tag:blogger.com,1999:blog-60908161964334540192024-03-19T08:31:01.946+01:00Remo Lugli: giornalista, scrittoreAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.comBlogger100125tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-65388430836512365732016-12-03T11:47:00.001+01:002016-12-03T17:58:56.982+01:00PolarisElisabetta, nipote di Remo, <a href="http://ilmiolibro.kataweb.it/articolo/ilmioesordio-2016/298546/ilmioesordio-i-vincitori-delledizione-2016/">ha vinto il concorso letterario <i>Il mio esordio</i></a>: il suo primo romanzo, <a href="http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/252029/polaris/">Polaris</a>, verrà pubblicato da Newton Compton.<br />
<br />
Sono contento che nonno Remo abbia fatto in tempo a leggere questo suo lavoro, pronosticandone il successo.<br />
<br />
Congratulazioni Eli, il nonno sarebbe fiero di te!<br />
<br />
<i>Daniele Lugli</i>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-65416810034899763992016-12-03T11:28:00.000+01:002016-12-03T11:28:22.608+01:00Note al racconto "Un mestiere"Faccio riferimento al racconto pubblicato nel post precedente.<br />
<br />
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
Mio padre Remo ha conservato e catalogato, oltre ai racconti, anche i
ritagli di tutti i suoi articoli di cronaca e nella collezione non
trovo nulla che combaci con questa narrazione, che quindi va
considerata di fantasia. Emerge però un senso di rimorso, di disagio
che, per essere descritto così realisticamente, probabilmente è
stato vissuto. Disagio per certi aspetti di una professione – o
mestiere, come lo definisce lui nel titolo – che può costringere a
procurarsi informazioni secondo modalità non scorrette ma nemmeno
limpide: piccoli sotterfugi, insomma.</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
Gli fa onore questo suo rimorso per quelle che, tutto sommato, sono
ben piccole cose. Devo dire: fa anche un po' di tenerezza se si
guarda a ciò che, nel mondo del giornalismo, avviene da sempre e,
forse, oggi più di un tempo. Il Pulitzer per il giornalismo è
costellato, fino agli anni recenti, di premi contestati per resoconti
risultati poi infedeli e tendenziosi, plagio, invenzione. Anche senza
andare così lontano, abbiamo sotto agli occhi tutti i giorni esempi
di notizie riportate selettivamente o distorte per portare acqua a
qualche mulino.</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
Voglio riferire un minuscolo caso, sul quale sono ben informato
perché mi è capitato personalmente. Il giorno successivo alla morte
di mia madre arrivò a casa la telefonata di un cronista de La Stampa
di cui non voglio ricordare il nome. Alla sua richiesta di
informazioni risposi che era gravemente malata da tempo. Era un mese
di Luglio particolarmente caldo, e mi chiese se l'afa potesse aver
contribuito al decesso. Può darsi, gli risposi un po' stupito per la
domanda; l'afa sta dando fastidio a tutti, ha dato fastidio anche a
lei.</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
Il giorno dopo compare su La Stampa questa breve notizia, che riporto
testualmente omettendo solo il nostro indirizzo:</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
<i>Donna stroncata dal caldo</i></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
<i>Il gran caldo e l'afa hanno fatto una vittima ieri pomeriggio a
Torino. Un'anziana donna di 67 anni, Else Totti, residente in ... è
giunta cadavere al pronto soccorso delle Molinette dopo essere stata
colta da malore nella propria abitazione poco prima delle 17.</i></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
<i>La donna era con il figlio, Daniele Lugli, che l'ha sentita
lamentarsi per il caldo. L'uomo non ha tentato invano di soccorrere
la madre prima di trasportarla il più in fretta possibile al più
vicino ospedale.</i></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
<i>Il decesso della signora Totti conferma i giorni difficili che
stanno vivendo coloro i quali, in particolare modo gli anziani, sono
costretti a trattenersi in città malgrado il gran caldo di questi
giorni. Anche ieri chi non ha potuto scappare al mare ed in montagna
ha boccheggiato sotto i 36 gradi registrati in pieno centro poco dopo
mezzogiorno.</i></div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
(Lasciamo stare il <i>non</i> di troppo, che rende incomprensibile il
secondo paragrafo). Non ha nessuna importanza, e infatti non viene
neanche menzionato, il fatto che la signora Totti fosse da anni
minata da un cancro; dalla notizia pubblicata risulta invece che è
morta perché <i>non ha potuto scappare al mare ed in montagna</i>.
Forse non poteva permettersi di andare in vacanza? Una nota di colore
per strappare una lacrimuccia al lettore.</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
(Remo all'epoca era già in pensione ma poté pubblicare, il giorno
successivo, qualche riga in termini più aderenti alla realtà).</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
Che interesse può aver avuto il cronista a stravolgere così la
notizia? Non si tratta di politica, non c'è da sostenere le parti di
qualcuno contro qualcun altro. Un indizio lo si ricava sfogliando le
altre pagine in quella data. A pagina 10 c'è tutta una serie di
articoli sul caldo eccezionale: è anche colpa di Saddam che,
bruciando i pozzi, avrebbe causato un effetto serra sul Mediterraneo;
le fiamme minacciano poderi nel Sassarese; è allarme rosso nei due
terzi degli USA; il caldo scatena la violenza, 17 omicidi a New York;
e così via.</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
È molto semplice, mi sembra: la notiziola della morte della signora
Totti andava 'pettinata' per renderla coerente con le tematiche del
giorno, e quindi più interessante.</div>
<div style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm; text-decoration: none;">
Di fronte ad un giornalismo di questo tipo, sì, confermo: mi fa
tenerezza il rimorso provato da mio padre (che, nella sua lunga
carriera, non ha mai avuto non dico una querela, ma neanche una
lamentela da parte di un intervistato) per aver offerto un mazzo di
fiori col secondo fine di scattare una fotografia.</div>
<style type="text/css">
<!--
@page { margin: 2cm }
P { margin-bottom: 0.21cm }
-->
</style>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Tutto ciò sia detto, beninteso, senza generalizzare. Di giornalisti
corretti, ovviamente, ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
<i><br /></i></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
<i>Daniele Lugli</i></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-40176542130620537892016-10-23T13:28:00.001+02:002016-10-23T13:34:34.119+02:00Un mestiere<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
La notizia era
giunta al giornale solo nella tarda serata: qualche ora prima, nel
pomeriggio, in un paese di montagna della provincia, una ragazza di
venti anni era morta in circostanze misteriose per un colpo di arma
da fuoco al cuore. Al momento della sciagura ella si trovava in
compagnia del fidanzato, in un campo isolato da qualsiasi abitazione,
a due chilometri dal paese. L'uomo aveva dichiarato che la ragazza,
mentre sedeva al suo fianco, gli aveva improvvisamente tolto di tasca
la rivoltella e si era uccisa. Simile versione non aveva convinto i
carabinieri i quali avevano subito fermato l'individuo. Era una
«notiziaccia» da far saltare sulla sedia anche il cronista più
indolente: c'erano novantanove probabilità su cento che si trattasse
di delitto e un delitto, per quel nostro giornale di provincia, era
una inaspettata miniera che ci avrebbe regalato per una mezza dozzina
di giorni ottima materia prima. Il direttore mi disse di partire
l'indomani mattina presto e si raccomandò che facessi anche molte
fotografie.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Arrivai nel paese,
con l'automobile, alle otto e, prima ancora di andare a sentire la
versione ufficiale della polizia, cercai di avvicinare coloro che
conoscevano i personaggi del dramma onde ricostruire i fatti per
conto mio.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
La storia era
abbastanza interessante. La vittima, Maria, faceva la bigliettaia nel
baraccone della donna serpente che da una decina di giorni si trovava
in paese per la Fiera imminente.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Maria era
meridionale; due anni prima si era trasferita in una grande città
del Nord assieme ad altre tre sorelle, in cerca di lavoro, e tutt'e
quattro si erano
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
sistemate come donne
di servizio. Lei si era fidanzata con un giovane che faceva la
guardia notturna. Poi, un giorno, aveva imparato che quest'uomo era
sposato e aveva due figli, perciò lo aveva lasciato. E poichè lui
insisteva per non perderla, era partita dalla città con il
baracccone della donna serpente. La mattina del giorno del fattaccio
lui era arrivato in paese e l' aveva avvicinata. C'era chi li aveva
visti e sentiti litigare, altri li avevano visti, nel pomeriggio,
incamminarsi come due innamorati felici verso la campagna in cerca di
solitudine. Più tardi lei era
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
morta per un colpo
di rivoltella.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Quando ebbi riempito
d'appunti parecchi foglietti del taccuino e scattato una decina di
fotografie sul luogo della tragedia e a coloro che in un modo o
nell'altro potevano essere tirati in ballo negli articoli che dovevo
fare, andai alla caserma dei carabinieri per ave,re notizie ufficiali
e, possiilmente, la fotografia dell'uomo fermato. Mentre mi accingevo
a suonare il campanello, sentii alle mie spalle una sonora risata. Mi
voltai e vidi Renato, un mio collega redattore di un'agenzia
giornalistica. «E' inutile che tu provi», disse, «non ti lasciano
nemmeno entrare».</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Andai a sedermi sul
parafango della sua macchina che era all'ombra della casa di fronte.
«Se vuoi una buona notizia», mi disse, «te la do io». Rimasi a
guardarlo interrogativamente. «Dentro ci sono le tre sorelle di
Maria, che sono arrivate stanotte: le stanno interrogando».
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
«Caspita», dissi
io alzandomi in piedi e mettendo istintivamente le mani sulla
macchina fotografica che avevo a tracolla. «Puoi star calmo», disse
Renato, «non si lasciano fotografare: ho provato io, prima che
entrassero in caserma, ma non c'è niente da fare». Io dondolavo la
testa, turbato; pensavo che sarebbe stata una fotografia
interessante; se fossi tornato in redazione a dire che avevo visto le
sorelle di Maria e non le avevo fotografate, il direttore sarebbe
andato in furia. «Sono tre ragazze bellissime» aggiunse Renato
scandendo bene le parole, «vestite di nero, con gli occhi arrossati
dal pianto, ma bellissime lo stesso».
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Avevo la smania
nelle gambe e non riuscivo a star fermo. Avrei voluto essere solo e
poter fare, in esclusiva, la fotografia delle ragazze, ma la
situazione era ben diversa. Renato stava comodamente seduto sul
sedile e non dimostrava alcuna intenzione di andarsene; e inoltre la
fotografia si annunciava difficile, almeno secondo quanto diceva lui.
Sarebbe stato meglio non considerarci concorrenti e lavorare
d'accordo, forse così avremmo avuto maggior successo. Gliene parlai
e lui acconsentì. Si trattava, ora, di escogitare qualcosa che ci
permettesse di fotografare le sorelle di Maria. Ci mettemmo a
pensare, in silenzio.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
La striscia bianca
di sole, nella strada, si andava sempre più allargando, si adagiava
già su di un fianco della macchina e l'aria era afosa. «Ho trovato»
dissi io a un tratto, «quando escono, ci offriamo di accompagnarle
sul posto dove è morta Maria per deporvi dei fiori e intanto che
loro posano i fiori noi scattiamo le fotografie». Renato stava
dicendo: «Ma i fiori... » quando si aprì la porta della caserma:
erano proprio loro, alte belle, vestite di nero, che uscivano.
Balzammo dalla macchina e andammo loro incontro. «Se volete che
andiamo a portare un po' di fiori dove è successo il fatto... » io
dissi, indicando l'automobile di Renato e avviandomi per precederle.
Avevano occhi che parevano vuoti, lontani, e i capelli arruffati.
Continuavo a tenere il braccio proteso verso la macchina e loro
andavano in quella direzione, automaticamente, mute.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
L'automobile partì
con un sobbalzo nella chiazza bianca e afosa della strada. Io
stringevo nervosamente la macchina fotografica. «E i fiori? ...»
chiese a un tratto con voce debole una delle ragazze. «Adesso li
prendiamo» disse pronto Renato e incominciò a guardare nelle
vetrine delle poche botteghe. Ma non c'erano fiorai, lo capimmo ben
presto e un fruttivendolo ce ne diede conferma con un'espressione
meravigliata; eppure bisognava assolutamente che li trovassimo. Una
delle ragazze, al mio fianco, si mise a piangere sommessamente.
«Prova a fermarti davanti a quella villa» suggerii a Renato con
voce malsicura; e infatti di fianco allo stabile si vedeva, tra il
verde, il rosso delle rose. La donna che venne ad aprire il cancello
non ne voleva sapere di darmi dei fiori, diceva
che ne aveva pochissimi e che la sua padrona li aveva contati. Allora
le misi in mano un biglietto di banca e lei tacque e andò a prendere
cinque rose.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
L'auto partì
velocemente e dopo pochi minuti si fermò all'imbocco della
carrareccia che portava al luogo della tragedia. Ci avviammo a piedi,
in silenzio, sotto il sole pieno. Avevo bisogno di liberarmi le mani
per preparare la macchina fotografica e allora allungai i fiori a una
delle ragazze che li prese con gesto lento; ma un attimo dopo
incominciò a singhiozzare, dapprima piano, poi sempre piu
rumorosamente. Eravamo giunti sul posto: io mi fermai e indicai un
punto sotto una pianta d'olmo. La ragazza che piangeva lanciò un
urlo acutissimo e guardò con occhi atterriti la terra; le sorelle le
si appressarono e l'abbracciarono piangendo, poi tutte si chinarono
per posare i fiori. «Maria, Maria» incominciarono a gridare
all'unisono, «perché sei morta, Maria?» Renato ed io ci scostammo
e incominciammo a guardare dentro i reflex delle nostre macchine.
Sotto l'albero il sole filtrava tra le foglie e gettava sul gruppo
delle donne nere e sulla terra violente chiazze bianche. Le ragazze,
inginocchiate, si chinavano ritmicamente a baciare la terra, poi
lanciavano al cielo le braccia chiamando disperatamente Maria, quindi
tornavano a chinarsi. «Maria, Maria eri la più bella di tutte noi,
perché sei morta?»</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Inframezzata a
quelle grida sentii la voce di Renato, bassa e frettolosa: «Che
diaframma. tieni, tu?» mi chiedeva. Io dissi un numero poi gli
precisai che poteva andar bene con una pellicola molto sensibile. «Se
si spostassero al sole» disse Renato, « queste chiazze rovinano
tutto ... ». «Non ti preoccupare» dissi io, «fai conto che sia
ombra piena». E continuammo a scattare. Le loro lamentazioni
sembrava non dovessero più finire: erano staccate dalla realtà
presente, pareva uscissero da una tragedia greca. Quando ebbi
ultimato il rotolo mi avvicinai alle ragazze: «Bisogna farsi animo»
dissi, «non serve a nulla abbandonarsi a questa disperazione, è
peggio».
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Renato ed io le
sospingemmo con delicatezza verso la macchina. Ci dissero che
gradivano andare al parco divertimenti e là le portammo. Quelli dei
baracconi vennero in massa a riceverle ed esse, piangendo, dissero
che noi avevamo voluto portare dei fiori dove era morta Maria. Allora
tutti ci furono intorno, premurosi, e certe vecchie tentarono di
baciarci le mani. Noi salutammo in fretta le ragazze e ce ne andammo.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
«Se sono venute
bene sono una cannonata, queste fotografie» disse Renato, mentre mi
accompagnava alla mia auto. «Devono essere belle davvero» dissi io
e mi pareva già di vedere, nella pagina, il gruppo nero, scultoreo,
delle tre donne inginocchiate sullo sfondo abbacinante del cielo
assolato.</div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
<i>Uscito su Stampa
Sera – Mercoledì 2 – giovedì 3 Marzo 1955</i></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-63527820780798349722016-10-22T12:47:00.001+02:002016-10-22T12:47:39.760+02:00È tutta colpa dell'OCR !Chiedo scusa ai pochi ma affezionati lettori di questo blog per la vergognosa diluizione delle nuove uscite. Il fatto è che ho ormai pubblicato tutti i brani brevi inediti che ho trovato sul computer di Remo. Restano parecchie centinaia di racconti usciti su Stampa Sera a partire dal 1953, più qualcos'altro su altre testate, ma sono tutti in formato cartaceo.<br />
<br />
Mi sono dotato di uno dei più rinomati programmi di OCR (Optical Character Recognition, per estrarre il testo da una scansione) ma, vuoi perché la colla ha fatto increspare i ritagli che Remo aveva raccolto, vuoi perché la carta negli anni è ingiallita, vuoi perché i caratteri sono sbiaditi, i risultati sono deludenti. L'interpretazione del testo risulta così scadente che, in pratica, non c'è nessun vantaggio a correggerla rispetto a ribattere completamente il testo a mano; e questo, ovviamente, richiede parecchio tempo.<br />
<br />
<i>Daniele Lugli</i>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-4338665330759235022016-07-31T19:51:00.001+02:002016-07-31T19:55:35.296+02:00Vengo da MarteIl disco atterrò nel pomeriggio di una domenica afosa e malinconica, sui prati da fieno di fronte alla mia casa. Sdraiato sull'erba dell'aia, mi stavo rodendo le unghie con rabbia perché avevo appena finito di litigare con mia moglie, in cucina, a causa del bambino che le aveva tutte vinte da lei e cresceva pieno di vizi. Non sentii assolutamente alcun rumore, vidi soltanto un luccichio riflesso e alza gli occhi sul campo. Il disco era enorme, alto come una casa alta, largo quanto cinque campi affiancati, con una calotta di sotto e una di sopra e il bordo esterno alto da terra come due piani. Mi alzai in piedi, stupito. Il mio istinto fu di gridare: «Maria, Maria», ma il risentimento che avevo contro mia moglie in quel momento mi soffocò le parole. Pensai allora a mia madre: mi sarebbe piaciuto che ella potesse vedere ciò che io vedevo; ma mia madre era in città, all'ospedale, e stava male.<br />
<br />
Il luccichio del disco era tanto forte che il mio occhio ne era abbagliato; così mi sfuggirono tutte le manovre che gli esseri del disco fecero per uscire. Me li trovai improvvisamente davanti a una decina di metri. Erano in sette o otto, simili agli uomini, ma più armoniosi, bellissimi, tutti alti esattamente alla stessa misura, vestiti d'una specie di cellofàne opaco e aderente alla pelle, solo trasparente sul viso. Ero stupito, ma tuttavia capivo d'avere ancora la mente libera di pensare, di considerare, di ordinare a me stesso la fuga, se lo avessi voluto. Improvvisamente, quando quegli uomini erano a soli tre metri da me, sentii la mente vincolata a qualcosa e dovetti andare avanti, verso di loro. Mi accompagnarono sui prati da fieno, sotto il disco, poi mi fecero entrare, sempre in silenzio. Pochi attimi dopo eravamo già in alto; vedevo, attraverso lo stesso piano su cui posavo i piedi, il nero della terra; poi vidi da una parte e dall'altra della striscia di terra il chiaro dei mari. Mi resi conto che ormai ero lontano decine, forse centinaia di chilometri. Altre terre e altri mari vedevo sulle pareti sfuggenti della sfera che mi stava sotto, smisuratamente lontana.<br />
<br />
Volsi gli occhi intorno a me e vidi una stanza senza dimensioni; intuivo che lo spazio del locale era assai limitato, ma non potevo capire dove fossero le pareti. Gli uomini in cellofàne che mi avevano accompagnato a bordo erano ancora intorno a me e mi guardavano. C'era silenzio perfetto, eppure io «sentivo» che loro dicevano che non mi avrebbero fatto del male: mi volevano solo mostrare agli abitanti del loro pianeta. Pensavano queste cose e io le capivo captando i loro pensieri. Questa ricezione, che avveniva automaticamente e senza fatica, mi dava calma e distensione.<br />
<br />
Ero in piedi e mi pareva di essere sdraiato, senza peso: non sentivo lo sforzo di ogni muscolo per sostenere il corpo. A un tratto le pareti si aprirono in un'apertura senza contorni e noi, in gruppo, passammo oltre, entrammo in altre stanze, enormi, silenziose come la prima, popolate di altri uomini dei quali sentii i pensieri di meraviglia alla mia vista. Oggetti strani vagavano da soli a mezz'aria e andavano a posarsi sulle mani degli uomini per ripartirne ancora, leggeri e autonomi, quando gli uomini se ne erano serviti.<br />
<br />
Pensai a Maria. Se l'avessi chiamata seguendo il mio primo impulso, avrebbe visto che ero finito sul disco. Così, invece, non sapeva niente e certo non sarebbe stata capace di immaginare il motivo della mia scomparsa. Pensai anche a mia madre, ma il mio pensiero fu tagliato a un tratto da altri pensieri che non erano miei ma degli esseri che mi stavano intorno, lo capivo bene. Erano pensieri a me diretti e che io ricevevo: mi mostravano, come su di un vastissimo schermo da televisione, il nuovo pianeta, visto in lontananza, poi più vicino, infine nei particolari fisici; lo schermo si ampliava sempre più, mi sembrava di entrarci dentro e allora sentivo la vita degli esseri che lo abitavano, mi pareva di essere perfetto, purificato, leggero.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
* * *</div>
<br />
All'arrivo trovai quello che già i miei ospiti mi avevano annunciato con il pensiero: un pianeta esattamente sferico, un suolo liscio e duro come l'acciaio levigato, un'atmosfera tersa, immune da perturbazioni, la natura e gli uomini estremamente vicini alla perfezione.<br />
<br />
Gli uomini che mi avevano prelevato dall'aia della mia casa mi accompagnavano ora in visita al pianeta. Era un viaggio meraviglioso perché ovunque io guardassi vedevo cose piene di armonia, di bellezza, di arte sublime. Il pensiero aveva una forza poderosa: con esso gli uomini spostavano il loro corpo e ogni altro oggetto nello spazio con una rapidità strabiliante. Il pensiero era anche creatore di innovazioni che servivano ad accorciare la già tanto breve distanza della perfezione massima. E quando il pensieri si esauriva, gli uomini si autodissolvevano; dalla loro scomparsa nasceva un nuovo piccolo essere con rinnovata energia. Non esisteva dolore perché non c'erano sentimenti legati alle cose fisiche; c'era solamente uno stato di perenne gioia e di beatitudine che veniva dalla perfezione di tutte le cose.<br />
<br />
Il tempo passava ma io non l'avvertivo. Trascinato dal pensiero dei miei ospiti giravo per il pianeta e gli uomini mi guardavano con i loro meravigliosi occhi dai quali scaturivano sguardi di dolcezza e di serenità. Ero affascinato da tutte quelle cose straordinarie, eppure di tanto in tanto pensavo a mia moglie, al mio bambino e a mia madre. Ci pensavo sempre più frequentemente. Provavo in me una tenerezza infinita per Maria e un rimorso profondo per quelle parole aspre che le avevo detto quel giorno durante la lite per Giancarlo; poi avevo in mente mia madre che era all'ospedale e forse peggiorava. Pensavo: «Ma perché questa gente non mi riporta sulla terra?» Allora i miei ospiti mi additavano, con il pensiero, ai loro simili: «Lui e tutti gli altri della terra sono ancora schiavi della parola e del dolore, dei sentimenti e della forza fisica. Hanno un pensiero incapace di agire”. Pensavano questo di me, ma non mi disprezzavano, mi amavano, piuttosto. «Resta» mi dicevano col pensiero; «se resti supererai in un attimo milioni di anni nel cammino della perfezione, il tuo pensiero diventerà forte della forza che c'è nell'universo intero, il tuo corpo si perfezionerà, la tua mente saprà creare cose meravigliose».<br />
<br />
Ero commosso. Mi attraeva enormemente quell'atmosfera di perfezione, ma intanto mi pareva di vedere, al posto dell'armonioso paesaggio che mi circondava, l'aia di casa mia, verso sera, e Giancarlo che giocava col cane intorno ai cumuli di paglia. Poi i miei occhi entravano in cucina a cercare Maria. Maria era brutta, aveva due denti sporgenti e non sapeva educare nostro figlio, ma era buona e io le volevo bene. E volevo bene anche a mia madre che era all'ospedale. «Se tu scenderai sulla terra» pensavano gli uomini che mi accompagnavano, «andrai ad assistere alla morte di tua madre, alle malattie di tuo figlio, e ciò ti addolorerà». Era estremamente bello, guardare il paesaggio, sentirsi senza peso e immerso nella poesia, sapere che tutti avevano solo in sé della gioia, eppure io pensavo a mia madre, a Giancarlo e a Maria e mi sentivo già disposto a piangere la morte e le malattie perché sapevo che in seguito avrei raggiunto, a poco a poco, la tranquillità e la letizia. E la mia mi sembrava dovesse essere una letizia diversa da quella che si trovava ovunque, con facilità, su quel pianeta. Mi ricordai anche del giorno in cui era morto mio padre, dei pianti disperati che avevo fatto e della bontà che avevo sentito venirmi nell'anima via via che il dolore scemava.<br />
<br />
Allora pensai intensamente al disco che mi aveva portato sul nuovo pianeta. Gli uomini che mi circondavano dissero col pensiero che avrebbero esaudito il mio desiderio e mi condussero per meravigliose distese di luci di ogni colore. A un tratto fummo davanti al disco, poi entrammo.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
* * *</div>
<br />
Atterrammo sugli stessi prati da fieno davanti a casa mia. Era una mattina piovigginosa e fredda. Trovai Maria nella stalla, intenta a dare fieno alle bestie. Mi guardò a lungo, stupefatta; poi, prima ancora di chiedermi dov'ero stato, mi disse che Giancarlo era a letto, con la polmonite, e che mia madre era morta.<br />
<br />
Sentii le gambe vacillare e un desiderio violento di mettermi a piangere. E quando il pianto mi sgorgò improvviso, mi parve che mi purificasse dentro, che mi facesse bene.<br />
<br />
Era una conquista, quel pianto, io lo sentivo; e sapevo che dopo avrei trovato la serenità.<br />
<br />
<i>Uscito su Stampa Sera di Lunedì 1 - Martedì 2 Novembre 1954</i>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-40834238748974225062016-06-13T19:55:00.001+02:002016-06-13T19:55:39.017+02:00Un nuovo blog per ElseInvito i lettori a visitare <a href="http://elsetotti.blogspot.it/">http://elsetotti.blogspot.it</a>, il nuovo blog dedicato alla poesia e alla pittura della moglie di Remo.Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-65355016304389282272016-06-02T12:57:00.003+02:002016-06-02T13:02:29.849+02:00Un'intervista al grande Enzo Ferrari<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.56cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
Riordinando la documentazione dei miei servizi da inviato mi è
capitato di riascoltare la registrazione di un mio colloquio con
Enzo Ferrari. Emozionante rievocazione. La data: 5 settembre 1975. Il
direttore della Stampa, Arrigo Levi, mi aveva mandato a Maranello per
sentire il grande padre della Ferrari. Era un momento cruciale. Tre
giorni dopo, domenica 8, a Monza si sarebbe corso il Gran Premio
d'Italia e il settore sportivo dell'azienda era pieno di promesse, ma
il settore industriale era in crisi, con quasi metà delle maestranze
in cassa integrazione. L'imminente gara fu poi un trionfo con la
doppietta di Niki Lauda e Clay Regazzoni e la conquista
dell'undicesimo campionato mondiale conduttori (ed erano così 21 le
vittorie di campionato del mondo tra marche e conduttori
totalizzate), ma in quell'incontro io dovevo parlare con Ferrari
dell'aspetto industriale, della crisi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.56cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
Il rincaro della benzina a partire dai primi anni Settanta e la
limitazione della velocità avevano rallentato le vendite: c'erano in
stoccaggio 470 vetture, un numero enorme per un'azienda che aveva una
produzione di sette-otto macchine al giorno. L'argomento non era
gradito a Ferrari e molto gentilmente mi spiegò perché. Non era
cosa di cui si occupasse. Dal '69 c'era stato l'ingresso della Fiat
nell'azienda della quale era stato nominato presidente, con pieni
poteri solo per la parte sportiva e completa estraneità al settore
produttivo. Diceva: «Ho ottenuto un vitalizio, posso fare quello che
voglio nel campo delle corse, mentre in quello industriale non voglio
metterci mano: è roba che scotta, io non ho nessuna responsabilità,
né amministrativa né tecnica, do solo dei suggerimenti quando me li
chiedono. Certo, in questi giorni mi trovo in una particolare
situazione: il direttore generale ha dato le dimissioni la settimana
scorsa e quello nuovo non ha conoscenze per poter parlare. Si
rivolgono a me ma io non so rispondere, sulle gran turismo posso
esprimere soltanto delle opinioni personali, niente di più».
