Roberto Canta ha 43 anni e fa il
tornitore. Lavora una settimana dalle 6 alle 13, la settimana dopo
dalle 13 alle 20. Ha un carattere brusco, specialmente quando fa il
turno della mattina, perché si deve alzare presto; rincasa di umore
cattivo, trova la minestra scondita, salata o troppo cotta. Maria,
sua moglie, non dice niente; guarda di sottecchi il figlio, Angelo,
che ha sedici anni, e lui le risponde con un’altra occhiata
significativa. Sono anni ormai che le cose vanno così. Col passar
del tempo tra il marito e la moglie è sorta come una barriera che li
tiene distanti. Non si dicono mai una parola tenera, non le ricordano
più, né lui né lei.
Eppure non è che Roberto abbia
un’altra donna, no, si comporta così unicamente perché questo è
il suo animo. Si arrabbia per stupidaggini. Forse tutto dipende dal
fatto che ha poca voglia di lavorare e il lavoro quotidiano, fisso,
metodico, gli pesa e lo esaspera; senza tuttavia che egli abbia la
forza e il coraggio di ribellarsi a questa costrizione e di
abbandonare la famiglia per non doverla mantenere e andare a fare
magari il barbone. Probabilmente, se vincesse una grossa lotteria e
non dovesse più alzarsi presto al mattino per andare davanti al
tornio o tornare la sera tardi, sarebbe un uomo cordiale e simpatico.
Tratta male anche il figlio, che
invece è pieno di buona volontà e studia giorno e notte. Anzi,
studia troppo e l’affaticamento lo esaurisce, il medico gli ha
consigliato di prendersi po’ di riposo. «Non posso – dice –
devo concludere gli studi». Sente la necessità di rendersi
indipendente per sfuggire all’atmosfera paterna. A volte, quando
suo padre lo sgrida per motivi stupidi, Angelo si alza di scatto e va
in camera sua e si mette a piangere. Questa facilità al pianto è
uno dei sintomi dell’esaurimento che lo debilita. La madre, appena
può, va a consolarlo. Si abbracciano, stretti, e anche lei piange;
Angelo è decisamente di qua dalla barriera che divide i genitori: è
con la madre. A volte, in casa, quando loro due sono soli, parlano a
lungo, come amici o forse più che amici, come complici. Parlano del
futuro, di quando lui sarà medico. La madre si commuove. «Roberto –
dice – sei la mia consolazione, guai se non avessi te». In questi
discorsi non nominano l’assente e anche nei progetti futuri il
Padre-marito è come se non esistesse. Poi lui torna, con il passo
pesante, le mani sporche, la voce dura. Madre e figlio si guardano
furtivamente. Sono al di qua di una barriera, oltre c’è un altro
mondo, c’è l’asperità, la difficoltà, la contrarietà, la vita
no.
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