1972.
Era un tempo di continui sequestri di persona a scopo di estorsione e
di sanguinose faide tra famiglie. Le carceri della Sardegna non erano
mai state così affollate e le campagne mai così frequentate da
tanti latitanti, anche ergastolani. In un paese, negli ultimi venti
anni erano state uccise trenta persone. Ci sono cimiteri nei quali la
frase “tragica morte” si legge sul novanta per cento delle
lapidi; c’è chi è stato ucciso dopo venti anni dal dissidio,
quando ormai non si aspettava più la vendetta. Inoltre capita che la
vendetta possa abbattersi non su chi è stato la causa dell’odio ma
su altre persone del clan, familiari, cognati, cugini.
Nell’ultimo
scorcio dell’anno avevo dedicato una serie di articoli alle donne
dei banditi. Mi sovviene di Gabriela che aspetta il fidanzato
condannato a vent’anni di reclusione. Si erano fidanzati nel ’63,
lei a vent’anni, lui a 24. Poco dopo l’avevano cercato per una
rapina e lui si era dato alla latitanza. Quello l’inizio dei guai.
Dentro 29 mesi senza processo; poi libero, ma quando stanno per
preparare le nozze, nell’aprile ’67, va di nuovo in carcere,
accusato di un sequestro di persona. Da allora non è più uscito.
Chiedo
a Gabriela se il fidanzato ha fratelli. «Sì, tre». Chiedo se
vanno a trovarlo. «Ma due sono dentro, condannati a trent’anni per
sequestro di persona». Parlando ancora scopro che anche il terzo
fratello, il più giovane, è da poco incarcerato, anche lui per
sequestro di persona. «Ma è innocente, come gli altri» dice la
ragazza». Di tutti abbiamo le prove dell’innocenza, ma non ci
credono perché siamo parenti».
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