lunedì 26 ottobre 2015

Il consiglio

Proprio in quel momento la donna tirò su la borsa. Luigi Berletti non fu sufficientemente lesto ad estrarre la mano che stava annaspando alla ricerca del borsellino. La donna si voltò, vide il suo braccio: «oddio, oddio!» Berletti fece uno scatto, si mise a correre fra le bancarelle. «Al ladro, al ladro» gridò la donna. Altre voci si unirono alla sua: «Fèrmalo, fèrmalo». Un pizzicagnolo gli si parò davanti per bloccarlo ma Berletti fu svelto a scansarlo, urtò una bancarella di pesce e la mandò all'aria. L'impatto lo sbilanciò ed egli andò avanti sbilenco senza avere più capacità di controllo: sbatté contro un banco di frutta che aveva in bella mostra due piramidi di pere e di mele che volarono e si disseminarono, poi, dopo qualche altro metro, finì la sua corsa come se si tuffasse; ma anziché una piscina c'era una bassa bancarella di mutande e reggiseni che sotto l'urto e il peso si sfasciò travolgendo a sua volta l'ambulante, una donna grassissima seduta lì a lato su uno sgabello.
Tutto questo in pochi secondi. Un finimondo per quel mercato rionale che viveva la sua mattinata tranquilla: tutt'intorno c'era un gran vociare, ma proprio nel mezzo di quella devastazione la gente era rimasta sconcertata, qualcuno stava ancora con le mani nei capelli, incapace di reagire. Attimi, ma attimi preziosi per Berletti che fu svelto a rialzarsi e a ripartire, nella corsia tra le bancarelle. «Dài, dài, che scappa», «prèndilo, prèndilo», «bloccalo», «correte, correte», incitazioni e invocazioni si incrociavano, alcuni giovani stavano effettivamente mettendosi a rincorrerlo, ma lui aveva già guadagnato un bel po' di metri. Correva a perdifiato e intanto si meravigliava di avere slancio nonostante i suoi quarant'anni e la pancia debordante; non doveva a nessun costo rallentare perché la canea che aveva dietro aumentava. Un momento davvero difficile per lui, non si era mai trovato in una situazione simile. Come mai si era lasciato pescare così, come un pivellino alle prime armi? Evidentemente stava invecchiando. Nella sua carriera di borsaiolo aveva rubato almeno mille portafogli: erano dieci anni che rubava sulle piazze e nessuno se ne era mai accorto, non la conosceva anima viva la sua attività, nemmeno la moglie.
Adesso era proprio ai ferri corti, inseguito da quella turba di forsennati che, se l'avessero raggiunto, forse l'avrebbero linciato. Svoltò per una strada stretta e poco frequentata; se fosse riuscito a guadagnare una ventina di metri sarebbe potuto arrivare sulla piazza e lì entrare in chiesa senza che se ne accorgessero. La chiesa a quell'ora era sempre deserta; si sarebbe potuto nascondere da qualche parte. E nella piazza confluivano quattro strade, gli inseguitori si sarebbero dispersi in una vana ricerca. Allungò il passo più che poté, urtò una vecchia che riuscì a malapena a reggersi aggrappandosi al muro. Svoltò rapidissimo, a sinistra, pochi metri più avanti c'era una porticina che dava in chiesa. Entrò.
Ai banchi stavano inginocchiate due suore e altre tre donne. Tutto era in penombra. Berletti si fermò un attimo dietro una colonna; a tre passi da lui, in una zona ancora più buia, c'era un confessionale. Si spostò piano, per non attirare l'attenzione su di sé, aprì con delicatezza il basso usciolo, entrò, lo richiuse, tirò la tenda, si sedette. Finalmente era nascosto. Possibile che gli inseguitori venissero anche dentro in chiesa e, se venivano, che guardassero dentro i confessionali? In questo momento, se ancora persistevano nella sua caccia, erano sguinzagliati per le strade che si diramavano dalla piazza. Ansimava. In petto aveva un battito scomposto, il cuore in gola.
Berletti aprì lo sportellino che copriva la finestrella di sinistra. La grata era bucherellata, al centro una serie di fori più fitti disegnavano la croce. Accostò l'occhio: ora che lo sguardo cominciava ad abituarsi al buio, vedeva abbastanza chiaramente l'interno della chiesa, i banchi, le donne, le suore, e la porta principale, sul fondo. Tenne l'occhio fisso a quella parte, vide uscire le suore, entrare un vecchio che si reggeva con due bastoni, poi una donna bassa e grassa. Luigi Berletti appiccicò ancor di più l'occhio alla grata. Perbacco, era sua moglie, quella. Si sentì di nuovo agitato: ma come mai, si chiedeva, sua moglie era in chiesa, non ci andava quasi mai. E adesso, per giunta, veniva verso il confessionale. Cosa doveva fare, lui? Pensò di fingere che non ci fosse nessuno: lentamente chiuse lo sportellino della grata, ma cigolò. Ormai Berletti non poteva più nascondere la propria presenza. Riaprì lo sportello e si coprì il viso con una mano. Un attimo dopo sentì il respiro della moglie a fianco della grata. Disse lei: «Sia lodato Gesù Cristo». Berletti si raschiò la gola; cosa doveva dire? Gli affiorò un ricordo dell'infanzia, di quando andava alla dottrina, disse, meravigliandosene: «Sempre sia lodato». "Riconosce la voce" pensò, e subito si strinse il naso con due dita per essere pronto a contraffarla.
