mercoledì 5 agosto 2015

L'anguria

Una giornata molto piena, su e giù per paesi dell'Emilia a visitare sportelli bancari, a discutere con i direttori dei problemi che la banca deve affrontare in tempo di crisi. Ma il suo incarico ispettivo è di soddisfazione; e altro piacere gli viene dal poter viaggiare su questa automobile veramente confortevole. Era da tempo che ne desiderava una con il condizionatore. Adesso ce l'ha e può constatare che il caldo, mentre guida, non è più un problema. Siamo nel pieno d'agosto: se avesse viaggiato con la vettura che aveva prima, oggi avrebbe bagnato le classiche sette camicie e invece è fresco e riposato, per nulla preoccupato di dover affrontare, adesso che è sera, tanti altri chilometri per attraversare l'Appennino. L'ha da appena un mese questa auto: è di seconda mano, con un anno di vita e cinquantamila chilometri. Sembrano tanti, ma per una vettura di questo tipo, tedesca e di gran marca, non sono nulla. Con questi motori, dice chi se ne intende, si possono fare anche trecentomila chilometri prima di revisionarli.
È venerdì, inizio del fine settimana. Il viaggio che il dott. Sisto Verzuoli sta per affrontare come appendice al lavoro della giornata è motivo di ulteriore soddisfazione perché lo porterà sulla spiaggia della Versilia dove sono in vacanza sua moglie e i due bambini. Godrà di due giorni di intensa, lieta partecipazione alla vita familiare, per poi riprendere servizio in attesa delle ferie che gli toccheranno in settembre. Il percorso che sta affrontando è per lui di particolare interesse. Sul primo tratto appenninico, da Maranello all'Abetone, lo aveva portato in gita molti anni fa, quando era ancora ragazzo, suo padre, desideroso di rivedere i luoghi dove aveva combattuto la guerra partigiana. Con l'inoltrarsi della sera il buio non gli consentirà di ammirare il paesaggio, ma gli fa piacere ugualmente sapere che su questo territorio il suo caro papà - che purtroppo non c'è più, morto da un anno - aveva vissuto un periodo tra i più incisivi della sua vita, per i pericoli, le paure e le speranze.
Ora, con la pianura ormai alle spalle, la strada incomincia a salire e la collina presenta le sue quinte successive che sfumano nella bruma. Qua e là si vedono le chiazze bianche dei calanchi, avvallamenti classici di questa zona di terra argillosa che, corrosa dalla pioggia e dal vento, si denuda di ogni vegetazione offrendo alla vista dirupi scoscesi e rugosi. Verzuoli è attento alla strada ma riesce anche a dare rapide occhiate al paesaggio; può rallegrarsi constatando che il buio della notte non avanza, contrastato dalla luminosità della luna che è alta e piena. Benissimo: proprio un viaggio di grande piacevolezza. Tra l'altro c'è un traffico scarso, lui può ammirare la suggestiva scenografia che lo circonda e anche ripensare ai racconti che gli aveva fatto suo padre durante quella lontana gita. Una notte, mentre in pattuglia attraversavano la statale per passare da una vallata a un'altra, erano stati sorpresi dai fari di un camion sbucato da una curva. Era carico di soldati tedeschi, che avevano incominciato a sparare prima ancora che l'automezzo si arrestasse. I partigiani si erano sparsi alla ricerca di ripari da dove avevano risposto al fuoco; lo scontro era durato una ventina di minuti, poi i tedeschi erano ripartiti e da entrambe le parti non c'erano state perdite.
L'auto fila via liscia, silenziosa, il motore è dolce, sensibilissimo al lieve tocco sull'acceleratore. Ma poi, d'improvviso, che cosa succede? Un colpo secco, sotto il cofano, qualche secondo di sferragliamento e infine più nulla. Il motore s'è arrestato e anche la vettura, per la salita, si ferma in fretta. Accidenti, dice fra sé, esterrefatto, Verzuoli. Ripensa ai rumori uditi e gli sovviene che possa essersi rotta una catena. La catena della distribuzione? Se esiste: non lo sa, non se ne intende. Quello che sa è che è rimasto in panne. Infatti prova un po’ di volte a far girare il motorino d'avviamento ma il motore si rifiuta di ripartire. La tanto decantata vettura, eccezionale per la marca e la nazionalità, capace dei trecentomila chilometri, l'ha piantato in mezzo alla montagna, una terra che fino a qualche minuto fa gli era simpatica e cara e che adesso già vede come un odioso luogo di angustie. Che fare? Intanto bisogna sfruttare la strada in pendenza e lasciare andare un po' indietro l'auto per metterla al sicuro sullo spiazzo che poco prima aveva notato a lato della strada. Poi dovrà telefonare all'ACI, sempre che l'ACI a quest'ora faccia servizio, per chiedere l'intervento di un carro attrezzi. Ma dove trovare un telefono? Perché è senza cellulare: ha una carta ricaricabile, proprio oggi ha scoperto che malauguratamente gli è finito il credito e non ha avuto il tempo per provvedere.
