lunedì 5 ottobre 2015

Pareggio

La villa sorgeva su un cucuzzolo, trenta metri sopra il paese. Era bella a vedere, d'un bianco candido, con le imposte verdi. Ma era scomoda da abitare. Ci portavo la famiglia tutte le estati, per un paio di mesi; poi ci tornavamo d'inverno, a dicembre, per una ventina di giorni. Era sempre attraente l'idea di andare in montagna, togliendosi dall'atmosfera fumosa della città; spesso riuscivamo a fare una capatina anche nei week-end. Ma, quando eravamo là, c'era sempre qualcosa che non andava: un rubinetto che non chiudeva bene, la pompa dell'acqua che si guastava, il tetto che lasciava filtrare la pioggia. Piccolezze, queste, a confronto dei difetti costituzionali e ineliminabili della costruzione.
Dietro la villa, in alto, c'era una vallata dalla quale scendeva un vento gelido. Anche d'estate non si poteva sostare nel giardino senza il pericolo di buscare il raffreddore. D'inverno, poi, i muri si coprivano addirittura di una patina di ghiaccio, e anche la ripida stradicciola che dal paese saliva alla villa gelava e non si riusciva a percorrerla in auto; la macchina bisognava lasciarla in piazza, alle intemperie, e percorrere quest'ultimo tratto a piedi. Da novembre a marzo, di pomeriggio, il sole scompariva per due ore dietro un monte che era a ponente della villa, ricompariva soltanto per farsi vedere tramontare. Come se tutto questo non bastasse, a lato della casa, una sponda che scendeva ad un piccolo torrente franava spesso, sicché il terreno che divideva la costruzione dal ruscello andava sempre più restringendosi: sarebbe stato necessario erigere un muro per fermare lo smottamento.
Ero stanco di tutte quelle contrarietà e un giorno, d'accordo con mia moglie, decisi di vendere la villa per comprarne un'altra al mare. Feci uscire un'inserzione su un giornale e qualcuno telefonò sin dal giorno dopo; ma erano richieste di poca consistenza, si capiva dal tono della voce di chi parlava. Dieci giorni dopo si presentarono un uomo e una donna, sulla trentina, sposi da un paio d'anni. Li accompagnai alla villa e ne rimasero entusiasti. A loro piaceva tutto: la forma, il colore, la posizione, il ruscello, il giardino, la stradina in salita. Io, naturalmente, da buon venditore, decantai i pregi o i presunti pregi, trascurando del tutto i difetti.
Eravamo d'autunno, una giornata calda, e il clima mi era favorevole. La signora si guardava attorno con occhi gioiosi, il sorriso sempre sulle labbra. Progettava piccole modifiche, abbellimenti. «Qui potremmo spostare la parete per ampliare il salotto, al centro del giardino si potrebbe mettere una fontana, sulla sponda del ruscello ci starebbe bene una scaletta...» Il marito diceva sempre di sì, anche lui tutto preso dall'infatuazione. Io pensavo, quasi ridendo tra me, che ampliando il salotto si sarebbe eccessivamente ridotto lo studio, che una fontana nel giardino d'inverno sarebbe stata preda del gelo, che la scaletta verso il torrente sarebbe stata travolta dal primo smottamento. Ma dovevo vendere e dicevo: «Magnifica idea, quella della fontana; la scaletta, poi, darà un tono davvero affascinante all'ambiente». Il prezzo pareva un po' caro. Effettivamente la mia richiesta era stata elevata, soprattutto in considerazione dei difetti della villa. Cercavo di resistere, magnificando doti inesistenti.
La visita finì, prendemmo appuntamento per un giorno della settimana successiva. Temevo che nel frattempo i due coniugi ci ripensassero o raccogliessero informazioni da qualcuno del posto. Invece si ripresentarono ancora animati dal primitivo fervore che via via vedevo accrescersi mentre si svolgeva la nuova visita. Erano innamorati di tutto: della villa, dei monti circostanti, dei sassi, degli uccellini che cinguettavano intorno. «Come mai non si vede il sole?» chiese a un tratto meravigliata la donna. Erano le tre del pomeriggio e il sole incominciava proprio in quei giorni a nascondersi dietro il monte che era a ponente. Io stavo per spiegare che, d'inverno, per un breve lasso di tempo nel pomeriggio la villa sarebbe stata in ombra, ma il marito mi prevenne: «È lì, dietro quel monte, tra poco verrà fuori». Entrambi ripresero a sorridere come prima. Mi facevano un tantino di pena; ad ogni modo io dovevo vendere e dovevo vendere bene. Ripresi ad esaltare ciò che a loro piaceva di più. Tre giorni dopo ci presentavamo da un notaio per il rogito. Il prezzo pattuito era alto rispetto al reale valore dell'immobile. I due sposi erano felici, si capiva che la villa che comperavano era proprio quella che avevano sempre sognato.

