Recensioni




Il 3 giugno 2011 su Torino Sette de La Stampa è uscita questa recensione di Giovanni Tesio:

Chi l’ha detto che a novant’anni si è vecchi? E, in ogni caso, chi ha detto che i novantenni vivano di vita fragile e rinunciataria? Il libro di racconti, “Parenti nel mirino”, che Remo Lugli ha appena pubblicato da Neos Edizioni, (pp.168, euro 14) con una prefazione di Massimo Boccaletti, sta lì a dichiarare tutto il contrario.

I racconti di Lugli sono ben più giovani dell’età anagrafica e soprattutto certificano di un percorso rimasto fedele al suo principio. Da Vittorini a qui (fu nei Gettoni l’egregio esordio) è pure un bel tracciato, che Lugli ha coperto con l’attività giornalistica, ma che non ha mancato di coltivare come scrittore in proprio specie dagli anni novanta in poi, dopo il pensionamento dal nostro giornale in cui era entrato a fare orchestra più di trent’anni prima sotto la mitica e terribile bacchetta di Giulio De Benedetti.

Il titolo del libro viene dal primo racconto, ma tocca anche molte vicende raccontate negli altri: storie in cui la famiglia (figli, mogli, amanti, incontri) si trova a costituire un punto non secondario di indagine e di riflessione. Storie che hanno spesso un doppiofondo e che rivelano – specie nei finali – un guizzo di ironia che la vita impone alle sue creature.

Un autosequestrato che cerca di scansare la logica della vendetta trasversale in una faida di camorra. Un’aspirante modella che affina il suo fisico fino all’autodistruzione da cui viene salvata in extremis. Un vecchio ossessionato dall’idea che nella casa di riposo in cui è ricoverato gli infermieri pratichino indesiderate eutanasie. Un uomo che ritorna nell’alloggio in cui ha vissuto sconvolgendo l’equilibrio della famiglia che ci vive. Un seduttore compulsivo che proprio nel momento in cui pare mettere la testa a partito scopre le insidie di un rischio mortale. Un dirigente d’azienda costretto agli arresti domiciliari nella casa della moglie che ha abbandonato. Un giovane perseguitato dal cognome del padre che rinuncia a portare.

Sette storie condotte con agilità, con accortezza, con passo avvolgente, con scrittura per niente desueta. Ma soprattutto con arguzia sottile. Rovesci che improvvisamente scompongono attese, colpi di coda che scoprono subdoli risvolti, insinuanti sospetti (spesso in crescendo) che mostrano le corde di annidate superstizioni. Niente è mai come sembra e ciò che sembra è spesso dettato da paure e viluppi. A volte il riso è lieve, a volte più drammatico, a volte si concede al gioco, altre al pirandelliano sentimento del contrario. Ma sempre s’intrufola nelle cose spremendone l’amaro miele. O forse il melato fiele che un autore come Lugli – alla curva dei suoi novant’anni – continua per noi a secernere e dipanare.


Parenti nel mirino si è aggiudicato il terzo premio nella sezione narrativa del concorso "Mario Pannunzio" 2011 con la seguente motivazione:

Sette incipit fulminanti, che immettono il lettore in un ambiente, in una famiglia, in un’atmosfera, aprono questi sette racconti in cui, con scrittura elegante e asciutta, Remo Lugli racconta storie di silente, nascosta, ordinaria follia.
Al centro di ogni racconto infatti c’è un’ossessione nata da un reale stato didisagio e ingigantita fino ad occupare ogni pensiero, a spegnere ogni capacità di reazione, a far tacere la voce della ragione: l’attesa angosciosa del killer mafioso che dovrà uccidere l’ultimo parente rimasto in vita della famiglia rivale, l’ossessione della linea perfetta di una ragazza sfigurata dall’anoressia, la paura dell’AIDS di un dongiovanni impenitente, l’incubo dell’eutanasia di un ospite di una casa di cura per anziani, il disagio di portare un cognome imbarazzante… I protaganisti delle storie vivono vicende ora comiche senza allegria, ora tragiche senza grandezza, che si concludono lasciando il lettore
in un dubbio: si sarà trattato proprio di assurde ossessioni, o la verità era quella di cui essi soli vedevano l’aspetto minaccioso? In uno stile limpido, in un linguaggio diretto e preciso, alleggerito da una vena sotterranea di umorismo, Remo Lugli racconta il nostro mondo quotidiano in modo problematico. Cercare di comprendere, senza pretendere di giudicare: questa è la sua prospettiva, questa la preziosa “lezione” che senza salire in cattedra egli dà al lettore.


