lunedì 15 giugno 2015

Condannati anche gli agenti

Pianosa. Visito quel carcere nell’estate 1977 nell’ambito di una inchiesta sul sistema carcerario. Seicentotrenta detenuti, 120 agenti di custodia, 13 mila polli, 265 bovini, 160 maiali e 400 pecore. Tutti questi animali dovrebbero essere indizio di una vita agreste che suggerisce un ambiente sereno. E invece no. Pianosa viene ad essere un carcere peggiore di quelli di massima sicurezza e un reclusorio anche per gli agenti. Gli edifici, fatiscenti, sono quelli della colonia agricola penale fondata nel 1835 dal governo granducale e da allora non hanno avuto se non una scarsa manutenzione. C’è un solo medico per 1200 individui e l’isola è veramente isolata. L’unico collegamento con il continente è un battello che viene il mercoledì e il sabato, attracca, sosta un’ora e riparte. In questo modo le visite ai detenuti e al personale di sevizio sono rare, perché un familiare, per colloquio, deve spendere a volte centinaia di migliaia di lire, essendo costretto a restare sul posto tre notti se non quattro, ospite dell’unico albergo.

Ci sono agenti che vivono a Pianosa da quattro, sei, dodici anni. Se sono sposati hanno fatto venire la famiglia (c’è la scuola elementare) e soffrono meno, ma se sono scapoli hanno molta probabilità di rimanerlo per chissà quanto. «Come si può avere una ragazza in queste condizioni? Non bastano certo trenta giorni di ferie all’anno per alimentare un amore». E i detenuti come possono sperare nell’applicazione degli istituti previsti dalla legge, come la semilibertà che consiste nel permettere di uscire di giorno nella comunità civile per dedicarsi a un lavoro e rientrare la sera, se a Pianosa oltre alla casa di reclusione non c’è nulla? Mancano anche gli educatori, gli psicologi, gli assistenti sociali che pure sono previsti dalla legge. Disperazione per tutti.

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