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.56cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
Si fece presto ad esaurire il tema ufficiale dell'incontro, poi si
passò al colloquio informale, a ricordare il passato. La mia ormai
ventennale lontananza da Modena mi rendeva curioso e lui con piacere
incominciò ad aprire le pagine dei suoi ricordi. Saltò fuori che
avevamo fatto la prima comunione tutti e due nella stessa chiesa,
Santa Caterina, lui 22 anni prima di me, con don Morandi, io con don
Boni. Parlava con una scioltezza che incantava impreziosendo il
racconto con incisi dialettali. «Ormai mi considerano un po' come un
monumento, <i>un monumeint che quand a cunvin al s'invoca e quand an
cunvin brisa a sec pessa a dos». </i>Incominciò a parlare di
personaggi, dando di ognuno rapide pennellate che in una sola frase
ne presentavano aspetto carattere pregi e difetti. Bersagli
preferiti erano giornalisti, una categoria che l'aveva sempre
attirato: «Se avessi studiato avrei fatto il giornalista». Per lui
i giornalisti si dividevano in due categorie: quelli che hanno già
un'idea precisa, si sono prefabbricata una opinione del personaggio
da intervistare e indipendentemente dalle risposte ricevute ne
ricavano un testo che dà ragione ai loro preconcetti; gli altri, che
vengono a porre delle domande di estrema ingenuità e in tal modo
invitano la persona intervistata ad una comunicativa aperta,
indifesa. Un esempio dei primi: «YX viene qui, gli dico se vuole
vedere la fabbrica e lui risponde che non gli interessa la fabbrica,
vuole parlare con Ferrari per venti minuti. Ma che concetto si può
fare di una persona se prima non conosce bene le opere che ha
promosso? YX fa delle interviste divertenti, sì, ma non sono
sincere, non è quella la verità».
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.56cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
Di queste divagazioni Ferrari si compiaceva. Si divertiva anche lui
come chi l'ascoltava. Ma in quel nostro incontro del '75 d'un tratto
si fece serio, ritornò ad essere quello che lui rappresentava su
quella poltrona nello stabilimento di Maranello. Riprese il tema
iniziale, motivo della mia presenza. «Lei dice che il sindaco di
Modena Bulgarelli ci critica perché non produciamo una macchina di
media potenza che possa interessare una vasta fascia di clienti. Le
spiego: produrre una macchina sui duemila di cilindrata vuol dire
affrontare un costo molto alto per progetti, ricerca, e prototipi da
distruggere per dimostrarne la sicurezza in fase di omologazione,
tutto questo per poi venderla solo sul mercato italiano, al massimo
in 250-300 esemplari: una quantità irrisoria, i conti non
tornerebbero. Noi dobbiamo pensare a un mercato più vasto, cioè al
mondo, dove è il maggior numero dei nostri clienti. I quali vogliono
da noi una Ferrari come siamo soliti proporre, potente e fuori dal
comune, la grande Ferrari».</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-82173888335581800052016-05-08T01:49:00.000+02:002016-05-08T01:56:11.211+02:00Ca-125<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7SCo_PyeMDZeL0A4KhGPb3NFimYrM1k_6HwpYFYK180B5sk8Ts9P5_38RD9TPe5fQbhpf3vN2384gJVfRp-0_Vueg0mw92CUx9p2gjL2dlJ-3Hn5EZhNSHdIFUsXEjEHIBcABhi0G92sL/s1600/1940-primi+%252750.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7SCo_PyeMDZeL0A4KhGPb3NFimYrM1k_6HwpYFYK180B5sk8Ts9P5_38RD9TPe5fQbhpf3vN2384gJVfRp-0_Vueg0mw92CUx9p2gjL2dlJ-3Hn5EZhNSHdIFUsXEjEHIBcABhi0G92sL/s320/1940-primi+%252750.jpg" width="212" /></a></div>
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Guardavo occhieggiare le
vampate rosse del fuoco, nel buio della sera, in fondo al giardino.
Bruciavano le foglie secche che Luigi aveva rastrellato per fare
pulizia nel prato. Ma con le foglie bruciava anche quella grande
custodia azzurra gonfia di cartelle cliniche, tabulati, lastre,
ricette. Era rimasta per mesi nascosta in un armadio nella camera
degli ospiti. In casa non c'era, non doveva esserci. Tutto quel
materiale – per lei – era rimasto in clinica o nello studio di
qualche specialista: lei non doveva vederlo, perché sapevamo, mio
figlio e io, che non voleva conoscere la verità. E in quella
cartella azzurra la verità c'era, drammatica, inesorabile, con il
nome preciso di una malattia e una sigla, Ca-125. Sigla che, ad ogni
esame di laboratorio, il nostro occhio correva a cercare per sapere
come procedeva l'evoluzione distruttiva della quale era l'indicatore
specifico. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Per lei la malattia, come
le era stato spiegato, era un malanno di poco conto, però noioso per
l'incapacità del sistema immunitario di farvi fronte. Istintivamente
non cercava di approfondire: lei, che grazie anche alla sua cultura
scientifica aveva sempre avuto doti intuitive in campo medico, si
adagiava alle spiegazioni di ripiego. Si limitava a lamentarsi per
il protrarsi delle cure e per l'inarrivabile giorno della guarigione.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Per noi che sapevamo, al
dolore e all'angoscia si aggiungeva un senso di colpa, a causa del
segreto che dovevamo custodire e dell'impossibilità di sovvertire
l'infausto corso degli eventi. Sentivamo quell'impotenza come un
tradimento. Ci affannavamo consultando specialisti in città e
altrove, i migliori, ma ne avevamo sempre risposte senza speranza.
Disarmati, con l'animo immerso nell'angoscia, dovevamo avere l'aria
non preoccupata, cercare di parlare di tutto, anche di cose
insignificanti, e del futuro, con la consueta sicurezza, come quando
si era ignari. Costava una fatica terribile. Sentivamo il peso
schiacciante della conoscenza dell'imminente futuro. Ci si rendeva
conto di quanto l'uomo sia fortunato a non sapere che cosa gli
accadrà domani.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Cercavo di evitare di
parlare del passato: temevo di essere travolto dalla commozione e di
scoppiare in pianto. Perché in ogni momento il nostro passato mi era
sempre nella mente: tutta la nostra unione, la nostra vita insieme
che era stata armoniosa e felice, mi si svolgeva davanti agli occhi
della memoria come un film. Parlavo delle cose più varie del
momento, la casa, le nipoti, l'automobile, il cane, la spesa e
intanto mi ricordavo di immagini, scene, attimi lontani cui da anni
non pensavo. Mi sembrava di estrarli, senza intenzione,
automaticamente, da una sacco magico che nemmeno sapevo più di avere
e che sentivo ricco, pieno. Ogni rievocazione mi dava una gioia e al
tempo stesso una tristezza, uno struggimento, una commozione
infiniti. E di notte, solo nella mia camera, in lunghe ore di
insonnia, in genere a partire dalle tre o dalle quattro, questo film
del nostro passato mi girava in continuazione davanti agli occhi del
ricordo. Rivedevo noi entrambi giovani, lei bellissima e di una
vitalità esuberante, gli slanci, l'amore, il senso del dovere, la
bravura nell'insegnamento, nella pittura, nella poesia, i
riconoscimenti, i premi. Mi risuonavano all'orecchio versi: <i>"Quando
mi porti sulla bicicletta / incontro alle immagini verdi / dei campi
e la tua bocca al mio orecchio / si adagia / e dici parole nel vento
d'estate, / oh, allora / come sento di vivere calda / fra le tue
braccia calde. / Come la morte è lontana!"</i>. E poi la
famiglia, il figlio, la casa, la gioia delle nipoti. Ancora versi,
questi per Elisabetta, la prima: <i>"Ricorderai di me queste
vecchie / mani che tentano una carezza? / Questo sguardo che segue
lento / il tuo agile corpo nel sole? / Le mie parole sussurrate / nel
brusio del motore / quando ti porto a scuola? / Le mie parole, le mie
parole / ti possano rimanere. E la mia voce / che sappia risorgere
nel tuo cuore, / se mai sarai sola, un giorno"</i>. E ancora:
"<i>Mi si chiude il cielo / se il tuo piccolo passo / non scende
le scale / e il tuo grido di gioco / non mi rincorre. / Le ore vedo
passare / come immobile vecchio / che attende una rondine / nel suo
lungo inverno".</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Queste rievocazioni di
lei, di noi, del nostro mondo erano un misto di dolore e di gioia:
lacerazioni e lenimento, ma si concludevano quasi sempre nel pianto.
Poi, stremato, m'addormentavo quando ormai era l'ora d'alzarsi.
Bisognava affrontare un'altra giornata, difficile come tutte, piena
di timori e di cautele, senza un barlume di speranza.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nessuno in casa citava
mai i nomi di <i>quella</i> malattia, nelle sue varie forme. Se
l'argomento si affacciava alla Tv, con una scusa si cambiava canale e
nessuno, neanche lei, protestava. Altrettanto con il giornale, si era
svelti a voltar pagina in vista di un titolo scabroso. Aleggiava
sempre su di noi questa cappa opprimente del dolore per la nostra
consapevolezza e del timore che qualcosa o qualcuno potesse
infrangere l'equilbrio fragilissimo che manteneva lei
nell'incoscienza del reale e su un'onda tenue della speranza. Ma non
v'è dubbio che doveva vivere una continua battaglia tra conscio e
inconscio, tra quello che sapeva o intuiva e quello che temeva e non
voleva sapere.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Una volta sola aveva
perduto il controllo di quel suo fragile equilibrio tra il sapere e
il non sapere. Era d'estate, due anni prima della sua ultima estate.
Eravamo in montagna, soli, distesi su una coperta in mezzo a un
prato, ad abbronzarci. Di fianco a noi qualche indumento, la sua
borsetta, un libro, il giornale che avevo comperato uscendo dal paese
e non avevamo ancora guardato; ma io, buttandolo sui sedili
posteriori dell'auto, avevo fatto in tempo a scorgere un grosso
titolo in prima pagina: la morte di un signora, notissima manager di
un ente privato. Non mi decidevo a prendere in mano il giornale per
non dover dire che era morta quella signora, che anche lei conosceva
di fama; perché avrei pur dovuto parlarne in quanto il silenzio, di
fronte a una simile notizia, sarebbe risultato ancora più falso e
imbarazzante.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Fu lei che a un tratto si
sedette e lo aprì. Fu la prima cosa che lesse e subito urlò e si
mise a piangere gridando «anch'io, anch'io, sono malata così
anch'io, dovrò morire, morire, morire...» e piangeva disperata.
L'abbracciai, la strinsi forte, mi sentii il petto bagnato dalle sue
lacrime. Pure io avrei voluto abbandonarmi, ma dovevo assolutamente
aiutarla, difenderla, dovevo ribadire la tesi detta tante volte, che
la sua non era una di quelle malattie anche se certe cure potevano
farlo pensare. E via di questo passo, arrampicato sui vetri del
convincimento, della persuasione, sempre più lisci, improponibili.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Passavano i mesi e la
guarigione non arrivava, anzi, le condizioni si aggravavano. A volte,
quando sentiva avanzare il peggioramento, veniva alle prime luci
dell'alba a sedersi in una poltrona a fianco del mio letto, mi
guardava con occhi nei quali c'era angoscia e terrore, mi chiamava
con voce implorante e mi chiedeva: «Come andrà a finire? Come
andrà a finire?» Quant'era difficile dover sostenere ancora una
volta le solite bugie, dover fingere che sarebbe andata a finire bene
e non poterla invece abbracciare, gridare il suo nome, Else, Else,
amore mio, e piangere con lei senza ritegno.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Finalmente fuori casa, in
auto, solo, potevo lasciare esplodere il dolore e scoppiavo in
pianto, navigavo nel traffico con gli occhi pieni di lacrime.
Faticosamente, con molti rischi, arrivavo ai semafori dove potevo
asciugarmi e soffiarmi il naso. Allora m'accorgevo d'avere intorno a
me, al di là di altri finestrini, sguardi stupiti. Ma per me era uno
sfogo indispensabile; solo così, rincasando, potevo continuare la
mia difficile, penosa finzione.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Guardavo il rosso di quel
fuoco, nel buio della sera. Era l'inizio d'autunno, il primo autunno
senza di lei. Bruciavano le foglie secche e anche la cartella con
tutto il suo percorso del male. Avevamo esitato a lungo, mio figlio
ed io, su quelle lastre, quelle sigle. Non potevamo far altro che
constatare che erano la testimonianza della sconfitta nostra e dei
medici che se ne erano occupati. Se i grafici e i risultati che via
via si allineavano sui fogli e nel tempo avessero portato ad una
miracolosa vittoria, avremmo dovuto, allora sì, conservare ogni
pezzetto di carta, ogni piccolo passo verso la mèta finale. Così
no. E avevamo affidato la cartella all'uomo delle foglie. Mi sembrava
che anche lei approvasse e fosse grata di quel fuoco.</span></span></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-39464775071247452572016-04-23T02:51:00.000+02:002016-06-02T13:00:05.229+02:00Qualcuno alle spalle<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Finito di cenare, il bracciante
Amilcare Berri si levò da tavola e salutò la moglie che stava
lavando i piatti e la figlia Irma di dieci anni che si accingeva in
quel momento a fare il compito di scuola. Sulla soglia, mentre
s'alzava il bavero del cappotto, disse che andava a fare la solita
partita a carte. Ma come fu fuori non voltò a destra verso il paese:
s'incamminò sulla strada in direzione del fiume. Sapeva lui dove
voleva andare. La nebbia era fittissima; non c'era ancora stata, in
quell'inverno, una serata di nebbia così intensa. Appunto per questo
il bracciante camminava in direzione del fiume. Nella tasca sinistra
del cappotto stringeva un piccolo rotolo: erano tre pellicole
fotografiche che aveva trovato fra le altre cianfrusaglie nel granaio
del farmacista il giorno che ci aveva accatastata la legna. Le aveva
raccolte pensando che gli sarebbero servite per fare quello che
voleva fare. Adesso, mentre camminava a fatica in mezzo alla nebbia,
stringeva o rigirava fra le dita il rotolo, nervosamente. Era giunto
il momento di servirsi di quella celluloide.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Una automobile, proveniente dalla parte
del fiume, avanzava a velocità ridotta; si sentiva il rombo del
motore e ancora non si vedevano i fari, poi la luce riuscì a fare
una macchia chiara nella nebbia, la macchia si divise in due punti
bianchi dai quali partivano due coni allungati color argento. Il
rumore crebbe, crebbe ancora, la luce argentò la nebbia della strada
e quella dei campi al di là delle siepi; poi, all'improvviso, tornò
buio. Amilcare Berri continuò ad andare avanti: oltrepassò il
cancello della villa Verde, poi raggiunse il ponte sulla Fossa Larga.
Da questo punto cominciò a contare i passi; ne contò trenta, quindi
si fermò sulla parte sinistra. Aguzzando la vista vide nella siepe
il foro che egli conosceva. Passò nei campi e si incamminò lungo il
filare degli olmi. Ora non poteva più perdersi, anche con gli occhi
bendati sarebbe arrivato alla casa di Martino.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
La nebbia si posava sulla sua faccia
come una polvere fredda e attaccaticcia e la terra, sotto i piedi,
gli era tenera e pesante. Sulla strada passarono, in bicicletta, due
giovani che cantavano a squarciagola, poi il loro canto fu sommerso
dal rumore di un autocarro. Amilcare andava avanti con passo deciso,
si sentiva anche abbastanza tranquillo; ma nella gola aveva un senso
di secco che lo costringeva a deglutire spesso. Improvvisamente,
quando ancora non se lo aspettava, si trovò davanti a una macchia
ancor più scura del buio della notte: era la casa. Si fermò:
sentiva il respiro farsi rapido e pensò che doveva star calmo. Aveva
atteso per tanto tempo quel momento ed ora non doveva proprio
agitarsi, assolutamente. Davanti a lui c'era la parte posteriore
della fattoria, con il porticato pieno zeppo di paglia e di fieno che
faceva corpo con la stalla e, più avanti, con l'abitazione.
Cautamente, cercando di non far scricchiolare gli sterpi sotto i
piedi, avanzò lungo il fianco della casa rimanendo ad una certa
distanza da essa e si andò a fermare al riparo di un cumulo di
legna. Sporgendo un poco la testa vide di fronte a sé, al piano
terreno, la finestra della cucina. La luce che usciva dai vetri
gettava un alone chiaro nel cortile. Il Berri guardò con tutta
l'attenzione possibile nella finestra. Nonostante il fumo che c'era
in cucina, si vedevano abbastanza chiaramente, seduti intorno alla
tavola, Martino e i suoi tre figli. Evidentemente stavano giocando a
carte perché ogni tanto alzavano la mano portandola poi con rapidità
al centro del tavolo. Martino, che era di fronte ai vetri, era in
maniche di camicia e col gilè; si vedevano bene anche i suoi baffi
lunghi e spioventi.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Amilcare Berri sentì come un mulinello
nello stomaco e gli venne fatto di stringere i denti. Il suo odio,
per tanto tempo represso, avrebbe potuto finalmente sfogarsi perché
Martino era nelle sue mani, adesso. Ripensò alle angherie subite;
rivide il contadino mentre gli diceva che doveva licenziarlo; rivide
se stesso chiedere, tante volte, i molto soldi che doveva avere e
Martino e i suoi figli che dicevano di no, che non gli avrebbero dato
niente e lui che insisteva. Sempre così, per tanto tempo. A casa,
allora, l'Irma era ammalata e non si sapeva come curarla.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Erano nelle sue mani, adesso, Martino e
i suoi figli. Strinse con forza il rotolo delle pellicole e con
l'altra mano cercò nella tasca della giacca la scatola dei
fiammiferi. Sarebbe tornato dietro la casa, avrebbe infilato la
celluloide tra la paglia e poi l'avrebbe incendiata. Gli pareva già
di vedere le fiamme divampare e lanciare bagliori rossastri nel buio
ovattato di nebbia. Loro, in cucina, avrebbero visto e sarebbero
usciti di casa urlando. Poi la lotta col fuoco, l'affannosa corsa a
chiamare i pompieri, l'urlo della sirena, i muggiti disperati delle
vacche. Stringeva in una mano la celluloide e nell'altra i fiammiferi: nelle sue mani c'era la possibilità di far succedere tutto questo.