 E se di là





Alcuni tratti di una recensione a E se di là pubblicata da La Stampa il 5 giugno 2009

Remo Lugli ha 89 anni ma una scrittura ancora fresca come quella degli esordi, che non furono vili se il suo primo titolo, “Le formiche sotto la fronte”, fu pubblicato (nel ’52) da Vittorini nei “Gettoni” Einaudi.
Se mai, c’è da dire che quel titolo, uscendo dall’impasse neorealista, mostrava già molto di un interesse che Lugli – a lungo inviato del nostro giornale – ha poi accudito negli anni e che – dopo alcuni altri titoli – ritorna con tutta evidenza in quest’ultimo libro di racconti “E se di là”, appena pubblicato da Daniela Piazza editore. 
Voglio dire che fin dal primo romanzo correva un’atmosfera di buio e di mistero che guardava subito ben oltre la mera referenza delle cose. Come accade, appunto nel libro nuovo dove a prevalere è la ricerca – stando al sottotitolo – “dell’altra vita”, di quella vita che - indipendentemente da ogni legame di ortodossia confessionale – vive oltre la morte, oltre la custodia del corpo, oltre le barriere dei fenomeni conclusi…
...gli altri diciannove racconti (venti in tutto) mescolando cronaca e invenzione compongono un vero e proprio percorso in quella sete di conoscenza “altra” di cui è stato un alto e discretissimo esponente … 
...ci sono storie narrate a volte con arguzia e con ironia, altre volte con sentimento di solidarietà e comunione (sofferenze alleviate, gioie ritrovate). 
Ma su tutto il respiro o il soffio dell’inspiegabile o del mistero, il vento dell’ignoto che diventa destino.
 
GIovanni Tesio




Gustavo Rol una vita di prodigi

Dal sito su Gustavo Rol:
<<Il libro di Remo Lugli costituisce la più autorevole testimonianza su Gustavo Rol. L’autore ha assistito personalmente a decine di esperimenti nel corso di alcuni anni, dal 1972 al 1980. Di essi ha dato una descrizione precisa e attenta cercando di non lasciare nessun dettaglio fuori dal quadro. Giornalista della Stampa tra i più seri, fu il primo a scrivere di Rol sul quotidiano torinese nel 1972. Circa la sua affidabilità così ne parla Guglielmo Zucconi in un articolo su Rol. “Se poi qualcuno che non lo conosce avesse dei dubbi sulla credibilità di Remo Lugli sappia che è stato l’unico inviato della Stampa al quale il mitico direttore Giulio De Benetti non abbia mai corretto nemmeno una virgola". Il libro contiene anche molti dati biografici ed è stato per lungo tempo la biografia più completa>>.


Tarlo ci cova

Fiorella Minervino, recensendo sul Corriere della Sera la raccolta di racconti che erano usciti su La Stampa come puntate della rubrica di antiquariato che Lugli aveva tenuto, scrive: <<… Comincia con un viaggio gustoso, o meglio una serie di viaggi, gite, scampagnate alla ricerca di porcellane, bronzi, mobili, argenti, dove ogni “pezzo” svela un risvolto curioso, narra un episodio singolare, un’avventura bizzarra. … Sempre con sagacia, misura e tono lieve del “connaisseur”, Lugli spiega i suoi racconti drammatici o surreali, con l’aria di chi conosce bene il mestiere, i suoi trucchi e inganni>>.

