Mi capita, da qualche tempo,
di sorprendermi a guardarmi nello specchio. Mi scruto come se
cercassi qualcosa che non conosco, un lineamento, un'espressione: un
po' come se osservassi il volto di uno sconosciuto. Il fatto è che
sento in me qualcosa che non mi appartiene interamente: io sono io ma
con qualche traccia, appunto, di un altro. Una strana e anche
allarmante sensazione. Che cosa mi stia accadendo non lo so; cerco di
capirlo, guardandomi nel fisico e poi anche nell'intimo.
Questo strano fatto si sta
verificando da circa cinque mesi, non di più; praticamente da dopo
che è successa la faccenda di Angelina. Angelina se n'è andata una
notte, sei mesi fa, mentre dormivo, ignaro di quanto stava tramando,
ignaro di quanto aveva tramato fino allora e di tutto il suo mondo.
Otto anni di matrimonio, otto anni che mi erano parsi tranquilli,
sereni. Una pacata unione di quarantenni, la nostra. Non avevamo
avuto figli, ma non sembrava un problema per nessuno dei due. Io le
volevo bene, le ero fedele, credevo che fosse altrettanto per lei. E
invece aveva una seconda vita.
Incredibile: come mai non me
ne ero accorto? Mi aveva confessato tutto in una lettera, una lunga
lettera, che mi aveva lasciato sul comodino da notte a un palmo dal
naso. Così al mio risveglio, dopo avere scoperto sul letto, al mio
fianco, la sua impronta, mi ero messo a leggere quei fogli e mi ero
sentito crollare addosso quella che credevo la solida impalcatura
della mia vita. Nel petto mi si era acceso un vortice terribile; mi
sentivo come in mare, su un'esile barchetta, inghiottito da un
uragano e sballottato da onde gigantesche ognuna delle quali mi
piombava addosso come se fosse l'ultima, che mi avrebbe annientato.
Quelle onde erano le sue
confessioni: la nostra relazione che era andata a poco a poco
sbiadendosi, poi l'indifferenza per me, per la nostra unione sterile,
la nascita di un suo nuovo amore che era via via cresciuto, era
diventato passione ed ora lei se ne andava con il suo idolo, felice.
Non una parola di rammarico per il dolore che mi arrecava, come se
nemmeno esistessi, come se proprio non avessi mai contato nulla per
lei. Che giorni di angoscia da quel mattino di stravolgimento!
E io che avevo fatto della mia
fedeltà una religione! Per me era fondamentale il concetto che la
famiglia doveva rappresentare il fulcro dell'unione matrimoniale,
sacro e preminente su ogni altro aspetto della vita, quindi da
salvaguardare prima di tutto con la correttezza di comportamento in
mancanza della quale si sarebbe avviato inesorabile il disfacimento.
Io così, ligio a questi sani principi, e lei che tramava alle mie
spalle, certo irridendo anche la mia dabbenaggine. Ciononostante non
mi pento della mia condotta: la regola morale resta valida anche se
circostanze estranee avverse hanno falsato il risultato.
Questo, dunque, il mio
passato. Veniamo al presente, a quello che mi accade talvolta. In
genere è di notte, nelle ore che precedono l'alba: mi sveglio e
resto insonne con la mente che vaga senza controllo, in abbandono,
con la speranza di ritrovare un altro poco di sonno. Mi avviene di
entrare in un ricordo; un ricordo che non può essere tale perché
appartiene ad una realtà sicuramente non mia. Eppure è come se lo
fosse, come se io davvero avessi vissuto quelle vicende.
Un'assurdità. Ecco di cosa si tratta. Rivivo - o meglio, ho
l'impressione di rivivere - scene di amore fisico con una donna che
non è Angelina. Proprio un assurdo, perché si tratterebbe di un mio
tradimento che ora, di giorno, sono ben sicuro di non avere mai
compiuto. Ma di notte, in quel vagolare della mente nel buio, mi
sembra reale e della realtà mi dà una diffusa piacevolezza.
Abbraccio e bacio quella mia donna, giovane e bella, con trasporto e
con la gioia di sapere che non è una situazione occasionale, ma che
si ripeterà.