Poteva farlo anche subito, se voleva. Ma Amilcare preferiva
aspettare. Gli piaceva pensare alla scena che sarebbe seguita e gli
piaceva anche pensare che, se avesse voluto, avrebbe potuto lasciare
le cose come stavano: il buio incontaminato, gli uomini intorno alla
tavola che continuavano pacatamente a giocare con larghi gesti delle
braccia, la notte senza urli di sirene né muggiti di buoi. Aveva in
pugno il destino, poteva farne come voleva. A casa, sua moglie a
quest'ora stava rammendando e l'Irma faceva il compito di scuola;
stava bene, adesso, l'Irma, e le due donne non avevano più fame
perché lui un posto buono l'aveva trovato, a dispetto di Martino.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
E ancora rivide i lunghi baffi del
vecchio che sussultavano mentre diceva che non gli avrebbe dato
nemmeno un soldo. SI ritrasse dietro il cumulo di legna e stette un
poco immobile, senza pensare. La nebbia era sempre pesante e scabra.
Sulla strada che scendeva dall'argine e che passava davanti alla casa
non si sentiva un passo. Il silenzio che si allargava nel buio aveva
una sua dolcezza che sembrava fatta di fredda umidità e di odore di
terra.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Lentamente, in punta di piedi, Amilcare
Berri si portò dietro la casa. Il fieno era davanti a lui, lo toccò
con esitazione e lo sentì bagnato; le mani si ritrassero in un gesto
timoroso, ma subito dopo incominciarono a scavare furiosamente con le
dita adunche per fare una nicchia. All'interno del cumulo il fieno
era asciutto e sembrava caldo. Il bracciante provò la sensazione che
qualcuno alle sue spalle stesse per piombargli addosso; sentì anche
per il corpo un brivido che non era di freddo, ma riuscì a
dominarsi. Srotolò la pellicola e la mise nel foro poi, con un
fiammifero, la incendiò. Come vide la fiammata della celluloide si
voltò e fuggì per i campi per fermarsi poi a una cinquantina di
metri dalla casa, dietro a un albero.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Con gli occhi chiusi rimase a lungo ad
ascoltarsi il cuore. Quando li aprì vide nel fienile una chiazza
rossastra. La macchia s'allargava verso l'alto, diventava sempre più
vivida, poi si alzarono da essa fiammate che disegnarono tutti i
contorni del portico. Il bracciante, stretto a un tronco, ascoltava
il crepitio continuo che veniva dal fienile e guardava la luce che
ora forzava la campagna e ad uno ad uno strappava dal buio gli alberi
spettrali avvolgendoli nella nebbia rosa. Una voce nel cortile gridò
«al fuoco» e lacerò il silenzio; era la voce di Martino. Altre ne
seguirono, acute, disperate; e poi muggiti. Era tutto come lui aveva
previsto. Sarebbero venuti anche i pompieri con la sirena e altri
contadini. La sirena, dapprima debole e lontana, avrebbe via via
forzato la nebbia e sarebbe diventata un urlo stridente.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
La luce avanzava sempre di più nei
campi e il bracciante pensò di andarsene. Incominciò a camminare
adagio, senza paura, ma poi affrettò il passo, si mise a correre e
gli parve d'essere inseguito; capiva che ciò non poteva essere,
eppure cercava d'andare più forte che poteva e pensava anche,
correndo, che era contento di essersi vendicato. A casa le sue donne
non avevano fame e Irma non era più malata e lui aveva un posto
buono, mentre la casa di Martino stava bruciando.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Arrivò ansimante e accaldato. Il
portone, al pianterreno, era in fessura, nella loggia c'era la luce
accesa e si udivano voci; esitò un attimo poi spalancò l'uscio:
c'erano uomini e donne di quella stessa casa e di altre case vicine.
Come lo videro entrare tutti tacquero e lo fissarono. Ci fu un attimo
di silenzio, pesante. Un uomo, infine, disse:</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– È successa una disgrazia, mentre
andava alla fontana a prender acqua.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– Chi? – gridò Amilcare fissando
l'uomo con gli occhi sbarrati.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– L'Irma – rispose l'uomo. – È
su; adesso aspettiamo l'ambulanza.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Il bracciante fece le scale di corsa.
Nell'appartamento c'era altra gente. Sua moglie piangeva di fianco al
letto sul quale Irma giaceva con il viso lacerato e insanguinato, le
vesti stracciate e una larga ferita a una gamba. Respirava, ma non
capiva niente.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– L'ambulanza, l'ambulanza, quando
arriva l'ambulanza? – gridò Amilcare.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– Sono andati a chiamarla – disse
una donna.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Un'altra donna si mise a imprecare
contro l'automobilista che era fuggito senza fermarsi a soccorrere la
bambina.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– Ma perché, perché è successo? –
si mise a chiedere Amilcare con voce disperata coprendosi il volto
con le mani.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– Andava a prendere acqua alla
fontana – rispose sua moglie tra i singhiozzi.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Si udì a un tratto in lontananza un
urlo di sirena. Sembrava facesse fatica a forzare quella nebbia, ma
tuttavia aumentava, si faceva più vicino, diventava lacerante.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
– Arriva l'ambulanza – disse una
donna e si avviò abbasso per andarla a vedere.<br />
<br />
<i>(Questo racconto è uscito sulla Gazzetta dell'Emilia del 24 Dicembre 1953 e su Stampa Sera di Lunedì 10 - Martedì 11 Maggio 1954; è stato in seguito incluso nella raccolta Il piano di sopra, pubblicata da Mondadori nella collana La medusa degli Italiani nel 1957).</i></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-62479234575706540322016-04-03T02:05:00.000+02:002016-04-03T02:05:33.976+02:00È tempo di parlare<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEip_AXKUD5VWUAAMVvkzIAeWJkE5q4P_uvGoDI9OvvPuzcKQ1RwB1p_vz2sGAb4k9nmFrDYyBOO0Ykd0_kEPaUeZhzL8Kqdn1c7bVjggw380OLmnCJPmrADQAQfbl7x90chl8yz76wTlui7/s1600/1930%252Canni%252Cparte+restostante+dell%2527Ampergola.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEip_AXKUD5VWUAAMVvkzIAeWJkE5q4P_uvGoDI9OvvPuzcKQ1RwB1p_vz2sGAb4k9nmFrDYyBOO0Ykd0_kEPaUeZhzL8Kqdn1c7bVjggw380OLmnCJPmrADQAQfbl7x90chl8yz76wTlui7/s320/1930%252Canni%252Cparte+restostante+dell%2527Ampergola.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">È tempo di parlare,
fratello,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ora che torna dai campi</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">l’odore di freddo, di
buio e d’incenso</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e la tua mano ancora mi
dice</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">dolcemente tra i capelli,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">come in quella sera di
dicembre,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">un misterioso linguaggio
d’addio.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">E’ tempo di parlare,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ora che gli anni si
perdono</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">fra le ombre della
memoria</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e il lontano passato</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ritorna presente.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Tutto mi nasce intorno
come allora:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">le immense stanze della
casa,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">le màcine, il grano, le
mole,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">le macchine ferme in
attesa dell’alba;</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">l’acqua impetuosa che
preme</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">alle paratie chiuse delle
turbine,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e fugge giù per gli
sfioratori</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">facendo tremare le
pietre;</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e i cavalli che ràspano,
di tanto in tanto,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">nelle stalle dove non
sanno trovare</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">il sonno dei giorni colmi
di fatica;</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e le campagne buie,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">odorose d’incenso e di
freddo;</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e la grande cucina, nera
di fumo,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">con gli amici che ridono
e ballano</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">sulle note velate dei
violini;</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e tu, in un angolo,
seduto</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">sulla vecchia poltrona
del nonno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">con un viso terribilmente
triste;</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e il mio presago pianto
di bimbo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che spengo a tratti sulla
tua spalla</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">mentre alzi la mano per
dirmi,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">dolcemente tra i capelli,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">quel misterioso
linguaggio d’addio.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">È tutta l’Ampèrgola
d’allora,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">di quella notte d’inverno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che vide bruscamente</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">finire la mia
fanciullezza.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Poi le note spezzate del
valzer</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e il tuo nome di bocca in
bocca</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">nel silenzio delle vaste
stanze,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">nelle fredde corsie del
mulino:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">perché tu non sei più</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">sulla vecchia poltrona
del nonno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e non rispondi ai
richiami</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e non cheti l’ansia</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che nei cuori ha l’impeto</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">dell’acqua possente.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Gli uomini cercano adagio</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">per non svegliare la
madre,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ma tu non rispondi</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e solo rimane nell’aria</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">l’eco continua di un
nome.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Tremenda è la notte che
racchiude</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">il mistero della vita e
della morte,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">quando si teme di trovare</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">al di là di ogni passo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">la realtà dell’incubo
che opprime.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Così pare che l’alba
debba venire</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">da una lontana notte
polare.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Ma la prima timida luce</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">scopre il tuo corpo a
galla</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">tra le scroscianti onde
del fiume</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che galoppando fuggono</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">verso lidi lontani.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">E’ impigliato in
qualcosa</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che ancora lo tiene</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">legato alla casa</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e l’acqua lo culla</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">per tenero gioco.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Non ha principio né fine</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">il grido materno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">quando sei steso</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">sulla branda di legno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e gli uomini immobili</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ti fanno corona</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">E’ il grido che sgorga
dalla terra</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e s’alza alto nel
misterioso cielo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che non sa dare risposta.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Gli anni si sono persi</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">fra le ombre della
memoria,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ma il perché della tua
morte</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">sempre è rimasto sospeso
su noi</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e ancora invano cerchiamo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">una parola che plachi</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">il grido della madre.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">È tempo di parlare,
fratello.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Ora che torna dai campi </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">l’odore di freddo, di
buio e d’incenso</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">io ti chiedo di svelarmi
l’arcano.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Lo so che non ci saranno
misteri</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">quando anche per me
s’aprirà</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">la grande giornata,</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">ma allora tutto si
scioglierà</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">nell’infinita
conoscenza.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Voglio saperlo adesso</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">che l’anima mi si rode
nel corpo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">e siamo fermi alla notte
di dicembre</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">in attesa dell’alba.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"> (1946)</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-46288692676864490082016-03-29T10:47:00.003+02:002016-03-29T10:50:48.110+02:00Ancora dalla tesi di Elisa Dagnilevschi<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: x-large;">“</span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">La
qualità, per cui Remo Lugli si segnala ed emerge tra il gruppo di
narratori emiliani del secondo dopoguerra è, per definirla al modo
di Alberto Bevilacqua, quella «di saper dare al romanzo o al
racconto una costruzione risolta non già attraverso più o meno
mascherati residui di lirismo [...], ma grazie ad una robusta
inventiva ed a una tensione psicologica»</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: xx-small;">
</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">che Lugli
mantiene alta per tutto il corso della narrazione attraverso il fine
utilizzo della </span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">suspense,
</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">scoprendo
pian piano i personaggi nel vivo del loro dramma. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">Un
magistrale uso della </span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">suspense
</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">si segnala
soprattutto nel secondo romanzo di Lugli, </span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">La
colpa è nostra, </span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">dove
«la lunga scena del ritrovamento del cadavere di Enrico [è] tenuta
per una cinquantina di pagine con tensione e bravura notevoli»,</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: xx-small;">
</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">come nel 1960
Vittorio Sereni, già citato precedentemente, aveva notato. La
descrizione dettagliata della modalità di recupero del corpo
presunto di Danilo aumenta il sentimento d’attesa nel lettore, fino
a quando la scoperta da parte del narratore che il cadavere è in
realtà quello di Enrico scioglie la tensione: «A un tratto emerse
la faccia e io lanciai un urlo e mi ritrassi con un balzo. Era
Enrico, il morto, non Danilo». </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">I
personaggi di Lugli, intricati in una fitta rete costituita da
superstizioni, egoismi, avidità e sospetti, si svelano gradualmente
mettendo a nudo le proprie debolezze. Le storie che li vedono
protagonisti dimostrano la precarietà di una vita considerata
spesso una condanna, piuttosto che una possibilità giacché essi
preferiscono l’individualismo, la vendetta e perfino la morte al
pentimento e alla solidarietà. La fragilità umana scaturisce
prepotentemente dalle vicende narrate da Lugli, dove raramente
l’individuo emerge come vincitore. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">I tipi di
Lugli, insicuri e indecisi, intraprendono nel corso del romanzo o dei
racconti un cammino di conoscenza e consapevolezza di sé, che nella
maggior parte dei casi è stimolato da eventi esterni (la morte di
un famigliare, un incontro o un evento inaspettato, una disgrazia,
ecc...). I personaggi, spesso sconvolti da ossessioni e drammi
personali, sono sollecitati da un’inquietudine che li anima nella
ricerca del senso della propria vita (</span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">Le
formiche sotto la fronte</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">)
o della verità (</span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">La
colpa è nostra</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">).
</span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">Ancora, in
</span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">Il
piano di sopra </span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">è
evidente che l’attenzione dell’autore si rivolge al mistero che
vela la vita dell’uomo. L’autore si serve della geografia
emiliana «non più solo in modo simbolico, [...] cronistico,
documentario [...], quanto con arte meno allusiva o pittorica, e più
intima, meno fumosa, indistinta [...] e meglio attenta a quel tanto
di mistero». </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">Il peso
del destino che grava ineluttabile sull’uomo non è più svelato
come quello di Berto in </span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">Le
formiche sotto la fronte</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">,
ma è nascosto tra le alterne vicende umane raccontate da Lugli nei
racconti de </span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">Il
piano di sopra</span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">.
Ricerca dell’identità, insoddisfazione, tradimento, ossessione,
speranza, morte sono solo alcuni dei temi di questa raccolta.
Attraverso l’analisi di tali tematiche l’autore indaga l’animo
umano superando la mera descrizione dell’ambiente a favore della
rappresentazione di personaggi egoisti e irrequieti. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">Lugli
invita il lettore a non fermarsi all’apparenza, ma a ricercare le
vere ragioni, i desideri, gli istinti che guidano l’agire umano.
Particolarmente esemplificative a riguardo sono le parole di Lugli
pubblicate su “Il Caffè”: «Le vicende di questa mia gente
cercano d’avere talvolta un significato che vada oltre la
conclusione reale dei fatti narrati, un significato superiore, un
</span></span><span style="font-family: "times new roman" , "italic";"><span style="font-size: small;">Piano
di sopra </span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: small;">per
dirla con il titolo della mia raccolta». </span></span><span style="font-family: "times new roman";"><span style="font-size: x-large;">”</span></span></div>
<div align="JUSTIFY">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<b>Elisa Dagnilevschi</b></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-13480127111241843592016-03-22T01:02:00.000+01:002016-03-22T01:08:17.735+01:00Una tesi su Remo<div style="text-align: justify;">
Congratulazioni alla dottoressa <b>Elisa Dagnilevschi</b> che lo scorso 15 Marzo a Bologna ha conseguito una laurea magistrale a pieni voti in Linguistica Italiana e Filologia discutendo la tesi <i>Remo Lugli scrittore: dalla vita vissuta alla narrazione</i>. Ecco alcuni estratti dal suo lavoro:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
“<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;">Quando il professor Marri circa un anno fa mi ha fatto il nome di Remo Lugli come possibile
argomento di tesi, ammetto che mai prima di quel momento avevo sentito parlare di questo
autore. Tuttavia, mi sono lasciata incuriosire e, non prima di aver letto almeno una parte del
pubblicato di Lugli, ho deciso di intraprendere questo progetto che si è rivelato decisamente
stimolante ed entusiasmante.”</span><br />
<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;"><br /></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;">...</span></div>
<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;"><br /></span>
<br />
<div style="text-align: justify;">
“<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;">Remo Lugli: una vera scoperta </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;">dunque quella che è avvenuta all’inizio del mio lavoro di
ricerca che dalle opere pubblicate mi ha portato all’acquisizione del manoscritto e della sua
</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;">trascrizione digitale del diario di guerra dello scrittore. Fondamentale in questa fase è stata la
preziosa collaborazione del figlio di Lugli, Daniele, che ospitandomi a Torino, dove abita con
la famiglia, mi ha fornito il diario e altro materiale prezioso ai fini della ricostruzione del
percorso di formazione letteraria di Lugli.</span></div>
<div class="page" title="Page 175">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">Durante il nostro incontro egli infatti si è reso disponibile nel mostrarmi i numerosi fascicoli,
corredati da indici, in cui il padre ha catalogato e raccolto tutti i racconti pubblicati e alcuni
articoli che lo riguardano, ciò che dimostra anche </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">la sua meticolosità e cura nell’o</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">rdinare le
tracce della sua esperienza letteraria. Inoltre Daniele si è reso disponibile a fornirmi </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12pt;">informazioni riguardo la vita del padre: la gioventù, la guerra, il matrimonio con Else Totti, il
trasferimento a Torino.</span></div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 176">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">L’unico rimpianto per chi scrive è </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">il ritrovamento del manoscritto de </span><span style="font-family: "times new roman,italic"; font-size: 12.000000pt;"><i>Le formiche sotto la
fronte</i> </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">avvenuto pochi giorni prima della consegna della tesi. Non mi è stato possibile
prendere in analisi integralmente tale manoscritto a causa delle tempistiche troppo stringenti,
tuttavia ho anal</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">izzato l’incipit e esposto il finale che l’autore aveva pensato originariamente
</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">per il romanzo; </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">d’altra parte, mi rendo conto che l’analisi integrale fornirebbe materia per
un’ulteriore studio monografico (e, come diceva Manzoni, di libri ne basta uno per </span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">volta,
quando non è di troppo).
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">Il ritrovamento di tale manoscritto insieme a quello della corrispondenza di Lugli con lo
</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">scrittore Gian Paolo Callegari, il poeta Aldo Capasso e l’agente letterario newyorkese Louis
</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">Navarra, e infine quello del carteggio con gli editori riguardante </span><span style="font-family: "times new roman,italic"; font-size: 12.000000pt;"><i>La colpa è nostra</i></span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: 12.000000pt;">, potrebbero
infatti aprire la strada a un nuovo progetto di ricerca su Remo Lugli, da pochi conosciuto, ma
sicuramente meritevole di un approfondimento maggiore.” </span></div>
</div>
</div>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-41918953695527901602016-02-27T00:55:00.000+01:002016-03-24T10:55:39.599+01:00Scommettiamo una cena?<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
<i>Un
ricordo della bella amicizia tra Remo e Augusto Minucci.</i></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Ci
sono stati, è vero, geni come Leonardo, che seppe eccellere come
pittore scienziato architetto ingegnere e inventore. Più vicino a
noi, abbiamo un Dino Buzzati che si riteneva un pittore prestato alle
lettere; ora, pur apprezzando il suo <i>Poema a fumetti</i> e
constatando che i suoi quadri hanno raggiunto quotazioni
rispettabili, ho l'impressione che le sue opere pittoriche siano
state trascinate dalla sua fama di scrittore e non reggano il
confronto con le opere letterarie. O vogliamo parlare della pittura
del cantautore-musicista Battiato? I critici che se ne sono occupati
ne hanno scritto in maniera più indulgente che benevola, e sono
convinto che i giudizi sarebbero stati diversi se diverso fosse stato
il nome. Per farla breve, secondo me la norma è che chi eccelle in
un campo difficilmente potrà ottenere grandi risultati anche in
altri settori.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Mio
padre, Remo Lugli, indubbiamente aveva qualcosa da raccontare, e
sapeva scriverlo; aveva inoltre l'hobby della pittura, in stile <i>na</i><span style="font-family: "times new roman" , serif;"><i>ï</i></span><i>f</i>.