Sul Resto del Carlino scrive Stefano Marchetti: <<… Pagina dopo pagina Lugli disegna tanti piccoli “ritratti”, storie minute legate ciascuna a un particolare oggetto d’antiquariato che a sua volta evoca la “presenza” al suo fianco di un personaggio, di una figura. … La scrittura vivace, gradevole, quasi cinematografica sa animare e rendere protagonisti anche quelli in noce o mogano e alla fine del libro sentiamo che il tarlo ci ha lasciato un po’ d’amore per gli oggetto del passato>>.  

La colpa è nostra

Franco Riva su L’Arena di Verona: <<…Di Lugli conosco il suo primo fortunato libro; il secondo, una serie di racconti usciti da Mondadori, ora il terzo “La colpa è nostra” che supera senz’altro il libro di racconti e idealmente si restringe nel territorio allucinante del primo. Che impegna il lettore con una inquietudine e una provocazione continue; non gli dà pace. (…) Certamente tra la folla di romanzi e di racconti nuovi che scorro, pochi sono quelli che mi trattengono fino all’ultima pagina. Ma il libro di Lugli mi ha tenuto occupato fin in fondo, mi ha obbligato ad ordinarmi un’istruttoria proprio per il carattere sospensivo, lievissimo, talora urtante dellle sue situazioni e dei suoi personaggi. Un puntiglio di venirne a capo (ma non certo perché il romanzo sia un romanzo giallo), perché la costruzione intimista, appartata, a chiave, da un lato rappresentava una sfida alle mie convinzioni e, ripeto, dall’altro, mi rammentava lo struggimento e la pena che mi erano sortiti dall’allucinante clima del suo primo libro.

Renato Bertacchini su Studium Roma: <<… Narratore intelligente e cauto, fuori della vita precaria e intricata degli impulsi e dellle sollecitazioni allla moda, Remo Lugli ha sempre controllato la statura e i gesti dei suoi personaggi. Qui, ne “La colpa è nostra”, anche i momenti più drammatici e umanamente strazianti, come la lunga scena a suspence del ritrovamento del cadavere (che risulterà poi inaspettatamente non di Danilo, ma quello di suo fratello Enrico) sono mantenuti nell’ordine di una compostezza, di un equilibrio compositivo e stilistico sapientemente e suggestivamente dosato. Al punto che può derivarne (e si badi, si tratterà di un dato pur sempre positivo) la legittima impressione, alla fine, di un libro a struttura chiusa, fatto rarissimo oggi nell’inflazione purtroppo corrente di romanzi “aperti” e “disponibili” al massimo. Un romanzo bloccato dietro una trafila tematica a contorni fissi, con figure all’interno, le quali più che viventi di per sé, finiscono col restare assorbite dal clima notturno, dal senso di attesa e di colpa, che rimane costantemente alluso da quel tempo di notte. Una notte tragicamente eterna e inconsumabile, oscura e punitrice.>>
<<… È un romanzo questo che merita una speciale segnalazione per la verità che racchiude – scrive Angelo Ubbiali su L’Eco di Bergamo- : non si può restare insensibili di fronte al male che facciamo agli altri, è necessario un continuo esame di coscienza sulle nostre azioni che hanno riferimento al prossimo, bisogna uscire dal piccolo mondo della nostra nullità per arrivare a qualcuno o a qualche cosa che ha un valore essenziale nella vita degli uomini, comunque siano i fatti della vita stessa. Uno dei protagonisti, verso la fine del libro, confessa: <>. Non abbiamo citato queste righe, in cui si manifesta la presenza religiosa di Remo Lugli, per un semplice calcolo, ma per dimostrare come nell’indagine del romanziere emiliano l’approfondimento della situazione morale denunciata non rimane in un ciclo chiuso, laico, indifferente agnostico: la verità dei suoi personaggi si prospetta senza complessi di inferiorità, in una aperta e leale disamina, che dimostra fede nell’autenticità umana. Per Lugli, se avesse voluto giocare nella chiave di una certa narrativa anche di casa nostra, sarebbe stato facilissimo imbastire una disumana e artificiosa combinazione esistenzialista, con un argomento invitante come quello del suo ultimo libro>>.

