Nella
mia lontana prima giovinezza, a undici o dodici anni. Ero in treno
con due cugine, loro già adulte. Un viaggio breve, tra due
stazioni, ma scomodo. Stavamo in piedi sulla piattaforma davanti
alla porta, stretti stretti; se fosse stato necessario soffiarsi il
naso sarebbe stato un problema far risalire una mano. Dalle cugine
ero staccato di alcuni metri, cioè tante persone. Con la schiena
appoggiata alla parete, in certi scossoni il mio naso andava a
strusciare contro la catena dell’orologio da taschino dell’uomo
che mi stava davanti. A un tratto mi sono sentito frugare come mi
volessero derubare.
Non
le vedevo ma erano sicuramente le mani del possessore della catena.
Ho detto, con il viso rivolto in alto: «Qui ci sono io». Qualche
minuto dopo il fatto si è ripetuto. Sono riuscito ad afferrare la
mano che armeggiava, ma non a trattenerla. Ero in preda a rabbia e
paura al tempo stesso ma per fortuna si incominciò a sentire lo
stridore dei freni, il treno stava fermandosi. Scendemmo.
Raccontai
subito alle cugine la cosa, per me inspiegabile, che mi era
successa. «Proprio non lo sai?» No, non lo sapevo; fu in quella
occasione che imparai l'esistenza di uomini che provano attrazione
verso persone dello stesso sesso.
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