domenica 3 aprile 2016

È tempo di parlare


È tempo di parlare, fratello,
ora che torna dai campi
l’odore di freddo, di buio e d’incenso
e la tua mano ancora mi dice
dolcemente tra i capelli,
come in quella sera di dicembre,
un misterioso linguaggio d’addio.
E’ tempo di parlare,
ora che gli anni si perdono
fra le ombre della memoria
e il lontano passato
ritorna presente.
Tutto mi nasce intorno come allora:
le immense stanze della casa,
le màcine, il grano, le mole,
le macchine ferme in attesa dell’alba;
l’acqua impetuosa che preme
alle paratie chiuse delle turbine,
e fugge giù per gli sfioratori
facendo tremare le pietre;
e i cavalli che ràspano, di tanto in tanto,
nelle stalle dove non sanno trovare
il sonno dei giorni colmi di fatica;
e le campagne buie,
odorose d’incenso e di freddo;
e la grande cucina, nera di fumo,
con gli amici che ridono e ballano
sulle note velate dei violini;
e tu, in un angolo, seduto
sulla vecchia poltrona del nonno
con un viso terribilmente triste;
e il mio presago pianto di bimbo
che spengo a tratti sulla tua spalla
mentre alzi la mano per dirmi,
dolcemente tra i capelli,
quel misterioso linguaggio d’addio.
È tutta l’Ampèrgola d’allora,
di quella notte d’inverno
che vide bruscamente
finire la mia fanciullezza.
Poi le note spezzate del valzer
e il tuo nome di bocca in bocca
nel silenzio delle vaste stanze,
nelle fredde corsie del mulino:
perché tu non sei più
sulla vecchia poltrona del nonno
e non rispondi ai richiami
e non cheti l’ansia
che nei cuori ha l’impeto
dell’acqua possente.
Gli uomini cercano adagio
per non svegliare la madre,
ma tu non rispondi
e solo rimane nell’aria
l’eco continua di un nome.
Tremenda è la notte che racchiude
il mistero della vita e della morte,
quando si teme di trovare
al di là di ogni passo
la realtà dell’incubo che opprime.
Così pare che l’alba debba venire
da una lontana notte polare.
Ma la prima timida luce
scopre il tuo corpo a galla
tra le scroscianti onde del fiume
che galoppando fuggono
verso lidi lontani.
E’ impigliato in qualcosa
che ancora lo tiene
legato alla casa
e l’acqua lo culla
per tenero gioco.
Non ha principio né fine
il grido materno
quando sei steso
sulla branda di legno
e gli uomini immobili
ti fanno corona
E’ il grido che sgorga dalla terra
e s’alza alto nel misterioso cielo
che non sa dare risposta.

Gli anni si sono persi
fra le ombre della memoria,
ma il perché della tua morte
sempre è rimasto sospeso su noi
e ancora invano cerchiamo
una parola che plachi
il grido della madre.
È tempo di parlare, fratello.
Ora che torna dai campi
l’odore di freddo, di buio e d’incenso
io ti chiedo di svelarmi l’arcano.
Lo so che non ci saranno misteri
quando anche per me s’aprirà
la grande giornata,
ma allora tutto si scioglierà
nell’infinita conoscenza.
Voglio saperlo adesso
che l’anima mi si rode nel corpo
e siamo fermi alla notte di dicembre
in attesa dell’alba.


      (1946)

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