Teresa Buongiorno, su Rotosei-Roma, conclude così la sua recensione: <<Senza retorica e senza sbavature intellettualistiche Lugli cela nell’evidenza dei fatti la considerazione dell’imponderabile della vita, dell’erroneo voler costringerla in preconcette interpretazioni, pur evidenziando d’altro lato il peso che ogni azione, ogni gesto, nel flusso di mille altri consimili, possono avere nella vita altrui. Ancora una volta, tra le ricerche tutte terrene di spiegazione alla vita, si apre una luce di fiducia nell’imprevedibile forza di rirpresa dell’uomo>>. 

 
      Il piano di sopra
    L’amico Guido su Grazia. Dopo una descrizione: << È avvenuto qualcosa in quella cucina, o nulla di nulla? Un capolavoro, nel suo genere: di ambiente, di psicologia, di caratteri. La campagna, i contadini, quell’atmosfera di paure per ombre inconsistenti, o l’impossibilità di una disgrazia che si affaccia nell’aria – un incendio, un diluvio d’acqua, un’epidemia di bestiame, un suicidio – sono i temi del libro>>. Su Stampa Sera scrive tra l’altro g. n.: << Al “male di vivere” cui erano condannati i personaggi delle “Formiche” si è aggiunto, nelle figure che popolano “Il piano di sopra”, un profondo disagio spirituale, un tormento insistente, una ansiosa, non inutile ricerca di verità. Il libro di Lugli, per il suo asciutto vigore, la freschezza e la semplicità di linguaggio che restano intatti e persuasivi anche nei momenti più amari e torbidi – la ricchezza e la verità della materia – è destinato certamente ad imporsi al lettore>>. Sul Corriere d’Informazione il critico scrive: <<Sono ventitre racconti, una vasta tastiera sulla quale il giovane narratore, fatto più consapevole dalla “sua” materia e più abile nell’esercizio dello scrivere, cerca motivi meno spettacolari e più sottilmenti suggestivi. Il disteso paesaggio emiliano che si offre tutto alla luce, senza zone segrete, è lo sfondo sul quale si muovono i contadini, le donne, i vecchi disegnati con i semplici colori della cronaca. Ma, su questo mondo all’apparenza tutto dichiarato, lo scrittore inserisce una quarta dimensione, quella del mistero. Proprio perché non può annidarsi negli angoli morti di un paesaggio, o nel sangue di creature senza complicazioni, nasce e discende dal “piano di sopra”, dal determinismo di cui non vediamo il principio ma di constatiamo gli effetti nella sua implacabile capacità di suscitare angoscia e dolore da un inventario di cose di per sé né angosciose né dolorose. La dignità di questi racconti – che corre sul filo invisibile che regge le storie degli uomini – assicura sviluppi sempre più promettenti nell’arte del giovane narratore emiliano>>. Ferdinando Virdia su La Fiera Letteraria, dopo un esame del primo libro, scrive che in questi racconti <<Lugli dimostra una maturazione diversa: il dramma non è più imminente e totale, e spesso all’ossessione si alterna l’allegoria e l’ironia, pur lasciando intatta nel racconto quell’attitudine a penetrare nell’irrazionale, a disintegrare i piani della realtà esterna, a guardare la realtà sotto la prospettiva sempre mutabile dell’immaginazione e del sogno, che rappresentano le vere costanti di questo narratore. Che il Lugli sia pervenuto a una maggiore scaltrezza compositiva rispetto alle Formiche, lo prova come egli sappia usare un certo crescendo angoloso (si legga Incendio di notte, nel quale sembra far leva su una precisione cronachistica, diremmo quasi nello scatto automatico di angoscie successive che alla fine si dissolvono in un finale rarefatto) così da condurre la narrazione attorno al suo tema centrale mantenendola sempre nella misura imposta dagli eventi raccontati, senza forzare la sua atmosfera, ma operando piuttosto attraverso un’abile dosatura di particolari per rendere persuasiva una fuga dal reale facendo leva tuttavia sul reale per creare una