Una settimana dopo mia moglie e io eravamo già in Riviera a cercare un'altra villa. Ci presentammo a un'agenzia, prendemmo in considerazione diverse offerte, andammo anche a fare qualche visita, ma non c'era nulla che ci garbasse. Rimandammo: non si poteva pretendere di trovare in pochi giorni quello che cercavamo. Tornammo in Riviera altre volte, passammo di località in località. Finalmente una domenica, ai primi di dicembre, andammo a visitare una villa che ci piacque al primo colpo d'occhio. Era a pochi metri dalla strada statale e in posizione soprelevata, circondata da una cinquantina di ulivi. Le finestre guardavano il mare, che era d'un azzurro intenso, come non avevamo mai visto in nessun altro posto. Era proprio una bella villetta, un po' piccola, ma graziosa. La vendevano arredata: i mobili erano pochi, ma in compenso antichi, autentici. E il prezzo non era caro, poco più di quanto avevamo riscosso dalla vendita della villa in montagna.
Durante quella nostra prima visita portammo a buon punto l'accordo. Oramai non avevamo più dubbi sulla scelta: quella sarebbe stata la nostra villa. Bisognava non perdere tempo per evitare che qualcun altro ce la soffiasse. Per stare nel sicuro prendemmo l'appuntamento per l'indomani. A sera avevamo già concluso l'affare e consegnata la caparra. Pochi giorni ancora nell'attesa che fossero predisposti i documenti e poi potemmo fare l'atto notarile.
Natale si avvicinava, poteva essere l'occasione per festeggiare l'acquisto: trascorrere là le vacanze. E, infatti, così decidemmo. Presi qualche giorno di ferie da collegare con l'inizio delle vacanze e ci trasferimmo giù, felici e armati di buona volontà, perché ovviamente bisognava affrontare la pulizia generale dei locali, nell'attesa di far fare poi i lavori di tinteggiatura. Con aspirapolvere, spazzettoni, scope, detersivi e disinfettanti affrontammo muri, pavimenti e infissi. Lavare, lucidare, lustrare: un lavoro faticoso, estenuante, per noi non avvezzi a quelle fatiche fisiche. Si arrivava a sera sfiniti, ma eravamo veramente soddisfatti di tutto: dell'affare concluso, del luogo, del clima. Lì avremmo certo potuto vivere giorni meravigliosi, d'estate e nei week-end; tra l'altro il viaggio dalla città alla Riviera era più breve di quello per la montagna, avremmo potuto godere più spesso della nostra seconda casa. Poi l'aria salmastra sarebbe stata un toccasana per i nostri polmoni. Mia moglie e io pensavamo ai benefici che ne avrebbero ottenuto il bambino e mia suocera, già parecchio anziana, che in città, d'inverno, spesso era tormentata dalla bronchite. Demmo una sistemata anche al giardino, ma solo per piccoli interventi superficiali, soprattutto di pulizia. Infine, cosa molto importante per accentuare il clima della festività natalizia e dell'inaugurazione della villa, addobbammo con collane di lampadine e palle colorate l'albero di Natale, scegliendo a questo scopo un ulivo in mancanza di un abete.
C'era ancora un ultimo lavoro da fare e l'affrontammo la vigilia, come tocco finale. Consisteva in una nuova sistemazione dei mobili per disporli secondo il nostro gusto e le nostre esigenze. Ad esempio, un bellissimo bureau del Settecento, tra l'altro in ottime condizioni, che era in un angolo un po' buio, andava spostato per dargli miglior luce. Era pesante e per muoverlo più agevolmente sfilammo i cassetti. Sul fondo del mobile c'era un foglio di carta scritto a penna che evidentemente era uscito da uno dei cassetti, sfuggendo così allo svuotamento effettuato dal precedente proprietario. Lo presi e mi misi a leggerlo, per curiosità. Doveva essere una brutta copia, perché era vergato con calligrafia trasandata e con correzioni.
Era una lettera. Diceva: "Cara Luisa, ti annuncio che lascio la Riviera. Parto domani stesso per Genova, dove mi trasferirò nel mio vecchio alloggio. Sono finalmente riuscito a vendere questa villa. Come ricorderai, erano due anni che cercavo di disfarmene, ma non ci riuscivo mai. Sono proprio contento. Qui la vita è ormai impossibile, con il crescente frastuono delle macchine sulla strada, il gas dei tubi di scarico che ammorba l'aria, l'acqua dell'acquedotto che d'estate non riesce ad arrivare fin quassù. Senza contare che nel giugno prossimo inizieranno la costruzione di un grande albergo, a otto piani, proprio qui davanti, in modo che chi si affaccerà non s'accorgerà nemmeno di essere in Riviera. Nonostante tutti questi difetti sono riuscito a concludere un buon affare. Gli acquirenti sono due coniugi che si sono dimostrati innamorati della villa sin dal primo momento in cui l'hanno vista. Me l'hanno pagata più di quanto sperassi. Gli ho ceduto tutto, anche i mobili che, come sai, sono imitazioni di scarso valore. Allora, da domani stesso, se mi devi scrivere, ricordati che il mio nuovo indirizzo...".





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