È tempo di parlare,
fratello,
ora che torna dai campi
l’odore di freddo, di
buio e d’incenso
e la tua mano ancora mi
dice
dolcemente tra i capelli,
come in quella sera di
dicembre,
un misterioso linguaggio
d’addio.
E’ tempo di parlare,
ora che gli anni si
perdono
fra le ombre della
memoria
e il lontano passato
ritorna presente.
Tutto mi nasce intorno
come allora:
le immense stanze della
casa,
le màcine, il grano, le
mole,
le macchine ferme in
attesa dell’alba;
l’acqua impetuosa che
preme
alle paratie chiuse delle
turbine,
e fugge giù per gli
sfioratori
facendo tremare le
pietre;
e i cavalli che ràspano,
di tanto in tanto,
nelle stalle dove non
sanno trovare
il sonno dei giorni colmi
di fatica;
e le campagne buie,
odorose d’incenso e di
freddo;
e la grande cucina, nera
di fumo,
con gli amici che ridono
e ballano
sulle note velate dei
violini;
e tu, in un angolo,
seduto
sulla vecchia poltrona
del nonno
con un viso terribilmente
triste;
e il mio presago pianto
di bimbo
che spengo a tratti sulla
tua spalla
mentre alzi la mano per
dirmi,
dolcemente tra i capelli,
quel misterioso
linguaggio d’addio.
È tutta l’Ampèrgola
d’allora,
di quella notte d’inverno
che vide bruscamente
finire la mia
fanciullezza.
Poi le note spezzate del
valzer
e il tuo nome di bocca in
bocca
nel silenzio delle vaste
stanze,
nelle fredde corsie del
mulino:
perché tu non sei più
sulla vecchia poltrona
del nonno
e non rispondi ai
richiami
e non cheti l’ansia
che nei cuori ha l’impeto
dell’acqua possente.
Gli uomini cercano adagio
per non svegliare la
madre,
ma tu non rispondi
e solo rimane nell’aria
l’eco continua di un
nome.
Tremenda è la notte che
racchiude
il mistero della vita e
della morte,
quando si teme di trovare
al di là di ogni passo
la realtà dell’incubo
che opprime.
Così pare che l’alba
debba venire
da una lontana notte
polare.
Ma la prima timida luce
scopre il tuo corpo a
galla
tra le scroscianti onde
del fiume
che galoppando fuggono
verso lidi lontani.
E’ impigliato in
qualcosa
che ancora lo tiene
legato alla casa
e l’acqua lo culla
per tenero gioco.
Non ha principio né fine
il grido materno
quando sei steso
sulla branda di legno
e gli uomini immobili
ti fanno corona
E’ il grido che sgorga
dalla terra
e s’alza alto nel
misterioso cielo
che non sa dare risposta.
Gli anni si sono persi
fra le ombre della
memoria,
ma il perché della tua
morte
sempre è rimasto sospeso
su noi
e ancora invano cerchiamo
una parola che plachi
il grido della madre.
È tempo di parlare,
fratello.
Ora che torna dai campi
l’odore di freddo, di
buio e d’incenso
io ti chiedo di svelarmi
l’arcano.
Lo so che non ci saranno
misteri
quando anche per me
s’aprirà
la grande giornata,
ma allora tutto si
scioglierà
nell’infinita
conoscenza.
Voglio saperlo adesso
che l’anima mi si rode
nel corpo
e siamo fermi alla notte
di dicembre
in attesa dell’alba.
(1946)
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