domenica 8 novembre 2015

Barbagia

1972. Era un tempo di continui sequestri di persona a scopo di estorsione e di sanguinose faide tra famiglie. Le carceri della Sardegna non erano mai state così affollate e le campagne mai così frequentate da tanti latitanti, anche ergastolani. In un paese, negli ultimi venti anni erano state uccise trenta persone. Ci sono cimiteri nei quali la frase “tragica morte” si legge sul novanta per cento delle lapidi; c’è chi è stato ucciso dopo venti anni dal dissidio, quando ormai non si aspettava più la vendetta. Inoltre capita che la vendetta possa abbattersi non su chi è stato la causa dell’odio ma su altre persone del clan, familiari, cognati, cugini.
Nell’ultimo scorcio dell’anno avevo dedicato una serie di articoli alle donne dei banditi. Mi sovviene di Gabriela che aspetta il fidanzato condannato a vent’anni di reclusione. Si erano fidanzati nel ’63, lei a vent’anni, lui a 24. Poco dopo l’avevano cercato per una rapina e lui si era dato alla latitanza. Quello l’inizio dei guai. Dentro 29 mesi senza processo; poi libero, ma quando stanno per preparare le nozze, nell’aprile ’67, va di nuovo in carcere, accusato di un sequestro di persona. Da allora non è più uscito.
Chiedo a Gabriela se il fidanzato ha fratelli. «Sì, tre». Chiedo se vanno a trovarlo. «Ma due sono dentro, condannati a trent’anni per sequestro di persona». Parlando ancora scopro che anche il terzo fratello, il più giovane, è da poco incarcerato, anche lui per sequestro di persona. «Ma è innocente, come gli altri» dice la ragazza». Di tutti abbiamo le prove dell’innocenza, ma non ci credono perché siamo parenti».

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