedere vendemmiare. Avevano delle macchie qua e là e dietro erano lisi. Con un gesto brusco, iroso, li gettò nel cassone del motocarro. In fondo alla strada c'era una chiesa e su un gradino della porta stava seduto un mendicante. Fermò il motocarro, afferrò i pantaloni e andò ad offrirglieli: «Le vuole queste braghe?» Il vecchio si alzò, prese in mano i pantaloni, li rigirò e incominciò a ringraziare: «Dio la benedica, Dio la benedica». Luigino stava già andandosene col suo motore rombante.


Una cicca lunga. La chiesa, illuminata a giorno anche all'esterno con grossi riflettori, s'andava affollando di fedeli per la cerimonia notturna in onore del patrono della città. Davanti alla porta il mendicante era contento: la gente era generosa e lui aveva i pantaloni nuovi, color marrone, che gli aveva regalato un bravo giovane tre giorni prima. Il mendicante stendeva la mano e pronunciava in continuità parole di benedizione, guardando in faccia i fedeli.
Un uomo alto, coi baffi biondi, quando fu sulla soglia della chiesa si tolse di bocca la sigaretta, ancora lunga per metà, e la buttò a terra. Il mendicante non potè evitare di seguire con l'occhio la parabola dell'oggetto bianco che cadeva e sbagliò il ritornello di ringraziamento che stava pronunciando. Subito si riprese; tuttavia continuò a pensare alla cicca, alla lunga cicca: era lì, a tre passi, vicino al muro, ancora accesa. Ma non poteva chinarsi: lui chiedeva la carità, non andava a raccattare gli avanzi degli altri come fanno i cani. Pensava alla cicca e intanto si ergeva sempre più sul busto e con la mano libera si apriva la giacca perchè si vedessero i pantaloni belli, color marrone. Mendicava l'elemosina, ma era pulito, ben curato, non era uno che facesse schifo, lui; la gente doveva ben notarle queste cose.
Improvvisamente le luci si spensero, tutte, sia dentro che fuori della chiesa. Era una delle solite interruzioni di corrente, a volte duravano pochi minuti, qualche volta anche mezz'ora. Dalla folla si alzò come una preghiera un coro di esclamazioni. Sulla porta della chiesa giungeva tenue, rossastro, il chiarore delle candele, ma non riusciva a varcare la soglia e a forzare il buio della notte. Meno di due minuti dopo la luce tornò e i riflettori furono di nuovo incandescenti. Il mendicante riprese a stendere la mano; con l'altra toccava, in una tasca, la cicca, la lunga cicca dell'uomo coi baffi biondi. "Meno male che è venuta a mancare la corrente" pensò. Infatti, ad un'estremità del sagrato, a lato della gente che ancora entrava alla spicciolata in chiesa, aveva scorto il vecchio Tonino che avanzava a testa bassa, com'era sua abitudine, perché così vedeva le cicche da puntare col bastoncino chiodato.

Un raccolto bagnato. Il cielo si oscurò rapidamente, poi, ad uno strappo di tuono, incominciò a piovere. La gente si mise a correre per andare al coperto. Tonino era proprio di fronte a un balcone, attraversò la strada e ci andò al riparo. Un momento dopo arrivarono due giovani e anch'essi si fermarono, si asciugarono la faccia, si pettinarono. «Ehilà, Tonino» lo salutò uno dei due. L'altro fece una risata e disse: «Tonino, adesso la pioggia ti bagna il raccolto delle cicche». «Pazienza» disse Tonino, «aspetterò che si asciughino». Il primo chiese: «E fino adesso ne hai raccolte molte?» «No, stavo andando allo stadio: ieri c'è stata la partita, ci sarà da far bene». «Sei proprio scalognato» disse il secondo giovane, «quanti soldi perderai?» «Forse due mila lire». «Perché» chiese l'altro, «il tabacco che raccogli lo vendi?» «Lo vendo ai vecchi del ricovero». «E coi soldi che ci fai?» «Ci mangio».
La pioggia batteva forte sul selciato. I giovani e il vecchio ora tacevano e ascoltavano quel suono disteso sulla terra. Poi, all'improvviso come aveva incominciato, smise di piovere. Uno dei giovani tolse dal portamonete un po' di spiccioli e li allungò al vecchio. «Tieni» disse, «così rimedi un po' alla pioggia». Il vecchio guardò le monete, poi guardò il giovane. «Grazie» disse, «ma io vado a cicche, non vado all'elemosina», e si avviò rasente al muro, per evitare le pozzanghere.





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