Ha lasciato alcuni dipinti gradevoli: mentre scrivo ho sotto gli
occhi un panorama delle rive del Po, viste da un ponte torinese, che
mi ricorda Rousseau il Doganiere. Anche l'autoritratto riportato qui
nel suo <i>blog</i> non mi sembra male. Quell'ombra che copre metà
del viso, dandogli un aspetto tenebroso, riflette il fatto che, fuori
dal contesto professionale in cui doveva sciorinare, come un ferro
del mestiere, l'estroversione del giornalista che domanda e
intervista, Remo era invece piuttosto introverso, pessimista,
talvolta cupo, quasi timoroso delle trame che il destino,
ineluttabile, tesse alle nostre spalle, come in molti dei suoi
racconti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Altre
sue opere pittoriche (la maggior parte, ad essere sinceri) non sono
altrettanto ben riuscite. Ho in mente, ad esempio, i ritratti delle
nipoti, che furono quasi causa di crisi di pianto (“Siamo così
brutte?”) C'è da dire, però, che Remo fu sempre pienamente
conscio dei propri limiti come pittore; non dipingeva certo nella
convinzione di creare dei capolavori ma perché provava soddisfazione
nel farlo e, dopo la pensione, era anche un modo per far passare il
tempo. C'era poi una forte componente legata alla manualità della
preparazione dei supporti (cartoni, in genere) e alla gestione di
colori e pennelli. Lavorare con le mani gli era sempre piaciuto e si
era anche costruito da sé il cavalletto, in legno e ferro, che
adesso languisce in cantina.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Uno
dei più grandi amici di mio padre fu sicuramente Augusto Minucci,
suo conterraneo (di origini toscane, ma 'naturalizzato' emiliano) e
collega, prima alla Gazzetta di Modena e poi, per tanti anni, a La
Stampa. Alto quasi quanto Remo e moro come lui, magro, un lungo viso
scavato, una <i>Gitane</i> sempre accesa tra le dita ingiallite,
Augusto si occupava, tra l'altro, di critica d'arte, ed era anche un
discreto pittore. Un carattere molto diverso da quello di Remo:
allegro, iperbolico, un po' guascone, sempre incline alla battuta e
allo scherzo. Anche in politica erano su sponde diverse: mio padre
era un fedele elettore di Valerio Zanone mentre Augusto distribuiva
il proprio voto verso l'estremo opposto. Un anno, quando alle
elezioni ci fu un tracollo del PLI, Augusto telefonò a Remo imitando
la voce di Zanone e lo ringraziò per averlo votato, poi si congedò
dicendo che doveva chiamare <span style="font-style: normal;">gli
altri tre suoi elettori</span>. Sfottò bonari, insomma, che non
intaccarono mai la loro amicizia e cui mio padre qualche volta
rispondeva per le rime ma che più spesso liquidava con un gesto
della mano, uno scuotimento del capo e un accenno di sorriso, come se
non valesse la pena sforzarsi per ribattere.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Negli
anni sessanta mio padre comprò un piccolo appartamento al mare, in
Liguria, e poco tempo dopo Augusto trovò anche lui, da quelle parti,
una casa rustica nell'entroterra. Acquisti fatti per portare in
vacanza i figli, visto che il mare non piaceva a nessuno dei due. Nei
periodi di vacanza condivisi passavano molto tempo insieme, parlando
spesso in dialetto emiliano; disdegnando le spiagge, giravano per i
paesini scattando fotografie (Augusto con la sua Leica M6 che vantava
come nettamente superiore alla Contarex di mio padre); oppure
andavano alla ricerca di robivecchi e rigattieri, sempre con la
speranza di fare il colpaccio, di scovare il pezzo importante
sottovalutato dal venditore. Remo e Augusto erano ambedue fieri delle
proprie collezioni di antiquariato e spesso si perdevano in
interminabili discussioni confrontando i pezzi, ciascuno vantando i
propri e denigrando quelli dell'amico; poteva anche capitare, ma
raramente e dopo lunghe ed estenuanti trattative, che facessero degli
scambi. È anche da giornate come queste che viene l'ispirazione per
molti dei racconti di mio padre centrati sull'antiquariato, usciti
prima su La Stampa e poi raccolti nel volume <i>Tarlo ci cova</i>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Alla
sera sovente si ritrovavano con le famiglie alla Trattoria del Bosco,
sull'altopiano delle Mànie alle spalle di Finale Ligure. Un locale
rustico, immerso nel silenzio e nel verde della “macchia
mediterranea”, che offriva coniglio, allevato in libertà e preso
con il fucile come fosse selvaggina; arrosto; cima alla genovese;
cinghiale, quando capitava a tiro; vino nostralino; raramente menu di
mare, boghe per lo più. Cibo genuino, cucina semplice, trattamento
famigliare, lunghe tavolate, gran risate, piccolo conto rigorosamente
pagato <span style="font-style: normal;">alla romana</span>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Avendo
tempo a disposizione, era inevitabile che le punzecchiature di
Augusto arrivassero a toccare anche il tema della pittura di Remo. Io
non ero presente, probabilmente ero in spiaggia a fare a botte con i
bambini di Milano, ma credo proprio che le cose siano andate come ora
le descrivo: Augusto deve aver detto a Remo che non sarebbe riuscito
a trovare chi accettasse un suo dipinto neanche in regalo e deve
averlo sfidato scommettendo una cena. A quell'epoca, i paesini della
Riviera brulicavano di piccole gallerie d'arte, aperte solo d'estate,
che vendevano quadri di artisti più o meno improvvisati ai turisti
desiderosi di arredare con poca spesa le case delle vacanze. Remo
deve aver pensato che, se tanti erano disposti a spendere qualche
lira per quadri di modesto valore, anche lui sarebbe riuscito a
piazzarne uno dei suoi, tantopiù gratis. Così, pur essendo
contrario per carattere alle scommesse ed a qualsiasi azzardo, finì
per accettare.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Quel
pomeriggio si trovarono sulla passeggiata a mare, o su qualche altra
via con buon traffico pedonale. Mio padre aveva portato una sua
opera, una natura morta con frutta, credo. La appoggiò ad un
muretto, ben in vista, come fosse stata abbandonata; poi, lui e
l'amico sedettero su una panchina poco distante a sorvegliare la
scena.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Ogni
tanto qualche passante rallentava, gettava un'occhiata, poi tirava
avanti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Dopo
forse due ore, un refolo di vento o l'aria mossa da un'auto veloce
fecero cadere il quadro a faccia in giù. Remo fece per alzarsi e
andare a raddrizzarlo ma fu preceduto dall'ennesimo passante che,
incuriosito, lo raccolse da terra, lo guardò a lungo – mio padre
deve aver creduto, per un attimo, di aver vinto la scommessa – ma
poi lo rimise giù, come l'aveva trovato, e se ne andò.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Fu
troppo. Raccolse la sua natura morta, la gettò con rabbia in un
bidone lì vicino e, tra le risate di Augusto, si dichiarò
sconfitto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Quella
sera ci trovammo tutti alla Trattoria del Bosco. Remo toccò appena
il cibo mentre Augusto mangiò ben più del solito, con grande
appetito. Il giorno dopo non si fece vivo. Sua moglie Piera ci riferì
che era rimasto a casa con un gran mal di stomaco e, timorosa,
sperava che non fosse qualcosa di brutto. «<i>Moché cancher, n'èt
vést ch'aièr sira a l'a magné com on nimèl?</i>» fu la
rassicurazione un po' stizzita di mio padre.</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.2cm;">
Augusto
superò bene quell'indigestione e morì oltre quarant'anni dopo, tre
anni prima di mio padre. Mi piacerebbe credere in un aldilà per
pensare che l'abbia aspettato, con le loro mogli che li avevano
preceduti, per fargli da anfitrione nella nuova località di
villeggiatura, dove i rigattieri danno via a poco tele di Caravaggio
e dove sicuramente c'è un posto molto simile alla Trattoria del
Bosco, tranne che lì si potrà anche esagerare senza timore di
doverne pagare lo scotto. Passeranno il tempo sostenendo le parti chi
di San Gimignano e chi di San Prospero, e perduti in eterne
discussioni sulla forma delle nuvole o su altri dettagli che noi,
qui, non possiamo nemmeno immaginare.<br />
<b><i><br /></i></b>
<b><i>Daniele Lugli</i></b></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-54646025106052127712016-02-22T16:39:00.001+01:002016-02-22T16:39:49.265+01:00I taccuini di Remo al Centro PestelliI taccuini di inviato che mio padre aveva donato al <a href="http://www.centropestelli.it/">Centro Studi sul giornalismo Pestelli</a> fanno ora ufficialmente parte della biblioteca specializzata del Centro, accanto a documenti di Gino Apostolo, Igor Man, Renzo Villare. <a href="http://www.centropestelli.it/il-segreto-del-taccuino-dellinviato/">Qui</a> la notizia sul sito web del Centro, dove sono anche visibili alcune fotografie di pagine dei taccuini. Ringrazio il Centro per le parole di apprezzamento con cui li presenta e mi auguro che questo materiale possa risultare utile per le attività di ricerca che il Centro promuove.<br />
<i><br /></i>
<i>Daniele Lugli</i>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-25472186800761929942016-02-14T19:44:00.000+01:002016-02-14T19:44:53.752+01:00L'uomo a cavallo
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">La prima volta fu all’incrocio
di Sant’Egidio. Ero fermo al semaforo, in attesa del verde. Solo
nell’auto, anzi, no: alle mie spalle, sul sedile posteriore, c’era
Jolly, il mio cane. Al momento di partire, non appena avevo aperto lo
sportello era balzato dentro e io non avevo avuto animo di farlo
scendere; da qualche tempo gli era venuta la smania del giretto in
macchina, gli piaceva talmente che quando lo accettavo a bordo si
sdilinquiva in squittii di gioia e nei primi minuti tentava anche di
darmi i bacini di ringraziamento dietro l’orecchio, se non lo
tenevo lontano con la mano. Così ogni tanto lo portavo con me. Ero
lì soprappensiero, incantato a guardare le nuvolette dei fiati dei
pedoni che attraversavano. Per terra c’era ghiaccio e tutti
camminavano lentamente, facendo attenzione ai loro passi. D’un
tratto il mio occhio fu attratto dal gesto brusco di un uomo che sul
passaggio pedonale stava per cadere. Si sbilanciò su un fianco, alzò
il braccio opposto, ondeggiò e poi si ricompose: tutto in due o tre
secondi, poi proseguì. Era Mirco, mio fratello. Un’emozione
violenta, una vampata di calore alla testa: avrei voluto poter
scendere, corrergli al fianco, ma non potevo abbandonare l’auto lì
in mezzo e il semaforo continuava a rimanere rosso; a Sant’Egidio
il rosso è sempre lunghissimo e in quella circostanza mi parve
proprio interminabile. Vidi mio fratello scomparire nel flusso dei
passanti sul marciapiede, diretti verso il fiume; oltre tutto da
quella parte c’era il divieto di svolta. Al verde ripartii, detti
un’ultima occhiata ma Mirco non lo vidi più. Avevo una grande
agitazione. Cento metri più avanti, in un parcheggio, mi infilai in
un posto libero. Spensi il motore. Mio fratello qui, in città, nella
mia città, a cento chilometri dalla sua, senza che mi avesse
avvertito; ma com’era possibile? Mi sentivo sconvolto; le mani,
posate sul volante, mi tremavano. Era come se mi si aprisse davanti
agli occhi uno squarcio nero, un buio di vuoto e di mistero. Mio
fratello era qui per un motivo che mi taceva, dunque una sua trama
nascosta. Ci eravamo parlati la sera prima per telefono e non mi
aveva detto niente, quindi proprio un segreto. E se c’era oggi,
chissà quante altre volte c’era stato senza che mi informasse.
Incredibile. Al telefono ci parlavamo almeno due volte alla
settimana, lunghe chiacchierate per dirci tutte le notizie, anche
minime, delle nostre vite. Così da anni, da quando io mi ero sposato
e mi ero trasferito per il mio nuovo lavoro e lui era rimasto con la
mamma e il babbo. Morti loro, dopo qualche mese di solitudine si era
deciso a concludere con il matrimonio il fidanzamento quasi decennale
con Ornella la quale, mi aveva poi confidato, credeva ormai che
sarebbe rimasta zitella. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">In quel parcheggio, con Jolly
che nella sosta era passato sul sedile anteriore del passeggero e mi
guardava interrogativamente perché ci eravamo fermati, rimasi almeno
per mezz’ora a rimuginare sulla immagine dell’uomo che era
scivolato sul ghiaccio e sui possibili motivi della sua presenza
nella mia città. Che quell’uomo fosse mio fratello non avevo
dubbi: lo avevo visto con chiarezza anche in viso. Sul perché lui
era lì non riuscivo proprio a focalizzare alcun ragionevole movente.
Motivi di lavoro? No, aveva un impiego parastatale, non aveva alcun
motivo di spostarsi dall’ufficio se non per passare in qualche
stanza accanto. Una relazione extraconiugale? Nemmeno: era saldamente
ancorato a sua moglie sia perché le voleva bene, sia perché
tradirla avrebbe comportato dispendio di energie e impegno
organizzativo: era un uomo tranquillo, un po’ indolente. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">La sera, all’ora solita,
dopo cena, telefonai. Se non mi avesse detto niente avrei avuto la
prova del suo sotterfugio. E così fu, infatti. Discorsi soliti, le
banalità quotidiane, niente resoconto d’un viaggio, niente
esclamazione: “Sai, oggi sono venuto lì...” Adesso l’enigma si
infittiva: il suo era un segreto solo nei miei confronti o anche in
quelli di Ornella? L’avevo visto a metà della giornata e, dato che
per colazione non andava a casa perché mangiava in mensa, avrebbe
avuto tutto il tempo per arrivare qui, fermarsi magari un paio d’ore
e poi fare ritorno, senza che lei lo sapesse. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">«Marco, oggi avrei giurato
che ti avevo visto» mi trovai a dire senza che l’avessi prima
pensato e intanto mi avvidi di essermi lanciato in un discorso
spinoso: lo interrogavo, stavo insinuando, lo accusavo? Ma mi rendevo
anche conto che era importante sentire e analizzare la sua reazione.
Tacqui e attesi. Ci fu un momento di silenzio. Poi disse, con voce un
po’ incerta: «Cosa vuoi dire, in che senso mi avevi visto?»
Dovevo spiegare, non potevo lasciare una frase simile sospesa per
aria. «A un semaforo dove ero fermo ho visto uno che stava per
cadere mentre attraversava la strada e sembravi proprio tu». «Già,
tanti si assomigliano», disse, «io comunque non stavo per cadere,
ero seduto alla mia scrivania». Poi subito cambiò discorso: «Te lo
ricordi il tavolino del nonno, quello con l’intarsio della dama, ha
l’impiallacciatura che si scolla...»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Quella notte tardai a prendere
sonno. Il pensiero era fisso su questa vicenda. Provavo la sensazione
della presenza di un muro di sbarramento oltre il quale non potevo
procedere: restavo di qua impossibilitato ad andare avanti e di là
c’era lui, Mirco, che prima era sempre stato un tutt’uno con me e
adesso diventava estraneo, forse anche rivale. Ma che cosa tramava,
che cosa era lui per me e che cosa ero io per lui? I giorni che
seguirono furono diversi dai precedenti, mi sentivo in un cono
d’ombra; anche se il pensiero e la tensione si erano un po’
attenuati, ero immerso in un offuscamento che mi rattristava e
incupiva. Telefonai a mio fratello con maggiore frequenza, sperando
di poter cogliere nelle consuete conversazioni qualche segnale che
potesse farmi capire qualcosa, aprirmi uno squarcio nel buio. Una
sera chiacchierai con Ornella, lui era andato a una riunione di
condominio. «Ho voglia di vedervi» dissi, «perché una volta tanto
non fate voi una gita fin qui?». «Figurati» disse lei, «con Mirco
così pantofolaio com’è non si può programmare niente. Non muove
mai neanche la macchina, che sta invecchiando senza nemmeno aver
fatto il rodaggio. Vieni tu, che ci fai sempre piacere». No, Ornella
certamente non sapeva nulla di ciò che lui poteva aver fatto quel
giorno a cento chilometri da casa. Dovevo tenere per me l’enigma,
ci avrei arzigogolato intorno con tormento d’animo e scarsa
probabilità di riuscire a svelarlo. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Avevo la speranza che il mio
almanaccare si sarebbe a poco a poco affievolito man mano che mi
allontanavo da quell’episodio, ma un paio di settimane dopo, di
primo pomeriggio, mentre stavo parlando per strada, fermo con un
amico che non vedevo da tempo e che avevo incontrato un momento
prima, vidi la faccia di Mirco passarmi veloce a meno di un metro.
Era quasi appiccicata, frontalmente, al vetro del finestrino di un
tram diretto a un capolinea collinare. Istintivamente feci un gesto
con la mano come per fermarlo e aprii la bocca ma non mi venne alcuna
parola. L’amico mi guardò meravigliato e si girò per capire che
cosa mi avesse colpito. «Volevo salutare uno» dissi e subito
tagliai corto, dovevo andare alla macchina, inseguire il tram.
Purtroppo avevo parcheggiato lontano. Ansante e sudato, col cuore in
tumulto, mi misi al volante e puntai verso la collina seguendo un
percorso più breve della linea tranviaria. Arrivai un paio di minuti
prima del tram. Ne scesero in molti, ma lui no, evidentemente era
smontato ad una fermata intermedia. Mi sedetti in macchina e rimasi a
lungo a cuocermi nella delusione e nelle solite intricate
supposizioni.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Due incontri, questi, nel giro
di una ventina di giorni. L’inizio. Quante altre volte ho visto mio
fratello nella mia città e quante volte, parlandogli al telefono,
sono stato tentato di dirgli “Insomma, mi dici come mai vieni qui e
non mi avverti, non mi vieni a trovare? Che cosa mi nascondi?” Ma
mai il mio pensiero si è realizzato con delle parole. Ogni mancato
intervento era per me una sconfitta, mi sentivo un incapace, un
soggiogato e mi chiedevo anche perché non avevo il coraggio di
prendere in pugno la situazione, di pretendere di sapere. A
malincuore mi davo la risposta: inconsciamente temevo che qualsiasi
motivo mi avesse prospettato avrebbe turbato il nostro annoso, quieto
andamento di relazione fraterna a distanza. In certi momenti cercavo
di scrutare nel mio intimo e allora la risposta m’appariva più
chiara: mi sentivo in colpa per avere, tanti anni prima, lasciato la
nostra casa e lui solo con la mamma e il babbo, che già erano
malandati in salute, unicamente pensando al mio interesse. Nessuno di
loro aveva mai fatto alcuna insinuazione a questo proposito, ma io,
senza dirmelo apertamente, mi ero caricato di una dose di
responsabilità. In questo periodo parlavamo al telefono delle
piccole cose quotidiane fingendo normalità mentre tra noi gravava un
peso enorme, almeno così io sentivo e pensavo: il peso di un mistero
per me, e per lui di un segreto.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Vedevo, o meglio scorgevo,
Mirco con frequenza variabile, in certi periodi una o due volte al
mese, in altri anche cinque o sei, e nelle circostanze più strane;
sempre, comunque, di sfuggita, non incontrandolo faccia a faccia,
un’eventualità questa che in certi momenti mi auguravo e in altri
temevo, pensando di trovarmi impreparato ad affrontare la situazione:
dipendeva dal mio umore. Certo, mio fratello era diventato per me un
pensiero fisso: aspiravo a risolverne l’enigma come si può
aspirare a vincere il primo premio di una grande lotteria, con la
convinzione che sia cosa impossibile. Questo chiodo mentale mi
accompagnava fino a quando, la sera, posavo la testa sul cuscino. E
lì le fantasiose astruserie sconfinavano dal ragionamento al sonno
trasformandosi in sfilacciature, frantumi di sogni; al risveglio li
ricordavo appena per qualche minuto e subito dopo si disperdevano
diventando inafferrabili. Ma una notte il sogno fu così chiaro e
intenso che alla fine mi svegliai con il cuore in tumulto per
l’emozione. Capivo che questa volta non lo avrei dimenticato,
tuttavia, per maggiore sicurezza, mi alzai, presi foglio e matita e
scrissi qualche appunto sulla traccia di quello che avevo vissuto. Mi
sarebbe anche servito come testimonianza se mi fossero sorti dubbi.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;"><i>Ero in auto e procedevo su
un controviale rasentando il marciapiedi, lentamente, perché cercavo
un certo negozio. Sul sedile posteriore avevo il cane.
Improvvisamente davanti a me un braccio si protende e una mano è
aperta come segnale di stop. Blocco la macchina, alzo gli occhi e
vedo lui, Mirco: alto, elegante. Mi guarda ed esclama il mio nome
come se fosse sorpreso di vedermi lì. Il mio primo istinto è quello
di dirgli che sono io che devo essere meravigliato di vedere lui
nella mia città senza essere stato preavvertito. Ma sta aprendo lo
sportello per salire e una valanga di sensazioni mi sommerge, la più
intensa è il timore che Jolly, geloso dell’intimità della </i>sua<i>
automobile, tenti di aggredirlo; e allora lo cerco alle mie spalle
con la mano, afferro il collare, lo chiamo con voce rassicurante per
tranquillizzarlo. Lo guardo, è calmo, come se conoscesse l’ospite
o come se non fosse salito nessuno. Meno male, il problema cane è
superato, adesso devo affrontare la piena dei miei sentimenti, dire a
Mirco rabbia e amore, chiedergli perché, perché e ancora perché.
Metto in fila le parole sforzandomi di essere calmo e intanto lo
fisso: guarda davanti a sé, la strada, è come se fosse solo, come
se non mi avesse nemmeno visto; eppure un momento fa ha pronunciato
con vigore il mio nome. Lo sento freddo, distante, e allora tutto il
mio dire si spegne, le parole muoiono soffocate in gola dal groppo
che sale. Lo guardo in silenzio e incomincio a piangere, a dirotto.
Nemmeno si volta e tace, continua a tacere. Jolly è allarmato per il
mio singhiozzare, si mette a gemere e mi bacia dietro un orecchio; lo
capisco, vuole farmi coraggio. Adesso Mirco pone la mano alla
maniglia, apre lo sportello e scende, sempre in silenzio, senza dirmi
nemmeno ciao. Io lo chiamo per fermarlo e intanto mi sveglio, in
tempo per sentire la mia voce che pronuncia il suo nome. </i></span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Quel sogno non lo avrei
dimenticato neanche senza gli appunti. Mi era rimasto talmente
impresso che per molti giorni lo rivivevo di continuo, con la
fantasia movimentavo la scena, immaginavo di essere riuscito a
parlargli, gli chiedevo ragione di tutti quei perché che sognando
avevo in animo di dire senza riuscire ad aprire bocca. Entravo tanto
in quell’atmosfera dentro l’auto con noi due e Jolly che si
struggeva per il mio pianto che a tratti mi pareva che l’evento
fosse davvero accaduto. Allora prendevo in mano il foglio con gli
appunti per convincermi che Mirco non era affatto salito sulla mia
auto. Poi entrai in un periodo di relativa tranquillità: pensavo un
po’ meno alla storia di mio fratello e quand’ero in giro per la
strada il mio occhio non s’accaniva più a gettare occhiate
panoramiche tutt’attorno per vedere se scoprivo la sua figura.
L’ossessione si placava e me ne rendevo conto con sollievo. Ormai
mi stavo assuefacendo all’idea che tra noi c’era questo qualcosa
misterioso che lui faceva, o meglio tramava, e che io non dovevo
conoscere. Mi rassegnavo; forse, pensavo, non merito di sapere perché
non ne sono degno, probabilmente a causa del mio lontano abbandono
della nostra famiglia.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Un giorno – di pomeriggio;
era autunno e io, a piedi, mi ero fermato in un viale ad ammirare le
foglie che il vento faceva danzare come per gioco a mezz’aria –
lo vidi. Era a cavallo. Si direbbe, incredibile. E invece no, era
proprio lui, su un cavallo morello. Un gruppetto di cinque cavalieri
avanzava al passo sul sentiero tra il filare degli ippocastani e la
siepe che delimita un piccolo parco giochi. È un percorso ogni tanto
frequentato dai soci di un club di equitazione che è ai margini
della città. Non lo sapevo, me lo disse un vecchio che pure si era
fermato ed evidentemente si meravigliava di vedermi fissare la scena
con gli occhi sbarrati. «Di tanto in tanto càpitano, vengono
dall’Ippica del Ronchetto, e a volte qualche cavallo si spaventa
per le automobili che passano come fulmini» aveva commentato. Ma io
non ero stupito perché lì c’erano degli uomini a cavallo, ero
come imbambolato perché uno di quegli uomini era lui, mio fratello.