dimensione fantastica>>. Su La nuova Stampa scrive a. g.: <<...Circola , in molte di queste novelle, una vena di ironia, sottile talora, molto scoperta altrove, che alleggerisce la tensione e indica, con discrezione, il giudizio dell’autore sui casi e sui personaggi. Ed i casi, narrati per disteso, o raccolti in rapidi scorci, non sono mai arbitrari o gratuiti, anzi appaiono bene inquadrati in quel paesaggio di pianura o di colle, avvolti da un’atmosfera abilmente preparata, che presuppone nel Lugli una lunga sedimentazione di memorie e un travaglio non superficiale di linguaggio. Il risultato non è soltanto provvisorio e, nei limiti del racconto, tanto più valido quanto più breve, può dirsi quasi sempre positivo>>.
    Le formiche sotto la fronte
    Corrado Pizzinelli, sul Corriere Lombardo di Milano, ha scritto: <<…Contadini pure sono, e non oleografici, i protagonisti del romanzo che Vittorini ha pubblicato nei “gettoni” e cioè “Le formiche sotto la fronte” di Remo Lugli, un giovane scrittore nato a Reggio Emilia nel 1920. Questa opera, la prima, è di una singolare forza e bellezza, e seppure qua e là difettosa nella tecnica della stesura e nel linguaggio troppo duro e violento, è pur tuttavia drammatica e poetica e degna di meritare più della solita e distratta attenzione che generalmente il pubblico concede ai giovani scrittori>>. Dopo aver raccontato la trama Pizzinelli conclude: <<Libro drammatico e crudele, pieno di una sua disperata poesia, ci rivela un eccezionale temperamento di narratore>>. Il critico Giuseppe De Robertis su Il nuovo Corriere di Firenze, dopo aver raccontato la storia, scrive: <<Il Lugli che tiene un poco dei neorealisti e gli piacciono le parolacce (e a noi no), da come le adopera, a un certo punto si riscatta come semplice scrittore, scrittore avvertito quanto mai. Non foss’altro (ma noi abbiamo sottolineato già la scena della morte di Paolo, che fa proprio scena: il luogo, la gente intorno, e certi risalti), ci sarebbero quelle cinque o sei pagine sulla fine (144-149), dov’è la poetica pittura della <<casa di sassi>> sul Monte spalla (<<…a guardarla così sembra che abbia allungato il collo per vedere qualcosa in lontananza>>): la pioggia, la solitudine, il muoversi e stormire (o parlare) degli abeti e dei larici, il senso di tutte le cose intorno, e a parte, in parte segreta, i sentimenti vivi come tante presenze. Che ciò si verifichi per l’appunto nella seconda metà del libro, dopo quel tal mutamento detto, conferma il mutamento e aggiunge una nuova prova delle qualità d’uno scrittore e narratore e interprete di fatti (non solamente, cioè, impressionista e descrittore facile)>>. Su Il popolo di Roma Enzo Fabiani scrive, a conclusione della recensione, <<Lo stile di Lugli è sobrio e pulito, direi sdegnoso e dimostra una personalità robusta ed attenta. Qua e là la forma un po’ disuguale e non sempre riscattata, ma queste non sono che piccole crepe in un bel bassorilievo>>. Sul quotidiano inglese Recorder Weekly, della versione inglese si dice: <<Che piacere è immergersi nella lettura di un altro esempio di romanzo moderno italiano>>. <<Un romanzo niente affatto dispersivo>>, scrive Fernando Losavio sulla Gazzetta Padana, <<ma fortemente unitario. (…) Ora tutto questo è detto con parole semplici e piane, con una tecnica che si identifica con l’opera d’arte e non è più tecnica, ma narrazione essenziale, in apparenza fredda e calcolata, in realtà fremente e osessiva. (…) Romanzo di un giovane che ha scaltrezze in quanto diventano arte, dell’uomo maturo>>. Giovanni Cristini sul Giornale di Brescia: <<…Un libro forte che indica una svolta sostanziale nella giovane narrativa italiana (…) uno stile scontroso e aspro, con una lucida spietata coscienza. Un altro documento del “male di vivere”, senza spiragli e risorse. Ma un libro che avvince e persuade>>.