Dunque, eccolo qui Sisto Verzuoli, all'inizio della notte, su una strada dell’Appennino, praticamente come nel deserto, di fianco a un'auto che non va più e con tanti chilometri ancora da fare. E il brutto è che non passa quasi nessuno; sembra impossibile, d'agosto, in epoca di vacanze. Arriva un motociclista, inutile fargli cenno; poi un'auto che lo illumina e lui alza una mano con gesto timido, con risultato nullo. In dieci minuti transitano sei vetture e un camion, tre in salita e quattro in discesa, ma dei conducenti non uno che risponda alla sua richiesta. È preoccupato. Bisogna decidersi: farà altri tentativi per cinque minuti, poi s'incamminerà in discesa per arrivare fino a Maranello che dista, forse, sei o sette chilometri.
E così, dopo altre vane richieste ad automobilisti frettolosi e insensibili, chiude l'auto e incomincia a scendere. Dopo pochi passi sente le prime gocce. Un lampo, poi il tuono. C’è la luna, bella, limpida, ma in giro si vedono anche nuvole nere, certamente è in arrivo un temporale, così dovrà anche bagnarsi: una sera proprio scalognata. Due minuti e poi vede arrivare un camioncino carico di rottami di ferro; si volta e prontamente alza il braccio, l’automezzo si ferma.
«Per favore» dice Verzuoli rivolgendosi al conducente, «potrebbe aiutarmi? Il mio cellulare non funziona e devo chiedere l'intervento di un carro attrezzi». Alla guida c'è un uomo magro, dalla faccia scavata, i capelli bianchi, ma forse ancora abbastanza giovane. Ascolta e tace, è come soprappensiero. Infine risponde: «Io non ho un cellulare. Stavo scendendo ma, visto che si sta mettendo a piovere, tutto sommato è meglio se cambio programma: torno a casa, e lei telefona dal mio fisso». Gli apre lo sportello di destra e lo fa salire. «Stavo andando a Maranello, nel giardino di un mio amico, un calzolaio, per mangiare con lui l’anguria che è lì tra i suoi piedi; invece la mangerò con mia moglie mentre lei telefona».
«È molto gentile, mi scuso per il disturbo».
«No, va bene così, non si preoccupi» dice l'uomo. E aggiunge: «Questo camioncino ha più anni lui dei rottami caricati nel cassone». Verzuoli cerca di sistemarsi sul sedile ma ha difficoltà a trovare il posto per i piedi. «Adesso giriamo e attacchiamo con calma la salita. Lei si metta l’anguria tra le gambe così la tiene ferma. Attento che c’è anche il coltello. Ah, si è già sistemato? Bene, allora andiamo».
Avvia il motore, partono in salita. Dice il ferravecchi: «È brutto rimanere a piedi in mezzo a una strada, lo so bene: questo mio vecchio trabiccolo mi ci ha lasciato più di una volta». Verzuoli ringrazia ancora, poi aggiunge: «Non è serata buona neanche per lei; sarebbe stato piacevole mangiare l'anguria nel fresco della sera con un amico».
La strada continua a salire, poi c'è un bel tratto pianeggiante e il motore dimostra di rallegrarsene schiarendo un po' il suo rombo roco. Ai lati della statale ogni tanto si incontra un gruppetto di case o una villa isolata.
«Tra poco arriviamo. Vede sulla destra quella chiazza chiara del calanco? La mia casa è là sotto. C'è una valletta con un bello spiazzo che io ho occupato con il deposito dei rottami di ferro. Una volta al mese viene un camion con la gru e il camionista si fa il carico da solo. L'unico problema è che la stradina è stretta. Per il resto va tutto bene: bisogna accontentarsi, anche tenendo conto che la casa è abusiva. Se l'era fatta un muratore, anni fa, lavorando il sabato e la domenica; alla fine ha cambiato idea e me l'ha ceduta per poco. Ho avuto un po' di grane, il tetto è basso e manca la grondaia; però è sicura perché le finestre sono protette da inferriate».