Anch’egli in tenuta da cavallerizzo come gli altri, che erano tre
uomini e un’amazzone. Mirco era il più anziano, stava ritto
impettito, con lo sguardo fisso, e montava con eleganza, in modo
armonioso, almeno così mi pareva. Io e il vecchio eravamo dalla
parte opposta del viale e tra noi e il gruppo sfrecciavano le
macchine. Immobile, solo girando lentamente la testa per seguire il
passaggio dei cavalli, non mi venne fatto di gridare il nome di
Mirco, non ci pensai proprio. Era come se vedessi qualcuno o qualcosa
di irraggiungibile, sebbene in qualche modo mi appartenesse o mi
avesse appartenuto. Ormai i cavalieri si stavano allontanando e io
continuavo a guardarli. In quel momento mi affiorò un vago ricordo:
io, bambino, avevo sentito dire che Mirco andava a cavallo. Lui era
un ragazzo, maggiore di me di otto anni; comunque non lo avevo mai
visto cavalcare; e poi aveva smesso presto perché, mi pare,
spaventato dalla brutta caduta di un suo compagno. Adesso mi chiedevo
se poteva mai esserci qualche relazione tra quel breve lontanissimo
rapporto di Mirco con le cavalcate e la sua presenza nella mia città,
dopo decine e decine d’anni, a spasso col cavallo, come se fosse a
cento metri da casa sua.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">L’incontro sul viale di
ippocastani mi annullò di colpo quella rassegnazione che avevo
conquistato negli ultimi tempi: Mirco tornò al centro dei miei
pensieri, ripresi a telefonargli con frequenza, sempre con la
speranza di scoprire nelle sue parole qualcosa che lo tradisse, che
mettesse allo scoperto il suo doppio, il Mirco segreto che veniva
nascostamente nella mia città per cavalcare o per fare chissà quali
altre astruse cose. Ma era sempre ben vigile, chiacchierava con la
massima naturalezza e io sentivo che non avrei mai potuto chiedergli
di svelarmi quello che mi nascondeva. Tra me e lui c’era un abisso
che con quelle domande avrei dovuto superare d’un balzo. Dovevo per
forza adattarmi alla mia sudditanza psicologica, alla mia
inferiorità, alla sola speranza, se sperare era possibile, di vedere
svelato l’enigma per una qualche circostanza fortunata. Dopo quel
giorno andai ancora qualche volta, appena mi fu possibile, lungo quel
viale, ma non incontrai più i cavalieri. Poi venne l’inverno.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Quello che era un modesto
parco giochi lungo il viale degli ippocastani è irriconoscibile: le
altalene, i tralicci a scacchiera, gli scivoli sono stati rinnovati e
aumentati di numero, ma soprattutto oltre a questi è stato creato un
parco vero con tante piante, aiuole, stradine. Tutto questo su una
vasta area, una volta occupata da uno stabilimento per la riparazione
delle carrozze ferroviarie che è stato eliminato. Ci sono anche dei
laghetti e delle piazzuole di cemento sulle quali corrono i ragazzi
coi pattini a rotelle. E le stradine per il passeggio sono
fiancheggiate da molte panchine. Ai lati del viale, tra gli
ippocastani e la siepe, c’è ancora il sentiero sul quale una volta
vidi passare Mirco a cavallo insieme con altri quattro cavalieri.
Qualche cavaliere passa ancora, di tanto in tanto, ma Mirco non l’ho
più visto. E vengo spesso, quando la stagione lo permette; adesso
che è estate sono qui quasi tutti i giorni. Vengo con l’autobus
perché non ho più l’auto: mi scadeva la patente e quando sono
andato alla visita medica mi hanno respinto, per la cataratta: avevo
sbagliato a leggere una lettera in un cartello. Ma va bene anche
l’autobus, tanto sono solo, Jolly non c’è più, era vecchio e se
ne è andato. Di solito mi siedo su una panchina vicino alla siepe e
di qui posso tenere d’occhio il sentiero degli ippocastani. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Ho fatto amicizia con altri
vecchi e anche con dei ragazzi. Coi vecchi parliamo, ci raccontiamo
delle nostre vicende, di quando eravamo giovani, in buona salute e
facevamo la nostra vita. Mi è capitato di raccontare di mio fratello
e dell’ultima volta che lo vidi, ormai tanto tempo fa, venire
avanti in sella al cavallo. Se qualcuno vede dei cavalieri prima di
me mi avverte subito perché possa controllare se c’è anche lui.
Ma non c’è mai. Da molto non riesco nemmeno a parlare col telefono
né con lui né con Ornella. Faccio il numero e mi dicono che non c’è
nessun Mirco e nessuna Ornella. L’altro giorno una donna mi ha
risposto sgarbata: «Ma la vuole smettere di fare questo numero, la
vuol capire sì o no che da due anni qui c’è una lavanderia e non
una abitazione?». Non so come mai mi rispondano così, quello era il
numero di Mirco. Parlavamo del più e del meno, non mi diceva niente
dei suoi viaggi fin qui, ma mi faceva piacere scambiare un po’ di
parole con lui. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;">Vedo venire verso di me sui
pattini un ragazzino alto, biondo, è Sandro, siamo diventati amici.
Una volta era caduto proprio davanti alla mia panchina, sanguinava a
un ginocchio e si era fermato a fasciarselo con il fazzoletto.
Avevamo chiacchierato un bel po’ e da allora ogni tanto mi viene a
salutare. Quando arriva le prime parole sono sempre per la stessa
domanda: «E l’uomo a cavallo l’ha rivisto?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-17674035525663346682016-02-10T01:59:00.000+01:002016-02-10T01:59:52.463+01:00Facile dimenticare<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">ll controllore del gas
entrò nel cortile e lo abbracciò con lo sguardo da destra a
sinistra. Era la prima volta che veniva in servizio in questa zona.
Dette la voce: «gas» e la ripeté due, tre volte. Il cortile era
grande, quadrato e percorso sui lati, ai quattro piani, dai ballatoi
le cui ringhiere erano tappezzate di biancheria stesa. Le abitazioni
erano vecchie e i contatori erano all'interno, nel primo vano, di
solito la cucina. Solo in qualche caso, dove erano state fatte delle
ristrutturazioni, l'azienda aveva imposto che fosse collocato
all'esterno, sul ballatoio. Il controllore con il suo richiamo
avvertiva gli inquilini perché fossero pronti ad aprirgli la porta e
farlo entrare. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"> In fondo al cortile
c'era un gruppo di donne intente a chiacchierare. Erano per lo più
anziane, grasse, sbracciate. Continuarono a parlare. Il controllore
si accingeva ad entrare nella prima abitazione a pianterreno quando
al terzo piano si affacciò alla ringhiera una donna. «Gasista, io
tra poco dovrei uscire, se lei potesse venire subito da me» disse.
Il controllore fece cenno di sì con la testa e imboccò la scala
sotto l'androne.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Quando fu sul ballatoio
la donna gli si fece incontro, lo invitò ad entrare. Lui fece la sua
lettura, annotò il numero sul quaderno. Era magro, alto, sui
cinquant'anni; il volto ben rasato e la divisa blu in ordine gli
davano un aspetto rassicurante. «Che disgrazia» disse la donna. Il
controllore sollevò gli occhi dal quaderno e la guardò
interrogativamente, con meraviglia. Lei riprese: «Le donne, giù,
stanno parlando di questo. Mezz'ora fa hanno portato all'ospedale con
la croce rossa una povera donna che si è avvelenata con il gas, una
del quarto piano». «Già» disse lui, «arrivando nel cortile ho
avvertito un po' di puzza, la si sente anche qui». E chiese: «Si
salva?» «Non si sa: hanno detto che respirava debolmente quando
l'hanno trovata. Era fuori di conoscenza». «Come è stato?» chiese
ancora il gasista. «Aveva voglia di farla finita, ecco come è
stato, non gliene andava bene una». «Poveretta» disse l'uomo.
«Pensi che appena tre giorni fa suo figlio, un giovanotto di
venticinque anni pieno di forza e di salute, nella cava dove lavorava
è stato travolto da un masso che gli ha spezzato la schiena: se
campa forse deve restare per tutta la vita su una carrozzella».</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"> Il controllore non
disse nulla, ma atteggiò la bocca a una smorfia di doloroso stupore.
Aveva rilevato i suoi numeri, aveva sentito la novità del cortile, a
questo punto si sarebbe dovuto girare per uscire e proseguire le sue
visite, ma rimase fermo come se aspettasse ancora qualche parola.
Invece fu lui che fece eco alla donna: «Tutta la vita su un
carrozzella!» e tornò a ripetere la smorfia. «Quella poveretta»
disse la donna, «quando l'altra sera rientrò dall'ospedale piangeva
tanto forte che la sentiva tutta la casa. Non aveva torto: se va bene
rimane con un invalido da mantenere e accudire e lei ha l'asma e non
può far niente, quando sale le scale impiega mezz'ora. E non sono
tutte qui le sue disgrazie». Il controllore la guardò con sguardo
ancora interrogativo, poi chiese: «Cos'altro le è successo?»</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"> «Aveva anche due
figlie» disse la donna, «ma la miseria era troppa nella casa e
finirono male tutte e due. Una si sposò a quindici anni per la
fretta di andarsene e non stette a guardare tanto per il sottile. Tra
mesi dopo suo marito era già in prigione, per rapina. Da allora è
più il tempo che passa dentro che quello che passa fuori e la
ragazza se vuole mangiare deve andare a servizio. Sua sorella
incominciò a bazzicare gli uomini, prima uno, poi un altro e poi un
altro ancora. Un giorno sparì: dicono che sia in un'altra città a
far la vita». «E adesso» commentò il controllore, «la madre ha
tentato di avvelenarsi. È proprio una famiglia disgraziata».</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">L'uomo sembrava non
avesse voglia di continuare il suo giro, preso dall'interesse per
quella vicenda. «Quando sento raccontare di queste storie»
commentò, «mi pare di avere dentro al petto qualcosa che non va né
su né giù». Gli venne fatto di deglutire come se avesse davvero
qualcosa di materiale da inghiottire. Aveva un viso asciutto, gli
occhi tristi. «Povera gente» disse, «come vorrei poterla aiutare».
Sollevò lo sguardo verso la donna che stava sempre in piedi
appoggiata alla tavola. «E il marito» chiese, «quella disgraziata
non ha un marito?» «Oh» disse la donna, «la storia del marito è
lunga, è tutta colpa sua se sono successe tante disgrazie». «Sì?»
chiese il controllore con meraviglia, «è mai possibile?» «Non
aveva voglia di lavorare» continuò la donna, «faceva il meccanico,
con bottega, ma invece di starci dentro a fare i lavori per i
clienti, andava all'osteria o al bar. Almeno così ha sempre
raccontato la moglie». «Che roba!» esclamò l'uomo e fece un gesto
con la mano. «Sembrerebbe impossibile che potessero esistere dei
tipi simili, eppure si vede che ci sono. È gente che bisognerebbe
prendere a schiaffi». «Lo so» disse la donna, «ma quella
poveretta non aveva certo la forza di prendere a schiaffi lui che era
forte e prepotente».</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"> «Non se ne accorgeva
questo disgraziato» disse ancora il gasista, «che la famiglia
andava in rovina, che una delle ragazze se la intendeva con gli
uomini?» «Ma quando incominciarono a succedere queste cose lui non
c'era, se ne era andato già da tempo. Abbandonò la casa cinque anni
dopo il matrimonio, quando i tre figli erano piccoli». «E dove
andò?» «Mah!» disse lei, allargando le braccia, «chi lo può
sapere? Non si fece mai più vivo». «Ma è spaventoso» disse
l'uomo, «si tratta proprio di un delinquente». Fece una smorfia di
disgusto, poi chiese: «lei lo ha conosciuto?» «No» rispose la
donna, «quella poveretta abita qui soltanto da qualche anno; prima,
quando i figli erano piccoli e c'era ancora suo marito, abitava in
montagna, a San Quintino». </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"> «A San Quintino?»
chiese l'uomo con stupore. «Ma è sicura?» «Altro che» rispose la
donna, a sua volta meravigliata. Poi chiese: «Perché, lo mette in
dubbio?» «No, non lo metto in dubbio, dicevo così, per dire. E
come si chiama quella disgraziata?» «Si chiama Maddalena, Maddalena
Corizzi. La conosce, forse?» «Oh, no» disse il gasista. Mise in
tasca la matita che in tutto questo tempo aveva rigirato tra le dita
della mano destra. Si voltò verso la porta, quasi di scatto. «Scusi
le chiacchiere, le ho fatto perdere tempo». Si avviò per il
ballatoio per imboccare le scale in discesa e andare ad iniziare il
giro dal basso.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nel cortile c'era
ancora il gruppetto di casigliane che stavano parlando. Il gasista
bussò alla prima porta e una delle donne si staccò dal crocchio.
«Arrivo, arrivo» disse, mentre correva per farlo entrare. «È la
prima volta che faccio questa strada» disse l'uomo, «mi deve
indicare dov'è il contatore». Entrò, lesse i numeri, li trascrisse
come un automa, come se nemmeno li vedesse. Pensava a Maddalena, da
quanto tempo si era dimenticato di lei; gli venivano in mente anche
i bambini, Gino, Tina, Evelina. Chissà delle due figlie qual era
quella che faceva la vita. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Continuò le sue
letture passando da un'abitazione all'altra senza più dire una
parola; anche se qualche donna cercava di attaccar discorso, lui
taceva. Tentava di figurarsi le facce che potevano avere i suoi figli
diventati adulti. E gli venivano anche in mente quei giorni lontani,
quella sua disaffezione al lavoro, quel vagare da un'osteria a un
bar, passare da una partita a briscola a una al biliardo. Infine
c'era stata la sua decisione di andarsene, non sapeva neanche lui
dove e perché. Aveva trascorso alcuni mesi come un barbone fino a
quando aveva trovato Marina, che era riuscita a tirarlo fuori da quel
gorgo nel quale era scivolato, prima usando la dolcezza poi la
fermezza, l'imposizione. Gli aveva fatto ritrovare la volontà di
lavorare. E con Marina, sua attuale compagna, aveva due figli tra i
cinque e i dieci anni.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">I controlli nella
grande casa di ringhiera erano finiti. Il gasista dal cortile si
avviò sotto l'androne per uscire in strada. Quando fu sul
marciapiedi si fermò a guardarsi intorno. A sinistra, oltre gli
alberi che erano in fondo al viale, c'era l'ospedale. Era là che
avevano portato Maddalena, forse c'era anche Gino che aveva la
schiena spezzata e la prospettiva della carrozzella. Si aggiustò
sulla spalla la cinghia del borsello nel quale teneva il quaderno dei
controlli e girò a destra. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-21661584289063595612016-02-01T11:26:00.000+01:002016-02-01T11:28:00.123+01:00La salsiccia del ciabattino<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">I calzolai col deschetto che facevano
le risuolature, o anche soltanto rattoppavano la tomaia con una
piccola cucitura, oggi sono praticamente introvabili. A cercare una
di queste botteghe quasi sempre si gira a vuoto. Il diffondersi
dell'industrializzazione ha di fatto cancellato le riparazioni,
rendendo più conveniente l’oggetto nuovo; e così a poco a poco va
scomparendo l’artigianato. Come i calzolai, appunto. Ce n’erano
di bravissimi, che un piede, dopo averlo ben misurato, sapevano
calzarlo alla perfezione. I più si limitavano alle riparazioni e
anche tra questi c’erano diversi livelli di bravura: in genere i
migliori erano in città, con una clientela esigente, mentre nelle
campagne i ciabattini, avendo per le mani soprattutto zoccoli,
sapevano più piantar chiodi che lavorare di trincetto. Di questi ne
ricordo uno, negli anni trenta, nella Bassa modenese. Si chiamava
Rigoni ma era conosciuto come Toppone, per le toppe che metteva nelle
scarpe</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">In marzo, con le prime giornate
tiepide, Rigoni portava fuori dalla cucina il deschetto e si metteva
a lavorare in cortile. Il cortile era lungo e stretto: da una parte
la fila di usci delle varie abitazioni, dall’altra un muro alto due
piani, senza finestre. In fondo c’era una rete metallica e oltre la
rete la campagna con i filari di olmi che reggevano le viti di
Lambrusco. Sistemava il deschetto vicino alla rete, sempre nello
stesso posto.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Usciva a lavorare fuori il più presto
possibile, ai primi accenni di primavera, per sfuggire al baccano che
gli facevano intorno i figli. Ne aveva dieci, la più grande contava
quattordici anni, il più piccolo pochi mesi. E tutti stavano nella
cucina che era abbastanza grande per farci da mangiare, ma molto
piccola per viverci tutto il giorno in due adulti e dieci ragazzi, e
soprattutto per lavorarci.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">La moglie di Rigoni, alta, magra,
sempre vestita di nero, con un fazzoletto nero in testa, aveva sempre
un’aria trasognata. sembrava che stese chiedendosi se esisteva o
no. I ragazzi le saltavano addosso mentre era seduta a rammendare o a
far la calza e lei nemmeno se ne accorgeva, tutt’al più si metteva
a lavorare di sbieco per scansarli. Rigoni invece si spazientiva per
quel frastuono e quando il clamore si faceva proprio insopportabile
gridava: «Basta, basta, vado via, vado in Africa». Si era alla
vigilia della guerra in Abissinia e ogni tanto qualcuno del paese
partiva volontario. L’Africa in quel tempo sembrava un miraggio che
avrebbe potuto risolvere tanti problemi che gravavano sulla gente,
per la disoccupazione e la miseria. «Vado in Africa, vado in Africa»
ripeteva, ma si sentiva dalla sua voce che fingeva solo di essere
arrabbiato e che in Africa, di sua volontà, non ci sarebbe mai
andato. Quella masnada di figli, pur chiassosi e turbolenti, erano il
suo mondo dal quale non avrebbe potuto separarsi. Quando proprio non
ne poteva più gridava: «Tutti su, in camera». La camera era
l’unica dell’abitazione, stava sopra la cucina ed era disseminata
di pagliericci. Ma dopo un poco si pentiva, li faceva ridiscendere
perché aveva paura che qualcuno, nella foga dei giochi, saltasse giù
dalla finestra.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Il calzolaio Rigoni lavorava dodici,
anche quattordici ore al giorno, incominciava con le prime luci
dell’alba e smetteva quando non ci si vedeva più. Sgobbava tanto,
ma guadagnava poco perché, com’era molta la sua buona volontà,
così era scarsa la sua abilità. Non ne aveva colpa. Il mestiere del
ciabattino l’aveva imparato da sé, aggiustando le scarpe dei suoi
quindici fratelli, d’inverno, nella stalla. Sposandosi e non avendo
voglia di lavorare nei campi, era uscito di famiglia e aveva messo su
il deschetto. In paese, viste le sue esecuzioni, gli avevano
affibbiato quel soprannome. Ma i suoi erano tutti clienti che
andavano da lui solo per riparazioni grossolane: una pezza, due
chiodi, una cucitura; per le scarpe nuove e le risolature andavano
dagli altri tre calzolai del paese.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Conosceva i suoi limiti e non si
lamentava di niente, nemmeno d’essere chiamato Toppone, e di dover
lavorare tante ore per guadagnare poco più che la polenta per tutti
i suoi figli. Era, anzi, sempre molto allegro. In cucina o nel
cortile teneva al suo fianco una sedia, pronta per far sedere
l’eventuale cliente. Chi portava un paio di zoccoli o di ciabatte
doveva per forza mettersi a sedere, almeno due minuti, a scambiare
qualche chiacchiera con lui. E tutti sostavano contenti perché a
stare con Rigoni c’era da fare buon sangue. «Argia» gridava alla
moglie, «metti a friggere un metro di salsiccia, ché il signore fa
uno spuntino con noi». La moglie non alzava nemmeno la testa a quel
finto ordine, ormai l’aveva udito migliaia di volte, perché Rigoni
parlava molto di salsiccia. Magari insisteva, fingendosi
impermalito: «Non crede che le faccia friggere un metro di
salsiccia. Ma lo sa che su, in camera da letto, appesi a due stanghe
che vanno da muro a muro, ce ne ho tredici metri?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">I clienti ridevano, qualcuno lo
stuzzicava per farsi descrivere volume, colore, sapore della sua
salsiccia e Rigoni allora si metteva a creare il suo poema per la
saporita carne insaccata. Ne parlava con un trasporto e una
competenza da far venire l’acquolina in bocca anche a chi s’era
appena alzato da tavola. Lì, seduto al deschetto, con le mani
abbandonate e immote sulla suola di uno stivale scalcagnato, Rigoni
si trasformava con la fantasia in un macellaio-conditore di carne
suina, di quei beccai che, nel pieno dell’inverno, vanno di cascina
in cascina per le campagne della Bassa emiliana a scannar maiali e
sono pagati, elogiati, riveriti dai contadini che in quella
operazione da mattatoio vedono quasi un rito. Così Rigoni tritava
con parole sapienti e sentite la rossa carne, le infondeva il giusto
aroma, l’insaccava dentro un interminabile budello che poi
suddivideva in tanti rocchi lunghi una spanna. Il cliente sorrideva
divertito e Rigoni continuava a parlare con fervore: stagionava la
salsiccia, la friggeva per mangiarla spellata con la polenta o la
metteva in umido con l’uva secca, con le uova, con i fagioloni
bianchi. In quei momenti la sua eccitazione era tanta che forse
sentiva davvero, lì in cucina o nel cortile, il profumo della
salsiccia. Per ascoltarlo, smettevano di correre e di gridare anche i
suoi ragazzi e l’Argia si svegliava dal suo torpore, rideva quasi
inebetita, come se stesse per mettersi a tavola a mangiare il piatto
che suo marito aveva preparato con tanta passione. Poi l’incanto
finiva e Rigoni concludeva: «Allora ha capito: quando ha bisogno di
uno che sappia cucinare qualche metro di salsiccia, venga da me».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Era il grande desiderio che lo faceva
parlare in quel modo. Forse di salsiccia in casa sua, da quando era
sposato, non se n’era mai mangiata. Parlava per le esperienze
giovanili, di quand’era contadino, figlio di famiglia, e nella
cascina, in febbraio, ammazzavano il maiale. A comperarla in bottega
la salsiccia costava cara, era cibo da gente che aveva soldi; e lui,
con tutti quei figli, la salsiccia avrebbe davvero dovuto portarla a
casa a metri. Le bocche dei suoi ragazzi erano abituate al baccalà e
alle salacche. Fra tanti figli che aveva ce n’era sempre uno che
credeva ai tredici metri di salsiccia, pensava che fossero nascosti
in qualche angolo della camera. E diceva alla mamma: «Ma se è così
buona come dice il babbo, perché non ce ne dai un poco?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Fu d’autunno che Rigoni s’ammalò.
Si era accanito a restare a lavorare in cortile, nonostante il
freddo. Si prese la polmonite. Alla fine della prima settimana di
malattia ebbe una crisi, i vicini dicevano: «Toppone muore
stanotte». Invece si riprese, per tre giorni andò migliorando, il
pericolo sembrava superato, qualcuno fra i più amici andò a fargli
visita. Era già allegro, come al solito. «Adesso è ancora presto,
ma appena sto meglio faccio friggere un paio di metri di salsiccia
per riabituare lo stomaco. Ce n’ho tredici metri, giù, in cucina»
e strizzava l’occhio contento.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Poi, d’improvviso, la quarta notte
dopo la crisi, morì. Fu una notizia dolorosa, per tutto il paese,
perché gli volevano bene anche quelli che non erano suoi clienti e
disprezzavano le sue capacità di ciabattino. Per il funerale il
cortile si riempì di folla. Arrivarono anche dei fiori, una corona
mandata da tutte le classi delle scuole elementari, perché ogni
classe era frequentata da almeno uno dei figli. Mentre il parroco
stava per benedire il feretro, arrivò la fioraia con un grande
involto. Aveva un atteggiamento incerto, l’aria confusa. Porgendolo
a uno dei presenti che le era più vicino, disse: «Non sono fiori,
ma io non c’entro, me l’hanno consegnato con la preghiera di
portarlo». Ci fu un momento di esitazione, tutti gli occhi erano
su quel misterioso pacco. Anche il prete indugiò, poi fece segno di
aprirlo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Sì, non erano fiori: era salciccia,
una lunghissima catena di rocchi disposta in circolo a formare una
corona e in mezzo era posato un nastro azzurro con la scritta I SUOI
13 METRI. Si sentì un coro di oh oh e poi parole di stupore e
ammirazione. Però non c’era tempo da perdere, la cerimonia doveva
concludersi. La bara fu posta sul carro e sulla bara la corona degli
alunni. E la salciccia? Nel silenzio ci fu un cercarsi di sguardi,
il prete fece un cenno in direzione della cucina, ma una voce disse:
«No, portiamola in corteo». «Sì, sì» ribatte una donna e subito
alcuni incominciarono a sciogliere la corona di rocchi e ad
allungarla, sicché in un attimo, di mano in mano, andò ad ornare
la parte posteriore e i fianchi del carro, come in un abbraccio. Ci
appiccicarono anche il nastro con </span><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">I
SUOI 13 METRI. </span></span><span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Un
vecchio commentò: «Come sarebbe contento Toppone, se potesse
vedere».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Un funerale memorabile. In paese ne
parlano ancora adesso, sebbene siano passati tanti decenni.