«Reverendo» incominciò a dire la donna, «io vengo da lei perché sono turbata da un rimorso: voglio confessarmi, e chiederle anche un consiglio». "Ma cosa ha fatto?" si chiedeva Berletti con l'orecchio appoggiato alla grata. «Posso dire?» chiese la donna. «Sì, sì» rispose l'uomo tenendosi stretto il naso; e intanto cercava di immaginare la colpa di sua moglie. Cosa aveva fatto, l'aveva tradito, si era indebitata a sua insaputa, aveva tramato qualcosa contro di lui? «Io» disse la donna, «ho un figlio di dieci anni, uno solo». «Sì, sì» ripeté il marito, impaziente, ma subito si rese conto del rischio che correva: doveva andar cauto, parlare il meno possibile per non farsi scoprire. «Bene» riprese a dire la donna: «da quando mio figlio è nato, io ho sempre derubato mio marito: cinquecento, mille lire al giorno; talvolta, quando il suo portafogli era ben fornito, gliene rubavo anche cinquemila; in altri giorni, niente. Prima le lire poi gli euro». "Disgraziata" pensò lui, "mi rubi i soldi: ecco perché certe volte mi trovo inaspettatamente con il portafogli quasi vuoto". «Ma il motivo di questi furti?» chiese Berletti con voce fortemente nasale. «Per fare studiare nostro figlio, quando sarà grande. Mio marito fa il facchino e di soldi non ne ha tanti, se non faccio così non riusciremo mai a farlo studiare. Adesso ho già messo da parte quasi ventimila euro». "Dio mio, ventimila" pensò Berletti, "che somma!". Avrebbe potuto far baldoria per mesi con gli amici senza pensare a niente, né al lavoro, né ai borseggi. Una cifra così non s'era mai sognato d'averla.
«Il mio problema è questo» continuò la donna: «devo confessarlo a mio marito o no?» «Ma certo, ma certo» disse lui d'impeto. La donna replicò: «Reverendo, io ho rubato a fin di bene, per nostro figlio; non appena io confesso questa cosa a mio marito lui si prende i soldi e va al bar a bere e a giocare, prevedo già come finisce». «Ah, sì?» fece lui distrattamente. Rivide Giancarlo, suo figlio. Certo sarebbe stato bello poterlo fare studiare, che non dovesse anche lui entrare a far parte della cooperativa facchini, portare valigie e sacchi e casse tutti i giorni. «Reverendo» tornò a dire la donna, «io sono venuta qui decisa a seguire il suo consiglio, perché sono piena di rimorso: se lei mi dice di riferirgli tutto, lo faccio; però vorrei che ci pensasse bene prima di consigliarmi». "Ma dove saranno nascosti quei soldi" si chiedeva Berletti, "che li tenga in banca? Io non mi sono mai accorto di niente, se li avessi trovati avrebbero sicuramente fatto una brutta fine. Certo, però, sarebbe bello che Giancarlo potesse studiare, diventare un dottore, per esempio, o un avvocato, l'avvocato Giancarlo Berletti. Se qui, al posto mio, ci fosse un prete vero", pensò ancora l'uomo, "che cosa risponderebbe? Forse le direbbe di star zitta, di fare studiare il figlio".
«Reverendo» chiese la donna con voce preoccupata, «sta male?» «No, no, sto pensando» rispose lui. «Scusi ma non la sentivo più, m'ero preoccupata». «Senta» disse Luigi Berletti, «allora non glielo dica a suo marito». Aveva le idee confuse: le sue labbra dicevano quelle parole, ma intanto la mente pensava ai soldi, ventimila euro. Dio che abbondanza. Si macerava già nella curiosità di sapere dove fossero nascosti, nel desiderio di chiederglieli, di farseli dare a costo di usare la forza. Però sarebbe proprio bello che suo figlio potesse diventare un pezzo grosso, il dott. Giancarlo Berletti o l'avv. Giancarlo Berletti. «Senta» tornò a dire, «no, non glieli dia a suo marito i soldi, neanche se lui si insospettisce e glieli chiede. Non glieli dia, neanche se la picchia per averli. Adesso vada via, subito, subito». «E l'assoluzione?» chiese lei allarmata. «Sì, sì, gliel'ho già data, vada via e badi ai suoi soldi, non se li lasci prendere».

La donna si fece il segno della croce e si allontanò. Berletti, con l'occhio alla grata, la seguì fino alla porta, la vide uscire. Adesso poteva venir fuori dal confessionale, i suoi inseguitori s'erano di certo dispersi, la via era libera. Sarebbe andato a casa. Pensava già alle parole che avrebbe detto alla moglie: "Ho l'impressione che tu, di tanto in tanto, mi porti via dei soldi di tasca, chissà quanti me ne hai già rubati. Dove li hai messi?". Non sapeva ancora bene se sperare che sua moglie resistesse o che cedesse. Chissà come sarebbe andata a finire.

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