lunedì 25 gennaio 2016

Cercarsi allo specchio

Mi capita, da qualche tempo, di sorprendermi a guardarmi nello specchio. Mi scruto come se cercassi qualcosa che non conosco, un lineamento, un'espressione: un po' come se osservassi il volto di uno sconosciuto. Il fatto è che sento in me qualcosa che non mi appartiene interamente: io sono io ma con qualche traccia, appunto, di un altro. Una strana e anche allarmante sensazione. Che cosa mi stia accadendo non lo so; cerco di capirlo, guardandomi nel fisico e poi anche nell'intimo.
Questo strano fatto si sta verificando da circa cinque mesi, non di più; praticamente da dopo che è successa la faccenda di Angelina. Angelina se n'è andata una notte, sei mesi fa, mentre dormivo, ignaro di quanto stava tramando, ignaro di quanto aveva tramato fino allora e di tutto il suo mondo. Otto anni di matrimonio, otto anni che mi erano parsi tranquilli, sereni. Una pacata unione di quarantenni, la nostra. Non avevamo avuto figli, ma non sembrava un problema per nessuno dei due. Io le volevo bene, le ero fedele, credevo che fosse altrettanto per lei. E invece aveva una seconda vita.
Incredibile: come mai non me ne ero accorto? Mi aveva confessato tutto in una lettera, una lunga lettera, che mi aveva lasciato sul comodino da notte a un palmo dal naso. Così al mio risveglio, dopo avere scoperto sul letto, al mio fianco, la sua impronta, mi ero messo a leggere quei fogli e mi ero sentito crollare addosso quella che credevo la solida impalcatura della mia vita. Nel petto mi si era acceso un vortice terribile; mi sentivo come in mare, su un'esile barchetta, inghiottito da un uragano e sballottato da onde gigantesche ognuna delle quali mi piombava addosso come se fosse l'ultima, che mi avrebbe annientato.
Quelle onde erano le sue confessioni: la nostra relazione che era andata a poco a poco sbiadendosi, poi l'indifferenza per me, per la nostra unione sterile, la nascita di un suo nuovo amore che era via via cresciuto, era diventato passione ed ora lei se ne andava con il suo idolo, felice. Non una parola di rammarico per il dolore che mi arrecava, come se nemmeno esistessi, come se proprio non avessi mai contato nulla per lei. Che giorni di angoscia da quel mattino di stravolgimento!
E io che avevo fatto della mia fedeltà una religione! Per me era fondamentale il concetto che la famiglia doveva rappresentare il fulcro dell'unione matrimoniale, sacro e preminente su ogni altro aspetto della vita, quindi da salvaguardare prima di tutto con la correttezza di comportamento in mancanza della quale si sarebbe avviato inesorabile il disfacimento. Io così, ligio a questi sani principi, e lei che tramava alle mie spalle, certo irridendo anche la mia dabbenaggine. Ciononostante non mi pento della mia condotta: la regola morale resta valida anche se circostanze estranee avverse hanno falsato il risultato.
Questo, dunque, il mio passato. Veniamo al presente, a quello che mi accade talvolta. In genere è di notte, nelle ore che precedono l'alba: mi sveglio e resto insonne con la mente che vaga senza controllo, in abbandono, con la speranza di ritrovare un altro poco di sonno. Mi avviene di entrare in un ricordo; un ricordo che non può essere tale perché appartiene ad una realtà sicuramente non mia. Eppure è come se lo fosse, come se io davvero avessi vissuto quelle vicende. Un'assurdità. Ecco di cosa si tratta. Rivivo - o meglio, ho l'impressione di rivivere - scene di amore fisico con una donna che non è Angelina. Proprio un assurdo, perché si tratterebbe di un mio tradimento che ora, di giorno, sono ben sicuro di non avere mai compiuto. Ma di notte, in quel vagolare della mente nel buio, mi sembra reale e della realtà mi dà una diffusa piacevolezza. Abbraccio e bacio quella mia donna, giovane e bella, con trasporto e con la gioia di sapere che non è una situazione occasionale, ma che si ripeterà.