Naturalmente la salciccia fu mangiata dalla vedova e dai dieci
orfani. Ne fecero conto, come fosse un filone d’oro. Servì a
sfamare la famiglia per più di un mese. Proprio sul finire degli
ultimi rocchi Clotilde, che era la figlia maggiore, trovò da
occuparsi in città come serva e un mese dopo fece una scappata a
casa a portare il primo stipendio.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Non si era mai saputo chi aveva
consegnato alla fioraia il pacco da portare al funerale di Rigoni. </span>
</div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-34319387873294924642016-01-25T02:50:00.000+01:002016-01-25T02:50:51.407+01:00Cercarsi allo specchio<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Mi capita, da qualche tempo,
di sorprendermi a guardarmi nello specchio. Mi scruto come se
cercassi qualcosa che non conosco, un lineamento, un'espressione: un
po' come se osservassi il volto di uno sconosciuto. Il fatto è che
sento in me qualcosa che non mi appartiene interamente: io sono io ma
con qualche traccia, appunto, di un altro. Una strana e anche
allarmante sensazione. Che cosa mi stia accadendo non lo so; cerco di
capirlo, guardandomi nel fisico e poi anche nell'intimo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Questo strano fatto si sta
verificando da circa cinque mesi, non di più; praticamente da dopo
che è successa la faccenda di Angelina. Angelina se n'è andata una
notte, sei mesi fa, mentre dormivo, ignaro di quanto stava tramando,
ignaro di quanto aveva tramato fino allora e di tutto il suo mondo.
Otto anni di matrimonio, otto anni che mi erano parsi tranquilli,
sereni. Una pacata unione di quarantenni, la nostra. Non avevamo
avuto figli, ma non sembrava un problema per nessuno dei due. Io le
volevo bene, le ero fedele, credevo che fosse altrettanto per lei. E
invece aveva una seconda vita. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Incredibile: come mai non me
ne ero accorto? Mi aveva confessato tutto in una lettera, una lunga
lettera, che mi aveva lasciato sul comodino da notte a un palmo dal
naso. Così al mio risveglio, dopo avere scoperto sul letto, al mio
fianco, la sua impronta, mi ero messo a leggere quei fogli e mi ero
sentito crollare addosso quella che credevo la solida impalcatura
della mia vita. Nel petto mi si era acceso un vortice terribile; mi
sentivo come in mare, su un'esile barchetta, inghiottito da un
uragano e sballottato da onde gigantesche ognuna delle quali mi
piombava addosso come se fosse l'ultima, che mi avrebbe annientato.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Quelle onde erano le sue
confessioni: la nostra relazione che era andata a poco a poco
sbiadendosi, poi l'indifferenza per me, per la nostra unione sterile,
la nascita di un suo nuovo amore che era via via cresciuto, era
diventato passione ed ora lei se ne andava con il suo idolo, felice.
Non una parola di rammarico per il dolore che mi arrecava, come se
nemmeno esistessi, come se proprio non avessi mai contato nulla per
lei. Che giorni di angoscia da quel mattino di stravolgimento!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">E io che avevo fatto della mia
fedeltà una religione! Per me era fondamentale il concetto che la
famiglia doveva rappresentare il fulcro dell'unione matrimoniale,
sacro e preminente su ogni altro aspetto della vita, quindi da
salvaguardare prima di tutto con la correttezza di comportamento in
mancanza della quale si sarebbe avviato inesorabile il disfacimento.
Io così, ligio a questi sani principi, e lei che tramava alle mie
spalle, certo irridendo anche la mia dabbenaggine. Ciononostante non
mi pento della mia condotta: la regola morale resta valida anche se
circostanze estranee avverse hanno falsato il risultato. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Questo, dunque, il mio
passato. Veniamo al presente, a quello che mi accade talvolta. In
genere è di notte, nelle ore che precedono l'alba: mi sveglio e
resto insonne con la mente che vaga senza controllo, in abbandono,
con la speranza di ritrovare un altro poco di sonno. Mi avviene di
entrare in un ricordo; un ricordo che non può essere tale perché
appartiene ad una realtà sicuramente non mia. Eppure è come se lo
fosse, come se io davvero avessi vissuto quelle vicende.
Un'assurdità. Ecco di cosa si tratta. Rivivo - o meglio, ho
l'impressione di rivivere - scene di amore fisico con una donna che
non è Angelina. Proprio un assurdo, perché si tratterebbe di un mio
tradimento che ora, di giorno, sono ben sicuro di non avere mai
compiuto. Ma di notte, in quel vagolare della mente nel buio, mi
sembra reale e della realtà mi dà una diffusa piacevolezza.
Abbraccio e bacio quella mia donna, giovane e bella, con trasporto e
con la gioia di sapere che non è una situazione occasionale, ma che
si ripeterà.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">E infatti questo ricordo,
diciamo pseudo ricordo, ritorna con una metodica analogia e sempre mi
pervade di letizia e di stupore. A volte, pur a malincuore, lo
interrompo, accendo la luce, voglio constatare di essere
effettivamente sveglio. E allora mi chiedo come è possibile che
accada questo, come posso io, che fui marito dell'Angelina
scrupolosamente e vanamente fedele, <i>rivivere</i> un adulterio che
in realtà non ho commesso. Cos'è, dunque, questa storia? È stato
un sogno, tanto intenso da restarmi scolpito nella memoria come se si
fosse trattato di un evento reale?</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Infatti questa vicenda, che so
irreale, posso descriverla minutamente, come se fosse davvero
avvenuta. La donna è bionda, dolce, raffinata, con occhi azzurri e
un sorriso che rasserena. Da tempo veniva nel mio studio per
accompagnare la madre malata di diabete. La madre era poi morta, per
una trombosi, e lei non si era più vista per qualche tempo. Poi era
ricomparsa perché si sentiva opprimere da una ansietà inspiegabile.
Tre visite per la cura e alla quarta eravamo finiti avvinghiati sul
lettino. Se indugio nel ricordo - in questo falso ricordo - il numero
dei particolari si accresce: vedo certi vestiti suoi, odo la cadenza
delle sue parole, sento riecheggiare sue risate. L'animo mi si
pervade di tenerezza e la rievocazione di uno qualsiasi dei nostri
rapporti sessuali si fa così intensa, precisa, da sfiorare la
realtà. E risento anche le atmosfere del "dopo": i
momenti di dolce abbandono, le carezze dell'affettuosa commozione,
diverse da quelle del "prima", tutte percorse dalle
vibrazioni del desiderio, dall'ansia dell'arrivo alla mèta. E poi
ancora, approssimandosi il congedo, prima di far entrare il prossimo
cliente, qualche lieve chiacchiera nel tempo di fumare una sigaretta.
</span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Una sigaretta? Ma io non fumo.
Ho fumato dai diciotto ai trentacinque anni. Un giorno ho detto basta
e non ne ho più acceso una; non solo, non ho nemmeno aspirato una
boccata quando gli amici, per tentarmi, insistevano ad accostarmi
alle labbra una sigaretta accesa. Ora mi accade che in queste
peregrinazioni mentali notturne ci sia anche un mio ritorno al fumo.
In modo irregolare, saltuario: qualche giorno niente, qualche altro
due tre, magari anche cinque sigarette. Eppure, di giorno, lo so bene
che nulla è cambiato da quel momento in cui dissi basta: di
sigarette non ne ho proprio più fumata neanche una.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Incomincio a preoccuparmi per
queste mie false consapevolezze, questo inserirsi della mia fantasia
in una realtà che non mi appartiene, come se, invece, ne fossi
protagonista. Mi pare di capire che sia proprio questo il problema:
pur essendo in realtà estraneo a determinate situazioni, una certa
parte del mio io entra in un ruolo immaginario e lo fa con tanta
partecipazione e accuratezza da crearmi una ricca mole di elementi i
quali poi, nei particolari momenti dell'insonnia notturna, mi
affiorano alla mente come ricordi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Me ne è comparso uno nuovo,
di recente. Un ricordo ingombrante, persistente, ancora più assurdo
degli altri, se è possibile. Io non frequento la zona collinare
della mia città avendo sia l'abitazione che lo studio da tutt'altra
parte. In particolare non sono mai andato in via Serpilli, non so che
strada sia, non l'ho mai vista. O meglio, ormai l'ho un po' vista
attraverso le fotografie dei giornali e le immagini della televisione
per quella storia di cui si parla insistentemente quasi ogni giorno
sotto il titolo di "delitto di via Serpilli". È un giallo
irrisolto, ingarbugliato, per me di nessun interesse: infatti mi
limito a leggere titoli e sommari; con la TV, se mi imbatto in questo
argomento, cambio canale alla svelta, innervosito. Grosso modo, per
quello che ho potuto capire, la ragazza che è stata uccisa in via
Serpilli, soffocata con un cuscino, doveva aver fatto entrare in casa
lei stessa l'assassino. Ma per scoprire il colpevole gli inquirenti
han da districarsi nel groviglio dei molti amici e conoscenti che la
frequentavano, non esclusi due ex fidanzati coi quali aveva
trascorso due periodi di convivenza.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Credo di comprendere perché
istintivamente sto lontano dalle notizie che riguardano questa
tragica vicenda: mi rendo conto che, inconsciamente, tendo ad
appropriarmi di ogni informazione per poi elaborarla e costruirci
intorno dei ricordi. Un fatto veramente sgradevole, che mi turba
profondamente. Mentre nel caso dei rapporti sessuali - ricordiamolo:
presunti rapporti sessuali - con la mia cliente bionda e bella,
quando ritornano, mi danno un diffuso piacere, il "ricordo"
che si riferisce a via Serpilli è angoscioso, mi attanaglia come una
trappola e io cerco di sfuggirgli, ma non trovo scampo e mi agito,
sudo, mi sorprendo persino a gemere. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">In sostanza io rivivo un
delitto, lo rivivo nelle vesti abominevoli dell'assassino e la
vittima è una donna. Una che conoscevo da tempo: anche lei era stata
mia cliente, poi mia amante. Era un periodo in cui conviveva con un
uomo più anziano del quale non le importava più nulla. Il nostro
era un rapporto basato soprattutto sull'attrazione sessuale. Per gli
incontri clandestini ci servivamo di un piccolo albergo, mi pare in
collina. A un certo punto gli appuntamenti si erano diradati, poi lei
mi aveva detto che aveva lasciato l'anziano e si era messa con un
giovane della sua età. E tutto tra noi era finito, in maniera
piana.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Così credevo che fosse.
Invece sentivo la sua mancanza. Avrei voluto cancellare dalla sua
vita l'uomo nuovo che le era diventato compagno e allora ho
incominciato a cercarla, ci siamo incontrati nascostamente, alcune
volte, abbiamo discusso, ma lei era irremovibile, considerava
definitivamente chiusa la nostra storia. Un giorno, sapendo che lui
era fuori città, mi sono presentato da lei e l'ho convinta a farmi
entrare. Era dura, cattiva, diceva basta basta è finita e a me
sembrava di perdere un bene prezioso. Ero stravolto. L'ho afferrata
per le spalle, ho incominciato a scuoterla latrandole sulla faccia
degli insulti, a denti stretti per non farmi sentire dai vicini. Mi
guardava con occhi sbarrati, muta, terrorizzata. Continuavo a
squassarla e gli scuotimenti le facevano rimbalzare sul petto la
collana. Era una collana di piccoli grani neri maculati di bianco.
Con una mano l'ho ghermita e l'ho girata e rigirata tanto da
stringergliela sul collo. Lei stava già emettendo un gemito roco,
strozzato, quando il filo s'è spezzato e i grani sono come esplosi a
raggiera, tutt'intorno. Di nuovo l'ho presa per le spalle e l'ho
gettata sul letto, ma si è messa a urlare e allora, per farla
tacere, ho afferrato un cuscino e gliel'ho premuto sulla faccia. A
lungo, troppo a lungo: quando l'ho tolto, era già morta.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Questo ricordo che, ripeto,
non è mio, mi sta angosciando, non solo nelle ore dell'insonnia
mattutina quando mi si dipana nella mente come la sceneggiatura di un
film, ma anche durante il giorno. C'è una parte di me che si
appropria di elementi di cronaca e li manipola in ricostruzioni di
fatti mostruosi nei quali vuole coinvolgermi. In certi momenti non so
proprio in quale realtà sono, se dentro o fuori quella brutta
vicenda.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">A confondermi ancora di più
ci si mettono circostanze strane. Ieri sera levandomi i pantaloni ho
sentito un leggero tintinnìo e ho visto correre sul pavimento una
pallina: forse era caduta da un risvolto. L'ho osservata: era nera
striata di bianco, forse di onice, con un forellino centrale.
Sembrava una pallina di quella collana. Di colpo m'è parso che
scottasse, ho aperto la finestra e l'ho gettata via. Ma cosa sta
succedendo, la fantasia riesce a invadere la realtà? Ed è poi vero
che mi sono trovato in mano una di quelle palline? Mi viene il dubbio
che anche questo episodio sia frutto di una immaginazione perversa.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-77250496752648223682016-01-17T00:23:00.000+01:002016-01-18T03:52:47.092+01:00La camera di fondo<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Le finestre dell'alloggio si
affacciavano sulla piazza verde di alberi e chiassosa delle grida dei
bimbi. La prima camera, d'angolo, aveva anche un balcone sulla via
che sfociava nella piazza. Dall'altra estremità, invece, la camera
di fondo dava in un cortile interno. In casa la chiamavano la camera
del nonno. Andreino se lo ricordava bene suo nonno: alto e magro, con
i baffi spioventi, la testa calva e lucida. Stava tutto il giorno
seduto nella poltrona d'angolo, vicino alla finestra dalla quale
pioveva una luce opaca che non riusciva a togliere dalla penombra le
sagome scure degli armadi e del letto. Con la coperta sulle ginocchia
per tener calde le gambe che non lo reggevano più, stava col busto
tutto spostato verso la finestra per non lasciarsi sfuggire nemmeno
un raggio della poca luce. I vetri erano quasi sempre chiusi perché
suo nonno temeva il freddo, anche d'estate. Erano aperti, qualche ora
del giorno, in luglio e in agosto. Allora scendevano dalla stretta
tromba formata dai quattro muri del cortile le voci delle donne che
parlavano da finestra a finestra e gli odori: uno strano, nauseabondo
miscuglio di odore di cucina e di gabinetto.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Andreino, da ragazzo, andava a
trovarlo, a volte, suo nonno, ma si stancava subito: la poca luce era
opprimente, gli faceva venir voglia di piangere e, se la finestra era
aperta, si sentiva un nodo allo stomaco per i miasmi;. Suo nonno lo
accarezzava sulla testa, gli chiedeva notizie del resto della casa:
cosa faceva suo padre, di là, in sartoria; se c'erano dei clienti;
cosa succedeva nel giardino. Ma lui, Andreino, non resisteva a lungo;
dava qualche risposta e poi scappava. Tornando nelle altre stanze gli
sembrava di rinascere; c'era luce, c'era aria buona. Suo padre era
sempre in piedi vicino al tavolo intento a disegnare modelli sulle
stoffe o a tagliarle; intorno e nella camera accanto c'erano, sedute
e chine sugli abiti in lavorazione, quattro o cinque donne, tra sarte
e apprendiste.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Adesso era lui, Andreino, che
tagliava, ma intorno aveva meno aiutanti perché i tempi erano
cambiati e il pubblico preferiva comperare gli abiti fatti. C'era
Linda, sua moglie, che era stata una lavorante di suo padre, e
c'erano due ragazzine; nella camera del nonno c'era suo padre. Suo
padre era malato di arteriosclerosi; apparentemente stava bene ma
talvolta, all'improvviso, usciva con discorsi strani o addirittura
con delle minacce a chi gli stava vicino. Per diversi mesi aveva
trascorso le sue giornate seduto nel salotto, ma erano accaduti
spiacevoli incidenti: più di una volta aveva attaccato discorso con
i clienti venuti per la prova e poi, senza motivo, li aveva
ingiuriati. Due di questi clienti non erano più tornati,
evidentemente offesi. Andreino si era visto costretto a relegare suo
padre nella camera di fondo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Per la casa girava il bambino,
Pippo, figlio suo e di Linda. Aveva cinque anni ed era indemoniato.
Percorreva le stanze ululando, in sella a una piccola bicicletta con
ruotine laterali. Qua e là faceva bruschi arresti, si impossessava
di un oggetto e ripartiva. Andreino lo doveva inseguire per
togliergli di mano le forbici o la manica di una giacca. Pippo a
volte andava a trovare il nonno, in camera sua, ma spesso ne tornava
piangendo perché il vecchio improvvisamente lo trattava male o lo
impauriva; preferiva andare dall'altro capo della casa, nella camera
che aveva il balcone sulla via. Nella buona stagione, su questo
balcone, si intratteneva a lungo a parlare con Dirce, una bambina
maggiore di un anno che abitava nella stessa casa e giocava sul
balcone attiguo. Sotto, per la strada, c'era il via vai del traffico,
il tram, le automobili, i pedoni. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">La bimba chiacchierava molto:
spesso indicava un passante, quasi sempre una donna, e improvvisava
su questa persona una storia, inventata naturalmente, ma raccontata
con tanta verosimiglianza da far rimanere Pippo incantato e alla
fine sembrava che anche lei la credesse vera. Poi l'attenzione del
bimbo cadeva, quasi sempre per il passaggio di qualche automobile o
motocicletta più rumorose del solito: lui si accodava al volo a quel
rombo per continuarlo con un'imitazione prodotta dalle labbra, che
riusciva a fare vibrare con violenza mentre il viso gli diventava
paonazzo. Il suono via via saliva di intensità fin che lei, stanca e
infastidita, non gridava a sua volta per farlo tacere. Guidati sempre
da Dirce i due bambini si avventuravano anche in altri discorsi:
progetti fantastici per quando sarebbero stati grandi. Erano, quei
loro incontri attraverso i rispettivi balconi, i soli che potevano
avere perché entrambi raramente scendevano nel giardino della
piazza: i genitori di Pippo non avevano mai tempo, presi com'erano
dal lavoro, e Dirce aveva soltanto la madre che si guadagnava la vita
confezionando abitini per bambole.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Andreino si alzava presto al
mattino per portare avanti il lavoro. Era difficile far quadrare il
bilancio: le commissioni non affluivano con regolarità. A volte gli
sarebbero servite altre due lavoranti, in altri periodi gli erano di
troppo anche le due che aveva. E il guadagno non compensava a
sufficienza la fatica e i sacrifici. Pensava che sarebbe potuto
entrare in uno stabilimento per la confezione in serie degli abiti:
essendo sarto provetto probabilmente gli avrebbero affidato mansioni
direttive in qualche reparto. Avrebbe potuto guadagnare bene. Ne
parlava anche con la moglie e insieme fantasticavano su questo
progetto, ma mai si decideva a interessarsi davvero della cosa,
trattenuto forse istintivamente dal timore di un insuccesso. Quando,
raramente, andava nella camera di suo padre e si sentiva avvolgere da
quella penombra cupa e triste o investire dall'ondata nauseante degli
odori, si riproponeva con fermezza di tentare di cambiar vita per
andare in un'altra casa, per togliere suo padre da quella camera di
fondo dov'era costretto a restare relegato. Ma poi, appena era
uscito, la fermezza del proposito svaniva, allontanata dalle
occupazioni del momento e dall'attenzione che il lavoro richiedeva,
così il progetto si faceva vago.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Il bambino continuava a
scorrazzare avanti e indietro per l'appartamento, gridava, faceva con
le labbra l'imitazione di un motore. «Stai buono» gli diceva ogni
tanto il padre, ma senza convinzione. Andreino pensava a questo suo
figlio con grandi speranze. Chissà cosa avrebbe fatto nella vita,
forse cose importanti, non per nulla parlava sempre di automobili e
di moto, come se avesse già la tecnica nell'animo. Pensava che
sarebbe forse diventato direttore di qualche fabbrica, avrebbe avuto
una villa, una vita facile. Avrebbero cambiato casa, allora, fra
venti, venticinque anni. Andreino pensava a se stesso: ora aveva
trentotto anni, avrebbe potuto trascorrere una buona vecchiaia, con
le comodità e le soddisfazioni che prima la vita gli aveva sempre
negato. Pippo veniva, andava con la piccola bicicletta, scansando con
abilità gli spigoli dei mobili. Ora tornava dalla camera che dava
sulla strada; si fermò davanti al tavolo sul quale suo padre stava
tagliando e si rivolse a lui: «Sai, babbo, che cosa faremo io e
Dirce quando saremo grandi?» «Che cosa farete?» «Fabbricheremo
tanti vestiti per le bambole, qui, in questa casa, perché quella di
Dirce è troppo piccola». «E io e la mamma?» chiese con tono
apprensivo suo padre. «Voi andrete nella camera di fondo, dove c'è
il nonno».</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, serif;"><span style="font-size: small;">Il bambino stava già
nuovamente correndo. Andreino si sentì invadere da un senso di
angoscia, capiva che c'era sopra di sé qualcosa di ineluttabile,
sentiva che i suoi progetti erano tutti assurdi: il lavoro in una
fabbrica di confezioni, il figlio personaggio importante
dell'industria, la villa, la vita facile. Gli sembrò di sentire
l'odore stomachevole che veniva dal cortile sul quale si affacciavano
le finestre della cucina, quelle dei gabinetti e anche la finestra
della camera di fondo del suo alloggio. Gli parve di essere di nuovo
fanciullo, vicino a suo nonno che stava tutto proteso verso la
finestra per godere la poca luce del cortile. Il ricordo delle
immagini si mischiava al ricordo degli odori e su tutto pesava un
senso di fatalità. Andreino si sforzava di distrarsi, ma non ci
riusciva.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-62978410820349296962016-01-07T00:48:00.000+01:002016-01-07T00:48:20.510+01:00Basta non sapere<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Questi contatti
settimanali con alcuni ex allievi gli danno forse l'illusione di
avere fermato il tempo al periodo aureo della propria vita, quando
insegnava latino e greco al liceo classico Carducci. Era il
riveritissimo professor Aurelio Locci, stimato dai colleghi e amato
dagli alunni perché da loro sapeva ottenere il massimo senza avere
l'aria di usare imposizione: con la dolcezza, la tolleranza, il buon
umore. Le sue grammatiche e le sue sintassi frequentemente viravano
su improvvise facezie, sicché questo suo spirito allegro alleggeriva
il peso delle cose dotte da digerire. Ha lasciato l'insegnamento da
quindici mesi, nonostante non abbia ancora cinquant'anni, ma il
momento del pensionamento gli era parso economicamente favorevole e
ha fatto questa scelta. Gli sarebbe pesata molto la perdita del
contatto con i giovani ma, grazie a una circostanza fortuita, questo
rapporto diretto con gli ex allievi è rimasto. Erano passate appena
tre settimane dalla sua uscita dall'insegnamento quando un
pomeriggio, mentre era seduto in una saletta del Caffè Centrale, il
locale più alla moda della cittadina, erano entrati quattro dei suoi
studenti. Calorose strette di mano, grande soddisfazione da parte di
tutti per l'incontro. I ragazzi si erano seduti al tavolino, Locci
aveva offerto la consumazione, avevano chiacchierato, scherzato. Alla
fine il professore aveva fatto una proposta: se voi e qualche altro
vostro compagno avete voglia di incontrarmi, tenete presente che io
a quest'ora sono sempre qui. Era un venerdì. Da allora tutti i
venerdì, tra le sei e mezza e le sette e mezza di sera, due o tre
tavolini del Caffè Centrale sono occupati dal professor Locci e da
un gruppo di suoi ex allievi.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Naturalmente non parlano
né di latino né di greco. A Locci piace filosofeggiare, ma lo fa
con la sua solita arguzia, sa trovare sempre argomenti che tengono
vivo l'interesse nel suo uditorio e così non c'è mai un venerdì
vuoto, a volte i ragazzi sono cinque o sei, a volte una dozzina.