E infatti questo ricordo,
diciamo pseudo ricordo, ritorna con una metodica analogia e sempre mi
pervade di letizia e di stupore. A volte, pur a malincuore, lo
interrompo, accendo la luce, voglio constatare di essere
effettivamente sveglio. E allora mi chiedo come è possibile che
accada questo, come posso io, che fui marito dell'Angelina
scrupolosamente e vanamente fedele, rivivere un adulterio che
in realtà non ho commesso. Cos'è, dunque, questa storia? È stato
un sogno, tanto intenso da restarmi scolpito nella memoria come se si
fosse trattato di un evento reale?
Infatti questa vicenda, che so
irreale, posso descriverla minutamente, come se fosse davvero
avvenuta. La donna è bionda, dolce, raffinata, con occhi azzurri e
un sorriso che rasserena. Da tempo veniva nel mio studio per
accompagnare la madre malata di diabete. La madre era poi morta, per
una trombosi, e lei non si era più vista per qualche tempo. Poi era
ricomparsa perché si sentiva opprimere da una ansietà inspiegabile.
Tre visite per la cura e alla quarta eravamo finiti avvinghiati sul
lettino. Se indugio nel ricordo - in questo falso ricordo - il numero
dei particolari si accresce: vedo certi vestiti suoi, odo la cadenza
delle sue parole, sento riecheggiare sue risate. L'animo mi si
pervade di tenerezza e la rievocazione di uno qualsiasi dei nostri
rapporti sessuali si fa così intensa, precisa, da sfiorare la
realtà. E risento anche le atmosfere del "dopo": i
momenti di dolce abbandono, le carezze dell'affettuosa commozione,
diverse da quelle del "prima", tutte percorse dalle
vibrazioni del desiderio, dall'ansia dell'arrivo alla mèta. E poi
ancora, approssimandosi il congedo, prima di far entrare il prossimo
cliente, qualche lieve chiacchiera nel tempo di fumare una sigaretta.
Una sigaretta? Ma io non fumo.
Ho fumato dai diciotto ai trentacinque anni. Un giorno ho detto basta
e non ne ho più acceso una; non solo, non ho nemmeno aspirato una
boccata quando gli amici, per tentarmi, insistevano ad accostarmi
alle labbra una sigaretta accesa. Ora mi accade che in queste
peregrinazioni mentali notturne ci sia anche un mio ritorno al fumo.
In modo irregolare, saltuario: qualche giorno niente, qualche altro
due tre, magari anche cinque sigarette. Eppure, di giorno, lo so bene
che nulla è cambiato da quel momento in cui dissi basta: di
sigarette non ne ho proprio più fumata neanche una.
Incomincio a preoccuparmi per
queste mie false consapevolezze, questo inserirsi della mia fantasia
in una realtà che non mi appartiene, come se, invece, ne fossi
protagonista. Mi pare di capire che sia proprio questo il problema:
pur essendo in realtà estraneo a determinate situazioni, una certa
parte del mio io entra in un ruolo immaginario e lo fa con tanta
partecipazione e accuratezza da crearmi una ricca mole di elementi i
quali poi, nei particolari momenti dell'insonnia notturna, mi
affiorano alla mente come ricordi.
Me ne è comparso uno nuovo,
di recente. Un ricordo ingombrante, persistente, ancora più assurdo
degli altri, se è possibile. Io non frequento la zona collinare
della mia città avendo sia l'abitazione che lo studio da tutt'altra
parte. In particolare non sono mai andato in via Serpilli, non so che
strada sia, non l'ho mai vista. O meglio, ormai l'ho un po' vista
attraverso le fotografie dei giornali e le immagini della televisione
per quella storia di cui si parla insistentemente quasi ogni giorno
sotto il titolo di "delitto di via Serpilli". È un giallo
irrisolto, ingarbugliato, per me di nessun interesse: infatti mi
limito a leggere titoli e sommari; con la TV, se mi imbatto in questo
argomento, cambio canale alla svelta, innervosito. Grosso modo, per
quello che ho potuto capire, la ragazza che è stata uccisa in via
Serpilli, soffocata con un cuscino, doveva aver fatto entrare in casa
lei stessa l'assassino. Ma per scoprire il colpevole gli inquirenti
han da districarsi nel groviglio dei molti amici e conoscenti che la
frequentavano, non esclusi due ex fidanzati coi quali aveva
trascorso due periodi di convivenza.