E infatti questo ricordo, diciamo pseudo ricordo, ritorna con una metodica analogia e sempre mi pervade di letizia e di stupore. A volte, pur a malincuore, lo interrompo, accendo la luce, voglio constatare di essere effettivamente sveglio. E allora mi chiedo come è possibile che accada questo, come posso io, che fui marito dell'Angelina scrupolosamente e vanamente fedele, rivivere un adulterio che in realtà non ho commesso. Cos'è, dunque, questa storia? È stato un sogno, tanto intenso da restarmi scolpito nella memoria come se si fosse trattato di un evento reale?
Infatti questa vicenda, che so irreale, posso descriverla minutamente, come se fosse davvero avvenuta. La donna è bionda, dolce, raffinata, con occhi azzurri e un sorriso che rasserena. Da tempo veniva nel mio studio per accompagnare la madre malata di diabete. La madre era poi morta, per una trombosi, e lei non si era più vista per qualche tempo. Poi era ricomparsa perché si sentiva opprimere da una ansietà inspiegabile. Tre visite per la cura e alla quarta eravamo finiti avvinghiati sul lettino. Se indugio nel ricordo - in questo falso ricordo - il numero dei particolari si accresce: vedo certi vestiti suoi, odo la cadenza delle sue parole, sento riecheggiare sue risate. L'animo mi si pervade di tenerezza e la rievocazione di uno qualsiasi dei nostri rapporti sessuali si fa così intensa, precisa, da sfiorare la realtà. E risento anche le atmosfere del "dopo": i momenti di dolce abbandono, le carezze dell'affettuosa commozione, diverse da quelle del "prima", tutte percorse dalle vibrazioni del desiderio, dall'ansia dell'arrivo alla mèta. E poi ancora, approssimandosi il congedo, prima di far entrare il prossimo cliente, qualche lieve chiacchiera nel tempo di fumare una sigaretta.
Una sigaretta? Ma io non fumo. Ho fumato dai diciotto ai trentacinque anni. Un giorno ho detto basta e non ne ho più acceso una; non solo, non ho nemmeno aspirato una boccata quando gli amici, per tentarmi, insistevano ad accostarmi alle labbra una sigaretta accesa. Ora mi accade che in queste peregrinazioni mentali notturne ci sia anche un mio ritorno al fumo. In modo irregolare, saltuario: qualche giorno niente, qualche altro due tre, magari anche cinque sigarette. Eppure, di giorno, lo so bene che nulla è cambiato da quel momento in cui dissi basta: di sigarette non ne ho proprio più fumata neanche una.
Incomincio a preoccuparmi per queste mie false consapevolezze, questo inserirsi della mia fantasia in una realtà che non mi appartiene, come se, invece, ne fossi protagonista. Mi pare di capire che sia proprio questo il problema: pur essendo in realtà estraneo a determinate situazioni, una certa parte del mio io entra in un ruolo immaginario e lo fa con tanta partecipazione e accuratezza da crearmi una ricca mole di elementi i quali poi, nei particolari momenti dell'insonnia notturna, mi affiorano alla mente come ricordi.
Me ne è comparso uno nuovo, di recente. Un ricordo ingombrante, persistente, ancora più assurdo degli altri, se è possibile. Io non frequento la zona collinare della mia città avendo sia l'abitazione che lo studio da tutt'altra parte. In particolare non sono mai andato in via Serpilli, non so che strada sia, non l'ho mai vista. O meglio, ormai l'ho un po' vista attraverso le fotografie dei giornali e le immagini della televisione per quella storia di cui si parla insistentemente quasi ogni giorno sotto il titolo di "delitto di via Serpilli". È un giallo irrisolto, ingarbugliato, per me di nessun interesse: infatti mi limito a leggere titoli e sommari; con la TV, se mi imbatto in questo argomento, cambio canale alla svelta, innervosito. Grosso modo, per quello che ho potuto capire, la ragazza che è stata uccisa in via Serpilli, soffocata con un cuscino, doveva aver fatto entrare in casa lei stessa l'assassino. Ma per scoprire il colpevole gli inquirenti han da districarsi nel groviglio dei molti amici e conoscenti che la frequentavano, non esclusi due ex fidanzati coi quali aveva trascorso due periodi di convivenza.
