mercoledì 10 febbraio 2016

Facile dimenticare

ll controllore del gas entrò nel cortile e lo abbracciò con lo sguardo da destra a sinistra. Era la prima volta che veniva in servizio in questa zona. Dette la voce: «gas» e la ripeté due, tre volte. Il cortile era grande, quadrato e percorso sui lati, ai quattro piani, dai ballatoi le cui ringhiere erano tappezzate di biancheria stesa. Le abitazioni erano vecchie e i contatori erano all'interno, nel primo vano, di solito la cucina. Solo in qualche caso, dove erano state fatte delle ristrutturazioni, l'azienda aveva imposto che fosse collocato all'esterno, sul ballatoio. Il controllore con il suo richiamo avvertiva gli inquilini perché fossero pronti ad aprirgli la porta e farlo entrare. 
In fondo al cortile c'era un gruppo di donne intente a chiacchierare. Erano per lo più anziane, grasse, sbracciate. Continuarono a parlare. Il controllore si accingeva ad entrare nella prima abitazione a pianterreno quando al terzo piano si affacciò alla ringhiera una donna. «Gasista, io tra poco dovrei uscire, se lei potesse venire subito da me» disse. Il controllore fece cenno di sì con la testa e imboccò la scala sotto l'androne.
Quando fu sul ballatoio la donna gli si fece incontro, lo invitò ad entrare. Lui fece la sua lettura, annotò il numero sul quaderno. Era magro, alto, sui cinquant'anni; il volto ben rasato e la divisa blu in ordine gli davano un aspetto rassicurante. «Che disgrazia» disse la donna. Il controllore sollevò gli occhi dal quaderno e la guardò interrogativamente, con meraviglia. Lei riprese: «Le donne, giù, stanno parlando di questo. Mezz'ora fa hanno portato all'ospedale con la croce rossa una povera donna che si è avvelenata con il gas, una del quarto piano». «Già» disse lui, «arrivando nel cortile ho avvertito un po' di puzza, la si sente anche qui». E chiese: «Si salva?» «Non si sa: hanno detto che respirava debolmente quando l'hanno trovata. Era fuori di conoscenza». «Come è stato?» chiese ancora il gasista. «Aveva voglia di farla finita, ecco come è stato, non gliene andava bene una». «Poveretta» disse l'uomo. «Pensi che appena tre giorni fa suo figlio, un giovanotto di venticinque anni pieno di forza e di salute, nella cava dove lavorava è stato travolto da un masso che gli ha spezzato la schiena: se campa forse deve restare per tutta la vita su una carrozzella».
Il controllore non disse nulla, ma atteggiò la bocca a una smorfia di doloroso stupore. Aveva rilevato i suoi numeri, aveva sentito la novità del cortile, a questo punto si sarebbe dovuto girare per uscire e proseguire le sue visite, ma rimase fermo come se aspettasse ancora qualche parola. Invece fu lui che fece eco alla donna: «Tutta la vita su un carrozzella!» e tornò a ripetere la smorfia. «Quella poveretta» disse la donna, «quando l'altra sera rientrò dall'ospedale piangeva tanto forte che la sentiva tutta la casa. Non aveva torto: se va bene rimane con un invalido da mantenere e accudire e lei ha l'asma e non può far niente, quando sale le scale impiega mezz'ora. E non sono tutte qui le sue disgrazie». Il controllore la guardò con sguardo ancora interrogativo, poi chiese: «Cos'altro le è successo?»
«Aveva anche due figlie» disse la donna, «ma la miseria era troppa nella casa e finirono male tutte e due. Una si sposò a quindici anni per la fretta di andarsene e non stette a guardare tanto per il sottile. Tra mesi dopo suo marito era già in prigione, per rapina. Da allora è più il tempo che passa dentro che quello che passa fuori e la ragazza se vuole mangiare deve andare a servizio. Sua sorella incominciò a bazzicare gli uomini, prima uno, poi un altro e poi un altro ancora. Un giorno sparì: dicono che sia in un'altra città a far la vita». «E adesso» commentò il controllore, «la madre ha tentato di avvelenarsi. È proprio una famiglia disgraziata».
