Le finestre dell'alloggio si
affacciavano sulla piazza verde di alberi e chiassosa delle grida dei
bimbi. La prima camera, d'angolo, aveva anche un balcone sulla via
che sfociava nella piazza. Dall'altra estremità, invece, la camera
di fondo dava in un cortile interno. In casa la chiamavano la camera
del nonno. Andreino se lo ricordava bene suo nonno: alto e magro, con
i baffi spioventi, la testa calva e lucida. Stava tutto il giorno
seduto nella poltrona d'angolo, vicino alla finestra dalla quale
pioveva una luce opaca che non riusciva a togliere dalla penombra le
sagome scure degli armadi e del letto. Con la coperta sulle ginocchia
per tener calde le gambe che non lo reggevano più, stava col busto
tutto spostato verso la finestra per non lasciarsi sfuggire nemmeno
un raggio della poca luce. I vetri erano quasi sempre chiusi perché
suo nonno temeva il freddo, anche d'estate. Erano aperti, qualche ora
del giorno, in luglio e in agosto. Allora scendevano dalla stretta
tromba formata dai quattro muri del cortile le voci delle donne che
parlavano da finestra a finestra e gli odori: uno strano, nauseabondo
miscuglio di odore di cucina e di gabinetto.
Andreino, da ragazzo, andava a
trovarlo, a volte, suo nonno, ma si stancava subito: la poca luce era
opprimente, gli faceva venir voglia di piangere e, se la finestra era
aperta, si sentiva un nodo allo stomaco per i miasmi;. Suo nonno lo
accarezzava sulla testa, gli chiedeva notizie del resto della casa:
cosa faceva suo padre, di là, in sartoria; se c'erano dei clienti;
cosa succedeva nel giardino. Ma lui, Andreino, non resisteva a lungo;
dava qualche risposta e poi scappava. Tornando nelle altre stanze gli
sembrava di rinascere; c'era luce, c'era aria buona. Suo padre era
sempre in piedi vicino al tavolo intento a disegnare modelli sulle
stoffe o a tagliarle; intorno e nella camera accanto c'erano, sedute
e chine sugli abiti in lavorazione, quattro o cinque donne, tra sarte
e apprendiste.
Adesso era lui, Andreino, che
tagliava, ma intorno aveva meno aiutanti perché i tempi erano
cambiati e il pubblico preferiva comperare gli abiti fatti. C'era
Linda, sua moglie, che era stata una lavorante di suo padre, e
c'erano due ragazzine; nella camera del nonno c'era suo padre. Suo
padre era malato di arteriosclerosi; apparentemente stava bene ma
talvolta, all'improvviso, usciva con discorsi strani o addirittura
con delle minacce a chi gli stava vicino. Per diversi mesi aveva
trascorso le sue giornate seduto nel salotto, ma erano accaduti
spiacevoli incidenti: più di una volta aveva attaccato discorso con
i clienti venuti per la prova e poi, senza motivo, li aveva
ingiuriati. Due di questi clienti non erano più tornati,
evidentemente offesi. Andreino si era visto costretto a relegare suo
padre nella camera di fondo.
Per la casa girava il bambino,
Pippo, figlio suo e di Linda. Aveva cinque anni ed era indemoniato.
Percorreva le stanze ululando, in sella a una piccola bicicletta con
ruotine laterali. Qua e là faceva bruschi arresti, si impossessava
di un oggetto e ripartiva. Andreino lo doveva inseguire per
togliergli di mano le forbici o la manica di una giacca. Pippo a
volte andava a trovare il nonno, in camera sua, ma spesso ne tornava
piangendo perché il vecchio improvvisamente lo trattava male o lo
impauriva; preferiva andare dall'altro capo della casa, nella camera
che aveva il balcone sulla via. Nella buona stagione, su questo
balcone, si intratteneva a lungo a parlare con Dirce, una bambina
maggiore di un anno che abitava nella stessa casa e giocava sul
balcone attiguo. Sotto, per la strada, c'era il via vai del traffico,
il tram, le automobili, i pedoni.