Credo di comprendere perché
istintivamente sto lontano dalle notizie che riguardano questa
tragica vicenda: mi rendo conto che, inconsciamente, tendo ad
appropriarmi di ogni informazione per poi elaborarla e costruirci
intorno dei ricordi. Un fatto veramente sgradevole, che mi turba
profondamente. Mentre nel caso dei rapporti sessuali - ricordiamolo:
presunti rapporti sessuali - con la mia cliente bionda e bella,
quando ritornano, mi danno un diffuso piacere, il "ricordo"
che si riferisce a via Serpilli è angoscioso, mi attanaglia come una
trappola e io cerco di sfuggirgli, ma non trovo scampo e mi agito,
sudo, mi sorprendo persino a gemere.
In sostanza io rivivo un
delitto, lo rivivo nelle vesti abominevoli dell'assassino e la
vittima è una donna. Una che conoscevo da tempo: anche lei era stata
mia cliente, poi mia amante. Era un periodo in cui conviveva con un
uomo più anziano del quale non le importava più nulla. Il nostro
era un rapporto basato soprattutto sull'attrazione sessuale. Per gli
incontri clandestini ci servivamo di un piccolo albergo, mi pare in
collina. A un certo punto gli appuntamenti si erano diradati, poi lei
mi aveva detto che aveva lasciato l'anziano e si era messa con un
giovane della sua età. E tutto tra noi era finito, in maniera
piana.
Così credevo che fosse.
Invece sentivo la sua mancanza. Avrei voluto cancellare dalla sua
vita l'uomo nuovo che le era diventato compagno e allora ho
incominciato a cercarla, ci siamo incontrati nascostamente, alcune
volte, abbiamo discusso, ma lei era irremovibile, considerava
definitivamente chiusa la nostra storia. Un giorno, sapendo che lui
era fuori città, mi sono presentato da lei e l'ho convinta a farmi
entrare. Era dura, cattiva, diceva basta basta è finita e a me
sembrava di perdere un bene prezioso. Ero stravolto. L'ho afferrata
per le spalle, ho incominciato a scuoterla latrandole sulla faccia
degli insulti, a denti stretti per non farmi sentire dai vicini. Mi
guardava con occhi sbarrati, muta, terrorizzata. Continuavo a
squassarla e gli scuotimenti le facevano rimbalzare sul petto la
collana. Era una collana di piccoli grani neri maculati di bianco.
Con una mano l'ho ghermita e l'ho girata e rigirata tanto da
stringergliela sul collo. Lei stava già emettendo un gemito roco,
strozzato, quando il filo s'è spezzato e i grani sono come esplosi a
raggiera, tutt'intorno. Di nuovo l'ho presa per le spalle e l'ho
gettata sul letto, ma si è messa a urlare e allora, per farla
tacere, ho afferrato un cuscino e gliel'ho premuto sulla faccia. A
lungo, troppo a lungo: quando l'ho tolto, era già morta.
Questo ricordo che, ripeto,
non è mio, mi sta angosciando, non solo nelle ore dell'insonnia
mattutina quando mi si dipana nella mente come la sceneggiatura di un
film, ma anche durante il giorno. C'è una parte di me che si
appropria di elementi di cronaca e li manipola in ricostruzioni di
fatti mostruosi nei quali vuole coinvolgermi. In certi momenti non so
proprio in quale realtà sono, se dentro o fuori quella brutta
vicenda.
A confondermi ancora di più
ci si mettono circostanze strane. Ieri sera levandomi i pantaloni ho
sentito un leggero tintinnìo e ho visto correre sul pavimento una
pallina: forse era caduta da un risvolto. L'ho osservata: era nera
striata di bianco, forse di onice, con un forellino centrale.
Sembrava una pallina di quella collana. Di colpo m'è parso che
scottasse, ho aperto la finestra e l'ho gettata via. Ma cosa sta
succedendo, la fantasia riesce a invadere la realtà? Ed è poi vero
che mi sono trovato in mano una di quelle palline? Mi viene il dubbio
che anche questo episodio sia frutto di una immaginazione perversa.