venerdì 1 giugno 2012

Tramonto di un re

Lorenzo Borla, agricoltore, ha 74 anni. È sempre stato un uomo di una tempra eccezionale. Da ragazzo faceva il garzone presso un contadino. Ha imparato a coltivare la terra facendosi venire grossi calli nelle mani, alzandosi prima dell’alba, tornando dai campi quando già era buio. A diciotto anni, quando s’è trovato un gruzzoletto di risparmi in tasca, è andato al mercato delle bestie bovine e ha comperato un vitello, che ha rivenduto la settimana successiva guadagnandoci qualcosa. Da allora ha fatto il mercante di buoi. Aveva occhio: uno sguardo e di quella bestia aveva già capito se prometteva bene o no. A un certo punto s’è trovato con tre grossi poderi; e ancora si alzava presto alla mattina per andare sui mercati. Non ha mai accettato di indulgere alle comodità che gli offriva il denaro. La tavola è sempre stata parca per tutti, e i figli, due maschi, avevano tutto, ma solo l’indispensabile per la loro posizione di studenti, non una briciola di qualcosa che lui considerava superfluo.
È rimasto vedovo. I due figli, uno medico l’altro ingegnere, sono andati per la loro strada e Borla si è ritirato su uno dei tre poderi per condurlo direttamente con l’aiuto di braccianti. A settant’anni ha trovato una vedova di quaranta e se ne è innamorato. «La sposo», ha detto ai figli e loro l’hanno implorato di non farlo. Ma Borla, alto, di spalle larghe, imponente, con il grosso bastone da vaccaro, ha risposto che aveva già deciso e che in vita sua non è mai tornato su una decisione già presa. In effetti in casa era sempre stato un re, e non solo in casa: anche nell’ambiente dei mercati e nel settore economico in generale era visto con grande rispetto e considerazione. «Ti farai mettere i piedi in testa», hanno insistito i figli e lui li ha cacciati di casa. Il giorno dopo è andato da un notaio, ha intestato a ognuno dei due un podere e, dopo aver firmato l’atto, ha detto ai due di non farsi più vedere da lui.
Si è sposato. Il giorno delle nozze ha fatto un grande banchetto al quale hanno partecipato mercanti di bestiame di cinque paesi dei dintorni. Era sempre il Borla di un tempo, tenuto nella più grande considerazione, uno solo da ammirare. A tavola tutti ascoltavano quello che raccontava del suo mondo, e c’era tanto da imparare. La moglie, piccola e tonda, ascoltava incuriosita ma era evidente che di quegli argomenti capiva poco, sorrideva, contenta. Lui era ancora il re; alle sue spalle, posato al muro, era pronto il suo bastone da impugnare come uno scettro.
Sono passati quattro anni. La casa del terzo podere si sta trasformando. Gli operai rifanno i pavimenti delle stanze con legni e marmi pregiati; hanno rifatto l’unico bagno che c’era e ne hanno fatti altri due. La moglie di Borla va e viene, dà ordini, esamina alcuni tipi di tendaggi per scegliere quello della grande sala che si è creata abbattendo due muri. Si dà un gran daffare anche una ragazzina, Ginetta, figlia della sposa. Dice: «Di questa casa vogliamo fare una villa come da questa parti non ce ne sono. Non posso mica dare delle feste in una casa da villanacci come era questa». Borla sta seduto in cucina, guarda e tace: su queste cose non sa cosa dire, non se ne intende. È solo un po’ preoccupato: ha sentito parlare di una cosa che dovrà essere abbattuta. Pensa: abbattuta vuol dire tirata giù? Ma che cosa? Non sarà mica la stalla. Dio mio, ma cosa succede?
Si alza, prende il bastone, fa qualche passo. È sempre dritto di schiena, ma s’è ingrassato, di un grasso un po’ flaccido. Il suo sguardo sembra smorzato dalla tristezza. Un muratore viene a chiedergli: «Le mattonelle azzurre vanno con il bordo in alto?». Borla lo guarda stupito, come se quel linguaggio fosse di un altro mondo. Fa un gesto con la mano per dire che non sa niente. Esce dalla cucina, nel corridoio c’è un via vai di garzoni che portano scatole di mattonelle. Passa anche sua moglie. «E togliti di mezzo – gli dice – non vedi che intralci il passaggio?». Borla va fuori, si va a sedere su una panca di fianco alla stalla. Si sente stanco, non s’è mai sentito così stanco.

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