Aperitivo per tutti, ovviamente offerto dal professore, e piacevole
scandaglio di un argomento scelto a caso nell'ambito filosofico o del
costume corrente, con grande soddisfazione sua e dei giovani. Il tema
che Locci sta affrontando oggi è quello della conoscenza: non tanto
la conoscenza delle cose scientifiche o comunque quelle che si
apprendono con lo studio dei libri (va bene il latino e il greco che
loro hanno affrontato fin qui e ancora stanno affrontando), ma la
conoscenza degli eventi che riguardano lo stesso individuo e che
possono essere avversi e procurargli contrarietà, dolore, angoscia
a seconda della loro intensità e gravità. Meglio non sapere nulla,
sostiene il professore.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Passa ad un esempio
prendendo spunto da una notizia comparsa su un giornale. Un uomo
improvvisamente dichiara di essere figlio illegittimo di John
Kennedy, l'ormai mitico presidente degli Stati Uniti assassinato a
Dallas, e della stella del cinema, altrettanto mitica, per la sua
bellezza, Marilyn Monroe. «Ora» sostiene Locci, «questa notizia
non porta nessuna conseguenza di qualche peso. Perché? Ma perchè
sono morti Kennedy, la Monroe e Jacqueline che del presidente era
moglie all'epoca in cui sarebbe nato questo figlio illegittimo. La
notizia oggi può essere curiosa, suscitare un certo interesse nel
pubblico che ha il ruolo di osservatore, ma non si ripercuote
drammaticamente su nessuno perché i diretti interessati non ci
sono più. Se invece la notizia avesse fatto la sua irruzione nei mezzi di
informazione quando Kennedy era presidente, con gli occhi di tutto il
mondo puntati su di lui, la risonanza sarebbe stata enorme. Cioè
voglio dire che minore è il clamore che circonda un qualsiasi
evento, maggiore è il suo svilimento: se è circondato dal silenzio
è come se non esistesse. Ora trasferiamo, come ipotesi, la notizia
di un figlio illegittimo su una coppia di semplici cittadini. In
questa normalità cosa succede?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">I ragazzi sono attenti,
incuriositi dalla strana tesi nella quale si è avventurato Locci.
Riprende: «Succede che i rapporti tra marito e moglie si sconvolgono
come investiti da un tempestoso fortunale. L'uomo indicato come
padre, ammettendo che lo sia davvero, vede con sgomento svelato
all'improvviso il suo segreto, sente tramutare la propria immagine di
rettitudine in quella di abietto traditore e la moglie si infuria,
piange, si dispera, assiste al crollo del mito che aveva creato
intorno alla figura leale, onesta, esemplare del suo uomo. Sono
entrambi tormentati dall'angoscia, non dormono la notte, litigano
quasi in continuazione, basta una delle piccole normali contrarietà
quotidiane perchè lei rovesci su di lui, a ripetizione quasi
continua, la grande colpa di cui si è macchiato, incoronandola con
le spine dei più cattivi epiteti, delle più penetranti offese. E se
l'accusa è falsa, se l'uomo non è padre di nessun illegittimo, se
non ha mai avuto alcuna relazione con la donna indicata, non meno
sconvolgente sarà l'ambascia del suo animo perché dovrà far fronte
a questa caterva di accuse infondate e di velenose invettive senza
riuscire a convincere la moglie, diventata feroce parte avversa,
della calunniosa menzogna».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Una domanda. «Professore,
perché dice che è meglio non sapere niente? Come è possibile?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Vi ho fatto l'esempio
di Kennedy, della Monroe e di Jacqueline: l'annuncio di una presunta
illegittima paternità dell'ex presidente non suscita più nulla
perchè loro non ci sono più e non succede nient'altro, non cade il
mondo, il presunto figlio rimane tale e tutto si mette a tacere.
Esattamente questo succederebbe se i nostri due comunissimi
cittadini, viventi, non dessero segno di avere recepito la notizia.
Dovrebbero assolutamente ignorarla, "non saperla", "non
averla mai appresa": in altre parole "basta non sapere"
per annullare il problema. Cosa certamente non facile perché si
tratta di comandare ai propri sentimenti, soffocare gli istinti,
riuscire a mantenere saldi gli equilibri esistenti tra gli
interessati. Di fronte a questa apparente insensibilità dei
protagonisti chiamati in causa, i commenti, le reazioni esterne si
smorzano, non hanno materiale da ardere, tutto finisce».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il professore tace e
tacciono anche i giovani. Sono perplessi, non sembrano molto convinti
di questo asserto. Poi uno prova ad obiettare: «Soffocare dentro di
sé, o meglio annullare questa conoscenza che se palesata creerebbe
disagio o dolore non può causare, alla fine, un più grave trauma
psicologico?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«L'opposizione totale,
il rifiuto di questo sconvolgimento comporta senza dubbio uno sforzo
che richiede animo molto saldo, ma il premio è grande: si tratta di
far proseguire, immutata, la situazione di pace che esisteva un
attimo prima dell'avvenuto contatto con la conoscenza dell'evento
perturbatore».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; line-height: 0.64cm; text-indent: 1cm;">«E se io alla fine
dell'anno scolastico sarò bocciato, dovrò allegramente far conto di
essere stato promosso?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«No: dovrai
semplicemente prendere la bocciatura come una fortunata possibilità
di ripercorrere il cammino dell'anno passato con un maggiore
impegno».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Questa è
rassegnazione».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«No, la rassegnazione è
passiva, io sto parlando di un modo attivo di affrontare l'evento
negativo, come se fosse una buona occasione, da vivere felicemente».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Un ragazzo con gli
occhiali e il volto macchiato dalle efelidi solleva una mano.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Dimmi Merlotti».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«E se la mia ragazza mi
pianta per andare con un altro?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Benissimo, ti libera
dall'impegno di dover convivere con una fedifraga. Sarai così più
lieto di prima per la libertà e lo scampato pericolo>>.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Gli amici ridono.
«Fortunato tu», commenta uno, ma lui ribatte:</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«E se io continuo ad
amarla?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Ma come?» si sorprende
Locci, «Non sai proprio comandare ai tuoi istinti? Grave!»
Aggiunge: «Vedi, il problema è questo: bisogna sempre regolare le
proprie azioni non sulla passione, ma sulla ragione, sapersi mettere
al di sopra degli accidenti che può provocare la vita e, anche
questo è importante, al di sopra delle opinioni della gente. In
altre parole, si deve saper conservare la tranquillità dello spirito
sia quando la fortuna è favorevole, sia quando è avversa».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Arriva il titolare del
Caffè, si rivolge a Locci: «Professore, la cercano al telefono».
Locci lo guarda meravigliato, mormora: «Ma chi può essere che mi
cerca qui?»</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«È un condomino del
palazzo dove abita lei».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Un condomino? È mai
possibile che mi telefoni mentre sono al Caffè Centrale?» Si alza
visibilmente preoccupato e si avvia alla cabina. I giovani lo seguono
e lo vedono poi, oltre i vetri, mentre sta parlando. A un tratto si
porta la mano libera alla testa con un gesto rapido, poi se la tiene
sulla fronte. E' un segno evidente di grande preoccupazione. La
telefonata continua ancora per un paio di minuti poi il professore
riattacca, esce, si dirige a grandi passi al tavolo. Si lascia cadere
sulla sedia. E' pallido, sembra che faccia fatica a respirare, si
passa ancora la mano alla fronte, come aveva fatto in cabina. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Dio, cosa càpita!»
mormora.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">I ragazzi lo guardano
allibiti, si chiedono che cosa sarà successo. Il professor Locci
emette un lungo sospiro, poi dice tutto d'un fiato, sforzandosi di
vincere l'afflizione: «La mia domestica, che era sola in casa, è
uscita lasciando aperto un rubinetto in bagno, la casa si è allagata
e l'acqua scende al piano di sotto. Dio mio, adesso devo correre,
come farò?» Si guarda intorno con occhio smarrito, forse cerca il
cameriere per pagare. Uno dei ragazzi, lo tranquillizza: </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Professore, al
cameriere pensiamo noi, corra, corra».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Si alza: «Grazie,
grazie», vorrebbe stringere le mani, ma non sa da che parte
incominciare, anche perché si avvede che la mano destra gli trema.
Fa un cenno di saluto, per tutti. «Ciao, ciao, vado, vado». Esce un
po' barcollando. </span>
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<br />
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-52052427394083141072015-12-29T01:26:00.003+01:002015-12-29T01:39:59.816+01:00Belgàsem ben Alì<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">In quei tempi ero soldato e mi trovavo
a El A., in Cirenaica, a causa della guerra. Ero sempre solo. Vivevo
su un furgone rimorchio sul quale era installata una stazione
radiotrasmittente che era mio compito mantenere in funzione. Ero
accampato a circa un chilometro dal comando. In quei paraggi c’erano
alcune <i>zeribe</i> arabe e molti ragazzi; per far passare il tempo
incominciai a parlare qualche volta con gli arabetti. Tra loro c’era
anche Belgàsem ben Alì; era il più intelligente di tutti e anche
il più simpatico, nonostante la sua bruttezza veramente eccezionale
e le sue continue richieste di sigarette.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"> Un
giorno gli proposi di rimanere con me a lavorare. Mi avrebbe tenuto
in ordine il furgone, mi sarebbe andato a prendere da mangiare alle
cucine del comando e io gli avrei dato cinque sigarette al giorno e
parte della mia razione di rancio. Belgàsem accettò: volle
immediatamente un anticipo di dieci sigarette e si mise ad
abballinare la mia cuccetta. Poi mi andò a prendere il rancio, si
trovò un barattolo per metterci la sua parte e mangiò con me.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Passarono
così i giorni. Belgàsem veniva al carro di buon mattino e se ne
andava solamente quando era buio. Faceva ogni cosa con cura senza che
io dovessi ricordargliela. Quando non aveva niente da fare, ci
mettevamo a chiacchierare. Parlavamo molto io e Belgàsem, lui
specialmente era molto loquace. A volte, nel suo italiano un po’
stentato, mi parlava della sua famiglia. Diceva che suo padre aveva
due mogli nella zeriba, una, vecchia, che era sua madre, e l’altra
giovane, arrivata da poco.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Oppure mi parlava dei funerali
musulmani, dei pianti che la gente andava a fare dietro compenso
nella casa del morto, e delle tombe dei santoni, che chiamava
<i>marabùt</i>. Quando Belgàsem toccava l’argomento dei marabùt
diventava triste e si commuoveva fin quasi al pianto; ciononostante
ne parlava spesso. Mi spiegava che le tombe dei santoni si
distinguevano dalle altre per una piccola bandiera piantata sul
cumulo di sabbia, fatta con uno straccio bianco e uno stecco, e mi
raccontava dell’usanza di portarvi dei cibi in determinate
ricorrenze. Io ne ridevo: gli dicevo che era una cosa stupida portare
da mangiare nei cimiteri, perché i cibi sarebbero stati mangiati dai
cani e non dal marabùt.. Ma Belgàsem replicava che nei cani
potevano esserci le anime dei santoni.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Spesso voleva che gli parlassi delle
città italiane. Teneva sempre tra le mani una vecchia cartolina che
gli avevo regalata e che raffigurava un veduta notturna di una piazza
di Roma illuminata a giorno. «Parlami delle luci – diceva –
parlami delle luci». «Guarda la cartolina – gli rispondevo – lì
c’è tutto». Ma lui non si accontentava. Voleva che gli
raccontassi tante altre cose sulle luci delle strade e mi stava ad
ascoltare abbandonando a se stesso il grosso labbro inferiore, che
gli ricadeva penzoloni.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Dopo circa due mesi che Belgàsem era
con me, ricevetti l’ordine di partire per l’interno, nell’oasi
di G. Quando Belgàsem lo seppe, si accoccolò a terra e si mise a
piangere. Poi si alzò risoluto e disse che sarebbe venuto con me.
Gli feci osservare che era una cosa impossibile perché lui doveva
rimanere nella zeriba assieme ai suoi genitori; ma non volle sentire
ragioni. Mi indicò il pavimento del carro e disse che avrebbe
dormito lì; poi corse a casa ad avvertire i suoi e tornò poco dopo
ansimante e felice con il permesso di partire.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il carro sobbalzò per quasi tre
giorni sulla pista del deserto e finalmente arrivammo a G. Era una
piccola oasi con un migliaio di palme, alcune sorgenti d’acqua e
un fortino. Il mio carro venne trainato a circa quattro chilometri
dal presidio, in pieno deserto. Lì mi accampai, stesi il cavo di
collegamento con il fortino, alzai l’antenna e incominciai il
servizio.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">I giorni passavano monotoni,
esasperanti. Faceva un caldo enorme in quel furgone e, a volte,
quando s’alzava il <i>ghibli</i>, pareva quasi di non poter
respirare. Ogni settimana veniva l’autobotte a rifornirci d’acqua
e due volte al giorno Belgàsem andava al fortino a prendere il
rancio. Era sempre del solito umore, Belgàsem. Quella vita, più che
annoiarlo, lo divertiva. Quando parlava della sua zeriba non
dimostrava affatto di sentirne nostalgia. Io gli chiedevo se non gli
sembrasse strano stare là in mezzo, ma lui rispondeva sempre di no.
Mi ripeteva: «Parlami delle luci» e mentre mi ascoltava teneva in
mano la vecchia cartolina. Quando veniva la sera ci mettevamo a
fumare seduti contro una ruota del carro e guardavamo in direzione
dell’oasi, ma non si vedeva niente perché c’erano davanti alte
dune. A notte, prima di addormentarci, continuavamo a parlare fino a
tardi. Erano quasi sempre i soliti discorsi che facevamo: Belgàsem,
appena poteva, parlava delle bandierine, delle tombe del marabùt e
del cibo che veniva portato ai morti. Una sera mi disse che gli
sarebbe piaciuto diventare un santone per avere da mangiare anche
dopo morto.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Un giorno – erano quasi tre mesi che
eravamo a G. – mi telefonarono dal fortino avvertendomi di
prepararmi per la partenza perché una grossa colonna inglese stava
puntando sul presidio e bisognava ritirarsi. Aggiunsero che quanto
prima sarebbero venuti con un autocarro per agganciare il rimorchio
e portarlo via. Allora ritirai il cavo telefonico, smontai l’antenna
ed aspettai. Venne la notte, poi tornò il giorno senza che nessuno
fosse venuto a rimorchiarmi.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Verso mezzogiorno, come al solito,
mandai Belgàsem a prendere il rancio. Ritornò molto tardi; aveva i
gamellini pieni di una strana e insolita pappa bianca e, nella
bisaccia, delle gallette di un formato più piccolo del consueto.
Come se fosse la cosa più naturale del mondo, Belgàsem disse: «Nel
fortino ci sono gli inglesi; ho detto che avevo fame e mi hanno dato
da mangiare».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Mi misi a sedere di peso e pensai che
ormai era finita. Belgàsem mangiando disse che la roba era buona e
che sarebbe tornato a prenderne anche il giorno dopo. Io non parlavo;
lo guardavo, era sereno e calmo come sempre. Pensavo che mi avrebbero
fatto prigioniero, che non l’avrei più visto, che non gli avrei
mai più parlato delle luci. Avevo una gran voglia di piangere.
L’indomani Balgàsem ritornò al fortino e ancora riportò il
rancio. Questo si ripeté per una settimana; io tiravo avanti così,
senza decidermi a costituirmi. Poi, un mattino, quando mi alzai,
trovai il ragazzo sveglio: al suo fianco, nel carro, c’erano una
cassetta di scatolette di carne e una stagna d’acqua. Senza
guardarmi in viso, Belgàsem disse: «Questa notte sono andato a
rubare questa roba per il viaggio perché ho voglia di ritornare a
casa a vedere le bandierine sulle tombe dei marabùt; adesso possiamo
andar via».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Io non seppi dir nulla; mi legai alle
spalle la stagna e la cassetta e partimmo in direzione nord. Avevamo
davanti a noi quasi trecento chilometri di deserto. Camminammo per
giorni e giorni. I piedi affondavano nella sabbia e l’acqua
diventava bollente sulle spalle. Di notte ci gettavamo sfiniti a
terra, mangiavamo un po’ di carne e dormivamo qualche ora; poi,
ancor prima che s’alzasse il sole, riprendevamo il cammino.
Belgàsem non diceva mai d’essere stanco. Ogni tanto rompeva i
lunghi silenzi pregandomi di parlare delle città e delle luci che le
illuminavano di notte. Io parlavo, parlavo e guardavo davanti a me,
verso il nord. Ormai dovevano restare ancora poche ore di cammino,
poi avremmo raggiunto la strada litoranea e saremmo stati salvi.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Ma all’improvviso Belgàsem disse
che si sentiva male e si fermò. Io lo guardai in faccia e mi accorsi
che sulla pelle aveva delle piccole eruzioni rosse. Gli posai una
mano sulla fronte e sentii che scottava. Allora, per la prima volta
da quand’ero in guerra, mi prese la paura; una paura violenta che
mi faceva tremare le gambe. Cercai di dire a me stesso e a lui che
non era niente, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quei punti
rossi che Belgàsem aveva sulla faccia. Pensavo: adesso mi muore qui
in mezzo e io non posso far niente per salvarlo, non posso far
niente. Belgàsem si passò una mano davanti agli occhi e cadde di
schianto sulla sabbia. Aveva perduto conoscenza. A tratti era
percorso da brividi e batteva i denti. Io gli passavo un fazzoletto
bagnato sulle labbra e gli facevo ombra con il mio corpo. Quando fu
notte, col fresco, riprese i sensi. Aveva sempre la febbre altissima.
Provai ad alzarlo, ma non si reggeva in piedi. Allora abbandonai
l’acqua e le scatolette e lo caricai sulle mie spalle.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Continuai il cammino così. Ogni tanto
mi fermavo per assestare il suo corpo rilassato e cascante, poi
riprendevo a camminare. Sentivo che le mie forze a poco a poco se ne
andavano, ma volevo assolutamente arrivare sulla strada.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Ci arrivammo all’alba; ero sfinito.
Belgàsem vaneggiava, parlava in arabo e io non capivo che cosa
dicesse. Passò un camion dei nostri che andava verso El A. Vi
caricai il ragazzo e un’ora dopo eravamo alla sua zeriba. Andai al
comando, trovai un medico e lo accompagnai da Belgàsem. Ma non c’era
più niente da fare: si trattava di tifo esantematico. Il medico mi
costrinse a venir via per evitare il contagio. Belgàsem morì nel
pomeriggio.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Quando fu sera mi avvicinai, non
visto, alla zeriba. Si udivano i pianti della gente che era andata a
piangere dietro compenso. Mi sedetti sotto una palma e pensai alle
luci delle nostre città; non ero capace di pensare ad altro.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Il giorno dopo fecero i funerali.
Quando la gente lasciò il cimitero andai sulla tomba di Belgàsem e
piantai nella sabbia una piccola bandiera fatta con uno stecco e uno
straccio bianco. E per tutto il tempo che rimasi presso il comando di
El A. portai, di notte, parte del mio rancio sulla sua tomba. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">C’erano sempre dei cani nel cimitero
e il rancio lo mangiavano loro. Ma nei cani poteva esserci l’anima
di Belgàsem ben Alì. </span>
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-61021001869698198782015-12-19T02:11:00.000+01:002015-12-19T02:11:06.223+01:00Derubare se stessi
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Aspettammo la notte
buona. Una notte di marzo, un sabato. Il sabato era la giornata
migliore per l'afflusso alla discoteca: venivano giovani da tutti i
paesi della zona, anche da cinquanta chilometri di distanza; il vasto
piazzale del parcheggio era gremito già dalle dieci di sera e poi le
macchine che ancora sopraggiungevano si accodavano ai lati della
strada. Tanta gente dentro e tanti soldi in cassa. Una notte buona
anche perché era molto buia e pioveva a dirotto: l'acqua veniva a
scrosci e il vento ci faceva da complice confondendo i nostri rumori
con i suoi gemiti. Era stata difficile la scelta dell'ora: le quattro
e mezzo. Non si poteva andare prima perché la discoteca aveva
chiuso alle tre e bisognava dar tempo a Bernardino di addormentarsi;
e non si poteva andare più tardi per non essere sorpresi dai primi
chiarori dell'alba. Bernardino era il padrone della discoteca:
padrone, gestore, dirigeva e stava alla cassa, faceva tutto lui e
alla fine i soldi se li portava in casa. Li chiudeva in un cassetto
della scrivania dello studio, al primo piano, sul retro della casa,
mentre lui dormiva con la moglie, giù, al pianterreno, sul davanti.
Era una cosa facile, sarebbe andata sicuramente a gonfie vele.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">L'idea l'aveva avuta
Cosimo; gli era venuta un giorno che era salito allo studio per farsi
pagare un lavoro fatto all'impianto elettrico della discoteca. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Bernardino tiene i
soldi nel cassetto di centro della scrivania» mi aveva detto poi,
con occhi lucidi di cupidigia, «divisi in pacchetti legati con
elastici: pacchetti da centomila, da cinquantamila, da diecimila.
Tanti. Ma come mai non mi è venuto in mente prima: già tante volte
sono andato là a farmi pagare e ho sempre visto la medesima scena».