Credo di comprendere perché istintivamente sto lontano dalle notizie che riguardano questa tragica vicenda: mi rendo conto che, inconsciamente, tendo ad appropriarmi di ogni informazione per poi elaborarla e costruirci intorno dei ricordi. Un fatto veramente sgradevole, che mi turba profondamente. Mentre nel caso dei rapporti sessuali - ricordiamolo: presunti rapporti sessuali - con la mia cliente bionda e bella, quando ritornano, mi danno un diffuso piacere, il "ricordo" che si riferisce a via Serpilli è angoscioso, mi attanaglia come una trappola e io cerco di sfuggirgli, ma non trovo scampo e mi agito, sudo, mi sorprendo persino a gemere.
In sostanza io rivivo un delitto, lo rivivo nelle vesti abominevoli dell'assassino e la vittima è una donna. Una che conoscevo da tempo: anche lei era stata mia cliente, poi mia amante. Era un periodo in cui conviveva con un uomo più anziano del quale non le importava più nulla. Il nostro era un rapporto basato soprattutto sull'attrazione sessuale. Per gli incontri clandestini ci servivamo di un piccolo albergo, mi pare in collina. A un certo punto gli appuntamenti si erano diradati, poi lei mi aveva detto che aveva lasciato l'anziano e si era messa con un giovane della sua età. E tutto tra noi era finito, in maniera piana.
Così credevo che fosse. Invece sentivo la sua mancanza. Avrei voluto cancellare dalla sua vita l'uomo nuovo che le era diventato compagno e allora ho incominciato a cercarla, ci siamo incontrati nascostamente, alcune volte, abbiamo discusso, ma lei era irremovibile, considerava definitivamente chiusa la nostra storia. Un giorno, sapendo che lui era fuori città, mi sono presentato da lei e l'ho convinta a farmi entrare. Era dura, cattiva, diceva basta basta è finita e a me sembrava di perdere un bene prezioso. Ero stravolto. L'ho afferrata per le spalle, ho incominciato a scuoterla latrandole sulla faccia degli insulti, a denti stretti per non farmi sentire dai vicini. Mi guardava con occhi sbarrati, muta, terrorizzata. Continuavo a squassarla e gli scuotimenti le facevano rimbalzare sul petto la collana. Era una collana di piccoli grani neri maculati di bianco. Con una mano l'ho ghermita e l'ho girata e rigirata tanto da stringergliela sul collo. Lei stava già emettendo un gemito roco, strozzato, quando il filo s'è spezzato e i grani sono come esplosi a raggiera, tutt'intorno. Di nuovo l'ho presa per le spalle e l'ho gettata sul letto, ma si è messa a urlare e allora, per farla tacere, ho afferrato un cuscino e gliel'ho premuto sulla faccia. A lungo, troppo a lungo: quando l'ho tolto, era già morta.
Questo ricordo che, ripeto, non è mio, mi sta angosciando, non solo nelle ore dell'insonnia mattutina quando mi si dipana nella mente come la sceneggiatura di un film, ma anche durante il giorno. C'è una parte di me che si appropria di elementi di cronaca e li manipola in ricostruzioni di fatti mostruosi nei quali vuole coinvolgermi. In certi momenti non so proprio in quale realtà sono, se dentro o fuori quella brutta vicenda.
A confondermi ancora di più ci si mettono circostanze strane. Ieri sera levandomi i pantaloni ho sentito un leggero tintinnìo e ho visto correre sul pavimento una pallina: forse era caduta da un risvolto. L'ho osservata: era nera striata di bianco, forse di onice, con un forellino centrale. Sembrava una pallina di quella collana. Di colpo m'è parso che scottasse, ho aperto la finestra e l'ho gettata via. Ma cosa sta succedendo, la fantasia riesce a invadere la realtà? Ed è poi vero che mi sono trovato in mano una di quelle palline? Mi viene il dubbio che anche questo episodio sia frutto di una immaginazione perversa.






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