La bimba chiacchierava molto:
spesso indicava un passante, quasi sempre una donna, e improvvisava
su questa persona una storia, inventata naturalmente, ma raccontata
con tanta verosimiglianza da far rimanere Pippo incantato e alla
fine sembrava che anche lei la credesse vera. Poi l'attenzione del
bimbo cadeva, quasi sempre per il passaggio di qualche automobile o
motocicletta più rumorose del solito: lui si accodava al volo a quel
rombo per continuarlo con un'imitazione prodotta dalle labbra, che
riusciva a fare vibrare con violenza mentre il viso gli diventava
paonazzo. Il suono via via saliva di intensità fin che lei, stanca e
infastidita, non gridava a sua volta per farlo tacere. Guidati sempre
da Dirce i due bambini si avventuravano anche in altri discorsi:
progetti fantastici per quando sarebbero stati grandi. Erano, quei
loro incontri attraverso i rispettivi balconi, i soli che potevano
avere perché entrambi raramente scendevano nel giardino della
piazza: i genitori di Pippo non avevano mai tempo, presi com'erano
dal lavoro, e Dirce aveva soltanto la madre che si guadagnava la vita
confezionando abitini per bambole.
Andreino si alzava presto al
mattino per portare avanti il lavoro. Era difficile far quadrare il
bilancio: le commissioni non affluivano con regolarità. A volte gli
sarebbero servite altre due lavoranti, in altri periodi gli erano di
troppo anche le due che aveva. E il guadagno non compensava a
sufficienza la fatica e i sacrifici. Pensava che sarebbe potuto
entrare in uno stabilimento per la confezione in serie degli abiti:
essendo sarto provetto probabilmente gli avrebbero affidato mansioni
direttive in qualche reparto. Avrebbe potuto guadagnare bene. Ne
parlava anche con la moglie e insieme fantasticavano su questo
progetto, ma mai si decideva a interessarsi davvero della cosa,
trattenuto forse istintivamente dal timore di un insuccesso. Quando,
raramente, andava nella camera di suo padre e si sentiva avvolgere da
quella penombra cupa e triste o investire dall'ondata nauseante degli
odori, si riproponeva con fermezza di tentare di cambiar vita per
andare in un'altra casa, per togliere suo padre da quella camera di
fondo dov'era costretto a restare relegato. Ma poi, appena era
uscito, la fermezza del proposito svaniva, allontanata dalle
occupazioni del momento e dall'attenzione che il lavoro richiedeva,
così il progetto si faceva vago.
Il bambino continuava a
scorrazzare avanti e indietro per l'appartamento, gridava, faceva con
le labbra l'imitazione di un motore. «Stai buono» gli diceva ogni
tanto il padre, ma senza convinzione. Andreino pensava a questo suo
figlio con grandi speranze. Chissà cosa avrebbe fatto nella vita,
forse cose importanti, non per nulla parlava sempre di automobili e
di moto, come se avesse già la tecnica nell'animo. Pensava che
sarebbe forse diventato direttore di qualche fabbrica, avrebbe avuto
una villa, una vita facile. Avrebbero cambiato casa, allora, fra
venti, venticinque anni. Andreino pensava a se stesso: ora aveva
trentotto anni, avrebbe potuto trascorrere una buona vecchiaia, con
le comodità e le soddisfazioni che prima la vita gli aveva sempre
negato. Pippo veniva, andava con la piccola bicicletta, scansando con
abilità gli spigoli dei mobili. Ora tornava dalla camera che dava
sulla strada; si fermò davanti al tavolo sul quale suo padre stava
tagliando e si rivolse a lui: «Sai, babbo, che cosa faremo io e
Dirce quando saremo grandi?» «Che cosa farete?» «Fabbricheremo
tanti vestiti per le bambole, qui, in questa casa, perché quella di
Dirce è troppo piccola». «E io e la mamma?» chiese con tono
apprensivo suo padre. «Voi andrete nella camera di fondo, dove c'è
il nonno».
Il bambino stava già
nuovamente correndo. Andreino si sentì invadere da un senso di
angoscia, capiva che c'era sopra di sé qualcosa di ineluttabile,
sentiva che i suoi progetti erano tutti assurdi: il lavoro in una
fabbrica di confezioni, il figlio personaggio importante
dell'industria, la villa, la vita facile. Gli sembrò di sentire
l'odore stomachevole che veniva dal cortile sul quale si affacciavano
le finestre della cucina, quelle dei gabinetti e anche la finestra
della camera di fondo del suo alloggio. Gli parve di essere di nuovo
fanciullo, vicino a suo nonno che stava tutto proteso verso la
finestra per godere la poca luce del cortile. Il ricordo delle
immagini si mischiava al ricordo degli odori e su tutto pesava un
senso di fatalità. Andreino si sforzava di distrarsi, ma non ci
riusciva.
Nessun commento:
Posta un commento
Dimmi la tua opinione: