martedì 29 marzo 2016

Ancora dalla tesi di Elisa Dagnilevschi

La qualità, per cui Remo Lugli si segnala ed emerge tra il gruppo di narratori emiliani del secondo dopoguerra è, per definirla al modo di Alberto Bevilacqua, quella «di saper dare al romanzo o al racconto una costruzione risolta non già attraverso più o meno mascherati residui di lirismo [...], ma grazie ad una robusta inventiva ed a una tensione psicologica» che Lugli mantiene alta per tutto il corso della narrazione attraverso il fine utilizzo della suspense, scoprendo pian piano i personaggi nel vivo del loro dramma.
Un magistrale uso della suspense si segnala soprattutto nel secondo romanzo di Lugli, La colpa è nostra, dove «la lunga scena del ritrovamento del cadavere di Enrico [è] tenuta per una cinquantina di pagine con tensione e bravura notevoli», come nel 1960 Vittorio Sereni, già citato precedentemente, aveva notato. La descrizione dettagliata della modalità di recupero del corpo presunto di Danilo aumenta il sentimento d’attesa nel lettore, fino a quando la scoperta da parte del narratore che il cadavere è in realtà quello di Enrico scioglie la tensione: «A un tratto emerse la faccia e io lanciai un urlo e mi ritrassi con un balzo. Era Enrico, il morto, non Danilo».
I personaggi di Lugli, intricati in una fitta rete costituita da superstizioni, egoismi, avidità e sospetti, si svelano gradualmente mettendo a nudo le proprie debolezze. Le storie che li vedono protagonisti dimostrano la precarietà di una vita considerata spesso una condanna, piuttosto che una possibilità giacché essi preferiscono l’individualismo, la vendetta e perfino la morte al pentimento e alla solidarietà. La fragilità umana scaturisce prepotentemente dalle vicende narrate da Lugli, dove raramente l’individuo emerge come vincitore.
I tipi di Lugli, insicuri e indecisi, intraprendono nel corso del romanzo o dei racconti un cammino di conoscenza e consapevolezza di sé, che nella maggior parte dei casi è stimolato da eventi esterni (la morte di un famigliare, un incontro o un evento inaspettato, una disgrazia, ecc...). I personaggi, spesso sconvolti da ossessioni e drammi personali, sono sollecitati da un’inquietudine che li anima nella ricerca del senso della propria vita (Le formiche sotto la fronte) o della verità (La colpa è nostra).
Ancora, in Il piano di sopra è evidente che l’attenzione dell’autore si rivolge al mistero che vela la vita dell’uomo. L’autore si serve della geografia emiliana «non più solo in modo simbolico, [...] cronistico, documentario [...], quanto con arte meno allusiva o pittorica, e più intima, meno fumosa, indistinta [...] e meglio attenta a quel tanto di mistero».
Il peso del destino che grava ineluttabile sull’uomo non è più svelato come quello di Berto in Le formiche sotto la fronte, ma è nascosto tra le alterne vicende umane raccontate da Lugli nei racconti de Il piano di sopra. Ricerca dell’identità, insoddisfazione, tradimento, ossessione, speranza, morte sono solo alcuni dei temi di questa raccolta. Attraverso l’analisi di tali tematiche l’autore indaga l’animo umano superando la mera descrizione dell’ambiente a favore della rappresentazione di personaggi egoisti e irrequieti.
Lugli invita il lettore a non fermarsi all’apparenza, ma a ricercare le vere ragioni, i desideri, gli istinti che guidano l’agire umano. Particolarmente esemplificative a riguardo sono le parole di Lugli pubblicate su “Il Caffè”: «Le vicende di questa mia gente cercano d’avere talvolta un significato che vada oltre la conclusione reale dei fatti narrati, un significato superiore, un Piano di sopra per dirla con il titolo della mia raccolta».

Elisa Dagnilevschi

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