Sono arrivati. ll ferravecchi scende e va, nel pieno della luce dei fanali, ad aprire la porta. Verzuoli lo guarda: è allampanato, indossa jeans sporchi e stracciati e una canottiera gialla, pure vistosamente macchiata. Mentre spinge l'uscio si volta verso il camioncino e dice qualcosa a proposito dell'anguria, che è da portar dentro, e altre parole che Verzuoli non capisce perché è distratto e impressionato dalla vista del suo sguardo alla luce dei fari: gli occhi sono neri, penetranti e duri, con un'espressione assolutamente incongruente con il carattere che egli si era figurato ascoltando i bonari accenni all'anguria e all'amicizia con il calzolaio. Una spiacevole sorpresa per Verzuoli che istintivamente si guarda intorno come se cercasse un conforto, ma dalla vista di quel paesaggio brullo, spettrale sotto il poco di luce lunare che è rimasta, ottiene solo un ulteriore senso di disagio.
L'uomo si avvicina a Verzuoli che è sceso e sta di fianco allo sportello ancora aperto. Si china all'interno della cabina e si risolleva tenendo fra gli avambracci la grossa anguria. Dice: «Per favore, lei prenda il coltello. Attento però, lo afferri per il manico perché la lama è tagliente. Poi entriamo».
E così fa Verzuoli. Si raddrizza con il coltello in mano e si gira per seguire l'uomo che sta entrando. Il contatto con l'oggetto gli dà una sensazione spiacevole perché sente il manico umido, appiccicaticcio. Entrano. È una cucina con al centro il tavolo, sulla destra una credenza, sulla sinistra i fornelli con la bombola, l'acquaio senza rubinetto con un secchio appeso a un gancio. Di fronte alla porta di ingresso c'è un altro uscio.
«Posi il coltello sulla tavola» dice il ferravecchi mentre depone l'anguria nel lavello. «Il telefono è nella camera sul comodino; c'è anche la guida. Prego, s'accomodi» e gli fa cenno di avviarsi mentre lui apre la credenza per tirar fuori i piatti. Verzuoli esita, l'occhio gli è caduto sulla lama del coltello che è stretta e lunga e sembra macchiata, come se l'anguria fosse già stata tagliata; poi apre l’uscio della camera, è illuminata con la fioca luce di una lampadina che penzola al centro del soffitto: si vede, di fronte alla porta, una parte del letto.
«Prego, prego» insiste l'uomo, e allunga il braccio nella direzione della stanza per far entrare l'ospite; poi improvvisamente retrocede d'un passo e chiude la porta. Verzuoli non se ne accorge perché sta cercando con uno sguardo panoramico il comodino. Non lo vede e intanto sente alle sue spalle scattare una serratura. Si gira allarmato e afferra la maniglia deciso ad uscire perché di quella casa e di quell'uomo ne ha abbastanza. Ma la porta è bloccata.
«Apra, apra» grida. «Che cosa fa, è impazzito?» Batte i pugni sull'uscio, ma l'uomo non risponde. Verzuoli si porta le mani al capo. C'è la finestra, aperta sulla notte, ma con l'inferriata. E il telefono, c'è o non c'è? Non si vede. Va verso l'altro lato del letto per cercare meglio ma, come arriva al fondo, una visione lo blocca: vede spuntare, distesi sul pavimento, due piedi scalzi. Si lascia sfuggire «Dio, Dio!» Esita un momento ma poi si fa coraggio, perché vuole sapere fino a che punto è orribile questa verità nella quale è precipitato. I piedi sono di una donna, evidentemente la moglie del ferravecchi, con la gola squarciata; una pozza di sangue si è allargata sulle mattonelle. Grida «Apri, apri, vigliacco, assassino, apri, apri!» Si avventa contro la porta, la percuote con pugni e calci. Va alla finestra, urla, impreca. Ma fuori c'è solo silenzio. E là di fronte una parete di montagna che gli pare mostruosa.

Il ferravecchi è dentro al camioncino col cellulare in mano. Dice concitatamente: «Maresciallo, che tragedia, me l'hanno ammazzata, la mia povera moglie, me l'hanno sgozzata. Quando sono arrivato l'assassino aveva ancora il coltello in mano e sono riuscito a disarmarlo e a chiuderlo nella camera. È là che grida, corra subito a prenderlo, prima che abbatta la porta e scappi. Che tragedia, maresciallo. Corra, corra».

Nessun commento:

Posta un commento

Dimmi la tua opinione: