domenica 19 aprile 2015

L'uomo dei cordoni

Lo ricordo alto, con indosso una giacca marrone dai bottoni tirati, un berretto a visiera di sbieco, il braccio sinistro di traverso sul petto, carico di cordoni. Cordoni da scarpe marroni, neri, di cotone, canapa, seta: un assortimento e un quantitativo degni d’un ambulante con bancarella. Passava la sua giornata sotto i portici della via Emilia, a Modena, sempre vicino alla Ghirlandina. Era il dopoguerra, tra il '46 e il '50. Lui sembrava un portiere pronto a parare un pallone: puntava il passante solitario che si avvicinava alla sua area, ne studiava l’esatta direzione correggendo la propria posizione con passetti laterali o saltelli e infine parava. Il passante era bloccato ed era costretto a sentire la sua litania che cominciava con l’affermazione dialettale «Boun i me curdoun» e poi, in italiano, l’invito all’acquisto, perché «ho la moglie malata e mi mancano dieci lire per comperare la scatola delle punture. Per carità, me li comperi i miei cordoni».

Passavano i mesi e gli anni, cresceva l’inflazione e a lui mancavano sempre le dieci, poi le venti, le trenta, le cinquanta lire. Quando me ne sono andato da Modena mi pare fosse quasi a duecento. Quella povera moglie non guariva mai. Eppure qualche scatola di iniezioni doveva essere riuscito a comperarla; io, che in quel tratto di strada passavo anche quattro volte al giorno, con i suoi cordoni avevo intrecciato una corda per il bucato lunga quanto era largo il cortile.

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