giovedì 20 agosto 2015

Un balzo e si vola

Non di rado i miei sogni sono di tipo angoscioso. Uno che si ripete è quello dell’impossibilità di trasmettere un articolo al giornale che lo sta aspettando. Ho fatto l’inviato per decine d’anni e svolto alcune migliaia di servizi fuori sede, cioè sono andato sul posto, anche con viaggi lunghi centinaia di chilometri, ho raccolto le informazioni necessarie, ho scritto e poi ho trasmesso al giornale il testo via telefono dettando agli stenografi o servendomi del computer e del modem. Tutto nello stesso giorno, con tempestività, senza perdere un minuto. Non ho mai avuto problemi, nessun servizio è mancato e nemmeno giunto in ritardo per mia colpa. Certo, sapevo che con il poco tempo di cui disponevo lavoravo sul filo del rasoio: sarebbe bastata l’interruzione di una linea telefonica o un guasto all’auto che mi bloccava in una località isolata per farmi mancare il servizio. Lo sapevo ma non ne avevo turbamenti: una consapevolezza che mi lasciava indifferente; o per lo meno di questo ero convinto.
Da quando non lavoro più - ormai oltre venti anni - di tanto in tanto vivo in sogno un dramma per l’impossibilità di trasmettere il servizio già pronto. Solitamente c’è di mezzo il telefono: lunghe code di persone che mi precedono davanti all’unico apparecchio, oppure la linea che non si prende, il disco combinatore che si inceppa, la voce che va e viene, lo stenografo che ripete "non sento, non sento" o il computer centrale del giornale che non accetta il collegamento del modem. A volte non posso nemmeno scrivere, bloccato da un susseguirsi continuo di circostanze che non mi consentono di tradurre in articolo gli appunti.
Un altro sogno che si ripete è quello dell’automobile che non trovo più: vado in giro di parcheggio in parcheggio con angoscia crescente perché ho molta fretta, c’è chi mi aspetta oppure sono in ritardo con il lavoro; e mi struggo nel cercare di ricordare dove l’ho lasciata, senza riuscirci. Tutti ripartono con la loro automobile, solo io non ritrovo la mia.
Ancora. Sono lontano da casa ed è da tanto che non do mie notizie, vorrei telefonare ma non posso e sento crescere un senso di colpa. La casa non è la mia ultima, quella della mia famiglia nella quale ho trascorso la maggior parte della vita, ma quella della fanciullezza e giovinezza, che lasciai per sposarmi e per andare a vivere con mia moglie e mia suocera. E infatti la sensazione di rimorso è nei confronti dei miei genitori, soprattutto mia madre. Assieme all’angustia c’è un presentimento della gioia e dell’emozione che proverò nel momento in cui potrò mettermi in contatto con loro.

Fortunatamente qualche sogno è piacevole. Uno che ritorna di tanto in tanto è quello del volo. Un volo mio, del mio corpo, non con l’aereo o l’elicottero. Non so come lo spicco, se con un balzo da terra o lanciandomi dall’alto: mi trovo già sollevato a media altezza, poco al di sopra di chi cammina, e le mie braccia, come grandi ali, si aprono e si richiudono contemporaneamente in due ampi semicerchi. Il nuoto aereo mi fa avanzare rapido e io mi sento leggero ed elegante, pervaso da una contentezza sconfinata; sono anche sorpreso per l’evento che sento miracoloso ma al tempo stesso come una cosa naturale.

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