La descrizione era efficace: mi pareva di vedere tutti questi
pacchetti allineati dentro al cassetto, con i colori diversi. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Come si fa ad
arrivarci?» gli avevo chiesto io deglutendo per l'emozione. Aveva
fatto un gesto secco con la mano a significare che era una cosa da
niente.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«A casa ho tanti
grimaldelli da aprire le porte del paradiso. Non dobbiamo avere paura
di una finestra e di un cassetto». E poi aveva spiegato che
bisognava scegliere una notte buia, magari di pioggia, e l'ora
giusta.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Quella notte dunque venne
ed era riempita di frastuoni da un temporale che sembrava studiato
apposta per noi. La villa di Bernardino era a cento metri dalla
discoteca ed entrambe erano isolate, vicino a una strada di scarso
traffico, e circondate dalla campagna. Per arrivarci dovevamo
attraversare i campi. E così facemmo. Raggiungemmo la cascina più
prossima e lì rubammo una lunga scala che era sotto un porticato. Ce
la caricammo in spalla prendendola alle due estremità, lui davanti e
io dietro. Era tanto buio che non riuscivo a distinguere Cosimo,
sentivo solo il frusciare dei suoi passi sull'erba e capivo quando
stava varcando un fosso o risalendo una proda dal movimento che
faceva la scala sulla mia spalla. La pioggia veniva a raffiche e, a
tratti, me la sentivo andar giù per il collo, dietro la nuca;
rabbrividivo, ma pensavo ai soldi di Bernardino, nel cassetto della
scrivania, divisi in tanti pacchetti.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">A pochi passi dalla villa
ci fermammo ad ascoltare. Da una grondaia, probabilmente otturata,
l'acqua cadeva a terra con un fracasso disordinato; gli alberi,
tutt'attorno, sembravano bestie smaniose e sbuffanti. Posammo la
scala e ci accostammo per gli ultimi accordi. Cosimo sarebbe andato
su per primo per alzare il chiavistello delle imposte e il catenaccio
della finestra a vetri; poi, una volta entrato lui, sarei salito
anch'io a fargli luce con la lampada a pila mentre forzava la
serratura della scrivania. Mi sentivo i panni fradici sulle spalle,
chissà cosa avrebbe detto mia moglie l'indomani mattina scoprendo
che i miei abiti erano inzuppati; immaginavo già i suoi commenti:
«Hai giocato a carte tutta la notte in mezzo alla strada?» Adesso
l'importante era andare avanti e salire nello studio di Bernardino.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Facemmo tutto come
avevamo progettato, con calma, cercando di non fare rumore. Le
imposte si aprirono in pochi secondi e cigolarono lievemente; la
finestra resistette più a lungo ai ferri, infine si aprì anch'essa.
Cosimo fece schioccare due dita per segnalarmi che entrava, e infatti
sentii la scala alleggerirsi del suo peso. Allora andai su anch'io.
Come fui dentro riaccostai con cautela gli scuri e accesi la
lampadina tascabile. La scrivania era in un angolo dello studio,
volta verso il centro, con la sedia contro il muro. Cosimo sedette e
incominciò a lavorare con un grimaldello, la cui punta terminava a
becco. Muoveva la mano con una delicatezza che mi pareva impossibile
in lui, grande e massiccio; sembrava che stesse operando su qualcosa
di vivo e che dai suoi gesti dipendesse la vita o la morte. Io mi
figuravo che il cassetto si aprisse e nel cassetto ci fossero i
pacchetti dei soldi allineati. Pensavo ai soldi, ma pensavo anche a
Bernardino, mi voltavo ogni tanto a fissare il buio dalla parte della
porta. Se fosse entrato all'improvviso non avremmo fatto in tempo a
guadagnare la scala tutti e due, uno sarebbe rimasto bloccato. Allora
tenevo d'occhio oltre alla porta anche la finestra; il cassetto, la
porta e la finestra e ancora il cassetto, la porta e la finestra.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Ma fai luce a modo»
sibilò Cosimo correggendomi la posizione della mano per centrare la
luce sul buco della serratura. Lavorò ancora per qualche minuto poi,
finalmente, si udì uno scatto e il cassetto si aprì. Vedemmo delle
carte bianche e gialle, che sembravano fatture, ma subito le
scostammo, le buttammo a terra per fare largo e vederci chiaro. E
infatti sotto le carte c'erano i soldi, proprio come Cosimo li aveva
descritti: pacchetti da centomila, da cinquantamila, da diecimila, da
mille. Li vidi solo per un momento tanto fu svelto Cosimo a piantarci
le mani sopra e a infilarseli in tasca. Feci appena in tempo ad
agguantare un paio di pacchetti da cinquantamila. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Poi si faranno i conti»
disse Cosimo, e intanto continuava a rimuovere carte per vedere se
sotto si nascondessero altri pacchetti. «Non c'è più niente»
disse, «vieni che andiamo». </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Ancora un momento»
dissi e allungavo la mano in fondo al cassetto. Non mi sapevo
rassegnare a scendere senza avere in tasca anch'io almeno un paio di
pacchetti da centomila come aveva Cosimo. Non che avessi paura di
irregolarità nella divisione, ma mi sembrava di essere da meno a non
riuscire ad agguantare quanto aveva beccato lui.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Un pacchetto lo sentii,
in fondo, a destra, legato con un elastico, come quello dei soldi. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Non
fare il fesso» disse ancora Cosimo, mentre già stava presso la
finestra, «vieni, io scappo». </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Vai, vai» dissi, «ti
seguo subito». Scavalcò il davanzale e io, adagio, quasi volessi
assaporare la scoperta di altri denari, tirai fuori il pacchetto. Non
potei fare a meno di dare in una imprecazione: non erano soldi, erano
fogli di lettere, piegati in quattro e tenuti insieme dall'elastico.
La calligrafia era grande, pesante, mi sembrava di averla già vista.
Alzai il braccio e ricacciai giù, nel cassetto, con rabbia, il
plico. Ma intanto lessi: "...perché lui va ad Abano, ai
fanghi". Era una riga della prima lettera del pacchetto. Anch'io
ero stato ad Abano, ai fanghi, nel mese di ottobre. "Chi sarà
che è andato ai fanghi come me?" pensai e sfilai il foglio da
sotto l'elastico per leggere più oltre: "e così potremo
vederci comodamente a casa mia, senza tante paure" continuava lo
scritto. "Dovrai solo stare attento che non ti vedano quelli
della Ca' Bianca". Ma la Ca' Bianca era attigua a casa mia. "Per
Dio" pensai, "cosa dice questa lettera?"; e mi figurai
Bernardino che avanzava furtivamente verso casa mia, attento che non
lo vedessero quelli della Ca' Bianca.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Mi tremavano le mani. La
lampadina mi cadde dentro al cassetto, abbagliò di luce il plico,
ingigantì le parole della lettera che stava in cima: "...a
venerdì notte. Ti bacio tanto, tua Ilde". Sentii una vampata
di calore salirmi al viso e le gambe vacillarmi. Sedetti sulla sedia.
Ilde era mia moglie. Si chiamava Clotilde, e nessuno l'aveva mai
chiamata Ilde, eppure ero sicuro che era lei, perché lo capivo dalla
calligrafia e poi dalle altre cose, i fanghi di Abano e la Ca'
Bianca. Sentii venire dai campi un fischio sottile, lungo, delicato.
Era Cosimo che mi aspettava. Certo era arrabbiato perché tardavo e
rischiavo di farmi sorprendere. Ma non mi importava niente di correre
pericolo. Non avevo più paura di Bernardino. Guardavo la porta e mi
pareva che se fosse entrato in quel momento l'avrei affrontato a voce
alta, mostrandogli il pacchetto delle lettere. Con le mani sempre più
tremanti tirai via l'elastico, aprii i fogli, incominciai a scorrerli
fugacemente e con orgasmo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Era proprio la Clotilde
quella che scriveva, non ci potevano essere dubbi, era un anno che
aveva una relazione con Bernardino. Gli scriveva le lettere quando
non si potevano mettere d'accordo a voce, o anche solo per dirgli
che gli voleva tanto bene e che senza di lui non sapeva come fare.
Non c'erano le buste, quindi non sapevo dove gliele indirizzava,
certo non a casa dove avrebbe potuto vederle sua moglie. Comunque, in
una maniera o nell'altra gliele faceva avere e gli diceva tutte
quelle smancerie che a me erano anni che non diceva più. Mi sentivo
le gambe vuote, sempre più vuote. Pensavo a tutto quel tempo che
avevo trascorso a fianco di Clotilde mentre lei amava il proprietario
della discoteca. Pensavo alla sua perversità e alla mia ingenuità,
alla mia pace perduta. Avrei voluto non essere mai venuto a rubare,
non avere trovato il plico delle lettere, non avere distrutto con le
mie mani la mia fiducia. Non avevo derubato lui, avevo derubato me.
Ma ormai era fatta, non c'erano più rimedi. Dovevo per forza portare
in me quel tormento.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;">Mi infilai in tasca il
plico delle lettere, spensi la lampadina, mi avviai alla finestra,
scavalcai il davanzale e incominciai a scendere. Mi incamminai
lentamente per i campi, sotto la pioggia sferzante, senza paura. Non
mi importava niente se Cosimo, ormai lontano, aveva in tasca i
pacchetti da centomila e ne faceva sparire una parte per derubarmi
nella spartizione. Sentivo nella tasca il grosso pacco delle lettere
e pensavo a quelle. Era un furto doloroso, ma prima o poi, in un modo
o nell'altro, dovevo pur conoscere la realtà, era mia, mi perveniva,
dovevo accettarla anche se mi costava tutto quello che avevo dentro
al petto: un'angoscia che mi pareva si identificasse con la notte che
mi stava intorno e le rabbiose folate del vento, gli schianti della
pioggia, l'arruffato lamento degli alberi.</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-76026289902261323092015-12-07T17:32:00.001+01:002015-12-07T17:33:51.895+01:00Malinconia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUn0uHgVqT2GMP9Z-USZVFUOvWY0MhZmlLtOYpKtv_66qz03xXTTDVzdNRk3KpnN5VgvqxNv_S_PnjTFRDzsQyJu08dS_Vsx3U7_b20nH29PWt5QQ3AHuU6TVCk113xx21UOJ8Dvbfxd4C/s1600/1950+03+San+Remo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="223" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUn0uHgVqT2GMP9Z-USZVFUOvWY0MhZmlLtOYpKtv_66qz03xXTTDVzdNRk3KpnN5VgvqxNv_S_PnjTFRDzsQyJu08dS_Vsx3U7_b20nH29PWt5QQ3AHuU6TVCk113xx21UOJ8Dvbfxd4C/s320/1950+03+San+Remo.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Ora che
sei lontana</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">tutte le
cose</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">sono
fredde</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">e dure</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">come il
metallo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">E le
voci e i colori</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">faticosamente
arrivano</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">ai miei
sensi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">Solo la
civetta</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">riesce</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">a farsi
strada </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">al mio
orecchio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">E sento
che il grido</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">è tetro</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">come un
buio d'agguato</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">ora che
sei lontana.</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i>(1947)</i></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-45313032639372640022015-11-29T18:57:00.000+01:002015-11-29T18:57:32.689+01:00Paura<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Si levò il vento. Folate
correvano per i corridoi, sopra di me, percuotevano porte e imposte,
popolavano di fantasmi tutta la casa. Tra una folata e l'altra c'era
il battito della pioggia, fitta, continua e, sull'aia, un grondare
fragoroso. Fuori c'era la notte, buia, distesa sui campi e sui boschi
deserti, senza uomini e senza case.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Ero solo. Stavo seduto su
una sedia, contro una parete dell'ingresso che era uno stanzone
vasto, ingombro di tante cose sulle quali pioveva la luce fioca e
rossastra di una lampadina attaccata al soffitto: una cassapanca, una
distesa di patate e di mele, un barroccino con le stanghe a terra,
tre sacchi allineati lungo il muro che avevo di fronte e, dalla mia
parte, appesi a chiodi, dei finimenti da cavallo. In fondo c'era la
scala, a sinistra c'era la porta della cucina, a destra quella della
cantina. Ascoltavo il vento e la pioggia, i cigolii delle imposte e
fissavo la porta della cantina, non sapevo staccare gli occhi da
quella parte.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">In cantina c'era il
morto: stava appeso a una corda che scendeva dal trave centrale, di
fianco al filo della lampadina, impiccato. La luce gli batteva
proprio sulla testa, faceva una grande ombra circolare sul pavimento.
Nel pomeriggio non avrei mai immaginato di trascorrere una notte
simile. Eravamo partiti dalla caserma, il maresciallo e io, con la
camionetta per andare a una casa che era al confine del comune, quasi
alla sommità del monte. Dovevamo portare, a una delle famiglie che
vi risiedevano, una citazione del tribunale. Lasciata la camionetta
nella cascina Marcantoni, avremmo proseguito a piedi per la
mulattiera.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Era appunto la cascina
Marcantoni quella nella quale mi trovavo. Al nostro arrivo avevamo
cercato il padrone, volevamo soltanto dirgli che lasciavamo
l'automezzo davanti a casa sua perché proseguivamo a piedi. Lo
avevamo chiamato a gran voce, inutilmente. La porta era aperta e il
maresciallo era entrato spingendosi fino in cantina. Ma come aveva
messo dentro la testa era rimasto allibito: Michele Marcantoni si era
impiccato. Doveva essere successo pochi minuti prima perché il corpo
dondolava ancora leggermente ed era caldo. Ma era morto, senza alcun
dubbio: la lingua penzoloni fuori dalla bocca, gli occhi aperti,
sbarrati. Un'immagine terribile. Non c'era però da meravigliarsi di
quel fatto: Marcantoni era sempre stato un po' matto, quelle rare
volte che scendeva in paese dava fastidio a qualcuno con le sue
pretese assurde e i suoi discorsi stravaganti. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nella cascina eravamo
rimasti incerti, il maresciallo e io, sul da farsi. se staccare il
corpo dalla corda o aspettare che lo vedesse il pretore. Una cosa era
certa, bisognava andare a chiamare il pretore, il quale però sarebbe
venuto su l'indomani mattina perché ormai il pomeriggio era avanzato
e non c'era più tempo per un sopralluogo del genere. La decisione
era stata quella che temevo. «Appuntato» mi aveva detto il
maresciallo con aria dispiaciuta, «c'è poco fare: io devo tornare
indietro e tu devi rimanere qui. La casa è aperta, non possiamo
lasciarla incustodita con un suicida dentro. Mi spiace, ma dovrai
passarci la notte».</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Era venuta la sera, io
avevo acceso le luci nell'ingresso e nella cantina, avevo chiuso le
porte, mi ero seduto su una sedia. Sul tardi si era messo a piovere:
il grondare dell'acqua nell'aia era la cosa più viva in quella
solitudine. Ma poi s'era levato il vento e tutte le cose parevano
essersi animate. Io stavo sempre più fermo sulla mia sedia, con le
orecchie tese a tutti i rumori e ad ognuno di essi la mia fantasia
dava un'immagine: un'imposta che sbatteva, una pianta che si curvava,
un bastone che rotolava. E gli occhi, anche se fissavano le mele
stese sul pavimento a fianco della scala che saliva al piano di sopra
o i sacchi appoggiati alla parete, vedevano l'uomo impiccato con il
suo sguardo sbarrato, la lingua pendente, l'ombra nera sul pavimento.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Pensavo che avrei fatto
bene a andare al piano di sopra a fermare le imposte, almeno avrei
eliminato quegli sbattimenti secchi che ogni volta mi si
ripercuotevano dentro, ma non mi decidevo a muovermi. Nel pomeriggio,
dopo che avevamo scoperto il cadavere, il maresciallo aveva
perlustrato la casa, era andato anche su, io no. Non sapevo quindi
come erano disposte le stanze, dove erano gli interruttori della
luce. Non mi decidevo a staccarmi dalla sedia.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">All'improvviso venne a
mancare la corrente. Il mio cuore accelerò il battito, leggermente,
per una istintiva reazione a quel fatto nuovo. Ma mi rendevo conto
della normalità di quell'interruzione: il vento da qualche parte
doveva aver fatto precipitare una linea elettrica. Capitava spesso,
durante i temporali: la luce mancava, a volte per molte ore; altre
volte, se il guasto dipendeva dalla centrale, tornava dopo pochi
minuti.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Restavo immobile sulla
sedia, le mani aperte sulle ginocchia. Ora, con il buio, i rumori mi
parevano più intensi, più nitidi; era come se non vi fossero più
porte né muri, come se l'acqua cadesse dalla grondaia al mio fianco,
la pioggia battesse intorno a me, le imposte sbattessero sopra la mia
testa, sospese nel vuoto. Pensai di accendere un fiammifero, ma
immaginai le cose che mi stavano davanti alla pallida, tremolante
fiammella, con ombre lunghe e nere, e non mossi le mani. Del resto il
fiammifero si sarebbe spento dopo pochi attimi, non avrei fatto in
tempo a trovare una candela; chissà dov'era una candela in quella
casa, forse nelle stanze, di sopra, dove il vento correva per i
corridoi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">D'un tratto udii un tonfo
nella cantina. Dalla testa mi partì un'ondata di gelo che mi pervase
tutto. Rimasi immobile, trattenendo a lungo il respiro. Non v'erano
dubbi su quello che poteva essere successo: la corda s'era spezzata e
il corpo era precipitato a terra. Mi sarei dovuto alzare, avrei
dovuto accendere un fiammifero, aprire la porta, andare a vedere; ma
non mi decidevo a farlo. L'ondata di gelo attraversandomi il corpo mi
aveva lasciato un leggero tremito. «Avanti» dicevo a me stesso,
«àlzati, sei un carabiniere, sei un appuntato». Ma continuavo a
stare seduto. Pensavo che non c'era fretta, sarei potuto andare di là
quando fosse tornata la luce o addirittura all'alba.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nel mezzo di un sibilo
del vento mi parve di udire, proveniente sempre dalla cantina, una
voce, come un lamento. Mi sentii di nuovo e bruscamente pervadere dal
ghiaccio. Il vento tacque e io distintamente udii venire dalla
cantina una parola di invocazione: «pietà». Mi sentii scuotere dal
tremito. Chiusi gli occhi, in abbandono, cercavo di dirmi che dovevo
aver capito male, che non poteva essere stata una voce, ma nello
stesso tempo avevo la certezza di non essermi sbagliato. Le forze mi
lasciavano, ero soltanto in preda al tremito. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Pietà» tornò a dire
la voce di là dalla porta, «pietà, appuntato». Le mani mi
stringevano le ginocchia come fossero una morsa, non riuscivo a
controllare quella mia forza insensata. Cosa stava dunque accadendo
nella cantina? Il contadino era caduto a terra e adesso implorava
aiuto, rivolgendosi direttamente a me, sapeva anche che c'ero io
nell'ingresso. Eppure lui era morto, non c'era nessun dubbio che
fosse morto, il maresciallo ne era certo, tanto che non aveva esitato
a lasciarlo impiccato com'era, in attesa del sopralluogo del pretore.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Appuntato» tornò a
dire la voce. Io scattai in piedi trovando la forza della
disperazione, cercai di dire una parola, non so quale, ma le mie
labbra non seppero emettere altro che un gemito. Frugai in un
taschino, ne tolsi la scatola dei fiammiferi, ne accesi uno, ma la
capocchia schizzò via; ne accesi un altro. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Oh, Dio» sentii gemere
dall'altra parte. Spalancai la porta con gesto risoluto, non sapevo
immaginare che cosa avrei trovato; forse senza rendermene conto
pensavo di trovare il contadino a terra, ancora in vita, gemente.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Come la porta si aprì mi
apparve davanti per un attimo, nella luce del fiammifero che subito
si spense, un uomo alto e magro, con occhi sbarrati, la bocca
semiaperta. Lanciai un grido, indietreggiai, mi girai. Ora non mi
controllavo più. Al buio mi precipitai verso la porta che dava
all'esterno, ne cercai affannosamente il catenaccio, lo tirai, aprii,
balzai fuori, mi misi a correre. Correvo per il viottolo che andava
alla strada. Sentivo dietro di me l'uomo gridare. A un tratto intesi
che diceva: </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Appuntato, sono
Gelsomino». Riuscii a dominarmi, rallentai. Gelsomino era uno del
paese, un ladro, lo conoscevo bene. Ripensai alla sua faccia
illuminata dalla luce del fiammifero: poteva essere davvero quella di
Gelsomino. Mi fermai, mi appoggiai a un castagno.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">L'uomo mi fu subito
vicino, si aggrappò a un mio braccio. Era proprio Gelsomino.
Piangeva e tremava. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Appuntato» disse,
«credevo di morire dallo spavento. Una cosa così non mi era mai
capitata». Fece una pausa per prendere fiato, poi continuò: «Sono
andato in casa di Michele per rubare, ma poi lui è rientrato dai
campi e io mi son dovuto rifugiare in cantina, dietro una botte. E
proprio in cantina è venuto a impiccarsi: sentivo il suo tramestìo,
credevo che lavorasse, poi non ho più udito niente, ho tirato fuori
la testa e l'ho visto appeso, morto. Mentre stavo per fuggire ho
sentito arrivare la camionetta e poi voi entrare, allora sono
tornato a nascondermi dietro la botte. Sapendo che lei era lì nella
loggia dell'ingresso mi ero rassegnato a passare la notte così, con
la speranza di riuscire a scappare domattina. Poi, quando la corda
s'è rotta e il morto è caduto, non sono più stato capace di
resistere, Dio che spavento!»</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Gelsomino continuava a
tenermi stretto il braccio sinistro. Io stavo appoggiato all'albero
con gli occhi fissi verso la casa che non si vedeva. C'era solo un
gran buio intorno a noi. Sopra le nostre teste il vento frugava fra i
ricci del castagno, la pioggia ci sferzava il viso. Com'era ancora
lontana l'alba!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<br />
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<br />
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.64cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6090816196433454019.post-29703879452362232512015-11-23T02:16:00.000+01:002015-11-23T02:18:06.103+01:00Mendicanti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqBv6tMkbk0KWZ7QkIRGaJqnFIW_Ws1BN9L1ebta6HPG0vk_erTVbL4s9tb7FjHozl2xh_Kzmkx_Upy4i3IHFcwturKQdnrrv7Dq1aoRqFqn6MIdky9cl7r978iTGjXiRS2urcbdHsPAsO/s1600/1948.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqBv6tMkbk0KWZ7QkIRGaJqnFIW_Ws1BN9L1ebta6HPG0vk_erTVbL4s9tb7FjHozl2xh_Kzmkx_Upy4i3IHFcwturKQdnrrv7Dq1aoRqFqn6MIdky9cl7r978iTGjXiRS2urcbdHsPAsO/s320/1948.jpg" width="204" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">A volte</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">quando fa freddo e viene
la notte</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">mi sento mendicante.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">E allora col pensiero</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">vado per le vie deserte</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">cercando un cane per
compagno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">e un uomo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">per chiedergli la strada
del ricovero.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Mi piace pensare </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">di non trovare nessuno</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">e di camminare</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">sui marciapiedi vuoti</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">per ore e ore</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">battendo i denti</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">e sognando un cibo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">che non sia un avanzo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Anche se sono</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">nel caldo del letto</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">continuo a vagare</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">per la città desolata</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">e sento il freddo</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">e la fame e il sonno.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Soffro</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">per i fratelli mendicanti</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">un poco delle loro pene</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">perché l’alba</span></span></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">non tardi a venire.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.53cm; margin-bottom: 0cm; text-indent: 0.99cm;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">(1945)</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/04341241080811036806noreply@blogger.com0