L'uomo sembrava non avesse voglia di continuare il suo giro, preso dall'interesse per quella vicenda. «Quando sento raccontare di queste storie» commentò, «mi pare di avere dentro al petto qualcosa che non va né su né giù». Gli venne fatto di deglutire come se avesse davvero qualcosa di materiale da inghiottire. Aveva un viso asciutto, gli occhi tristi. «Povera gente» disse, «come vorrei poterla aiutare». Sollevò lo sguardo verso la donna che stava sempre in piedi appoggiata alla tavola. «E il marito» chiese, «quella disgraziata non ha un marito?» «Oh» disse la donna, «la storia del marito è lunga, è tutta colpa sua se sono successe tante disgrazie». «Sì?» chiese il controllore con meraviglia, «è mai possibile?» «Non aveva voglia di lavorare» continuò la donna, «faceva il meccanico, con bottega, ma invece di starci dentro a fare i lavori per i clienti, andava all'osteria o al bar. Almeno così ha sempre raccontato la moglie». «Che roba!» esclamò l'uomo e fece un gesto con la mano. «Sembrerebbe impossibile che potessero esistere dei tipi simili, eppure si vede che ci sono. È gente che bisognerebbe prendere a schiaffi». «Lo so» disse la donna, «ma quella poveretta non aveva certo la forza di prendere a schiaffi lui che era forte e prepotente».
«Non se ne accorgeva questo disgraziato» disse ancora il gasista, «che la famiglia andava in rovina, che una delle ragazze se la intendeva con gli uomini?» «Ma quando incominciarono a succedere queste cose lui non c'era, se ne era andato già da tempo. Abbandonò la casa cinque anni dopo il matrimonio, quando i tre figli erano piccoli». «E dove andò?» «Mah!» disse lei, allargando le braccia, «chi lo può sapere? Non si fece mai più vivo». «Ma è spaventoso» disse l'uomo, «si tratta proprio di un delinquente». Fece una smorfia di disgusto, poi chiese: «lei lo ha conosciuto?» «No» rispose la donna, «quella poveretta abita qui soltanto da qualche anno; prima, quando i figli erano piccoli e c'era ancora suo marito, abitava in montagna, a San Quintino».
«A San Quintino?» chiese l'uomo con stupore. «Ma è sicura?» «Altro che» rispose la donna, a sua volta meravigliata. Poi chiese: «Perché, lo mette in dubbio?» «No, non lo metto in dubbio, dicevo così, per dire. E come si chiama quella disgraziata?» «Si chiama Maddalena, Maddalena Corizzi. La conosce, forse?» «Oh, no» disse il gasista. Mise in tasca la matita che in tutto questo tempo aveva rigirato tra le dita della mano destra. Si voltò verso la porta, quasi di scatto. «Scusi le chiacchiere, le ho fatto perdere tempo». Si avviò per il ballatoio per imboccare le scale in discesa e andare ad iniziare il giro dal basso.
Nel cortile c'era ancora il gruppetto di casigliane che stavano parlando. Il gasista bussò alla prima porta e una delle donne si staccò dal crocchio. «Arrivo, arrivo» disse, mentre correva per farlo entrare. «È la prima volta che faccio questa strada» disse l'uomo, «mi deve indicare dov'è il contatore». Entrò, lesse i numeri, li trascrisse come un automa, come se nemmeno li vedesse. Pensava a Maddalena, da quanto tempo si era dimenticato di lei; gli venivano in mente anche i bambini, Gino, Tina, Evelina. Chissà delle due figlie qual era quella che faceva la vita.
Continuò le sue letture passando da un'abitazione all'altra senza più dire una parola; anche se qualche donna cercava di attaccar discorso, lui taceva. Tentava di figurarsi le facce che potevano avere i suoi figli diventati adulti. E gli venivano anche in mente quei giorni lontani, quella sua disaffezione al lavoro, quel vagare da un'osteria a un bar, passare da una partita a briscola a una al biliardo. Infine c'era stata la sua decisione di andarsene, non sapeva neanche lui dove e perché. Aveva trascorso alcuni mesi come un barbone fino a quando aveva trovato Marina, che era riuscita a tirarlo fuori da quel gorgo nel quale era scivolato, prima usando la dolcezza poi la fermezza, l'imposizione. Gli aveva fatto ritrovare la volontà di lavorare. E con Marina, sua attuale compagna, aveva due figli tra i cinque e i dieci anni.
I controlli nella grande casa di ringhiera erano finiti. Il gasista dal cortile si avviò sotto l'androne per uscire in strada. Quando fu sul marciapiedi si fermò a guardarsi intorno. A sinistra, oltre gli alberi che erano in fondo al viale, c'era l'ospedale. Era là che avevano portato Maddalena, forse c'era anche Gino che aveva la schiena spezzata e la prospettiva della carrozzella. Si aggiustò sulla spalla la cinghia del borsello nel quale teneva il quaderno dei controlli e girò a destra.





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