lunedì 4 maggio 2015

Un bell'orologio

Ne ricordo la marca: Eberhard. Era l'orologio dei miei 18 anni. Mi piaceva tanto che lo portavo anche a letto. Ma quella notte del maggio ’39 non dormivo nel mio letto: ero steso sul selciato della stazione di Benevento, con altri, una ventina, tutti vestiti con la divisa da avieri, quali eravamo da poche ore; divisa nuova, magari con le scarpe strette o larghe. Aspettavamo il treno che ci avrebbe portati ad Ascoli Piceno, la sede cui eravamo destinati. In mezzo a quell’ammasso di corpi alla rinfusa le russate si rincorrevano, ognuno nascondeva il proprio sogno. Io avevo vinto qualcosa, mi proclamavano vincitore e mi tiravano in alto il polso sinistro per far vedere che ero proprio io. Poi venne l’alba, venne anche il treno. Salimmo. Che ora era? Mi resi conto che non potevo saperlo: il mio bell’orologio dov’era finito? Ecco perché avevo sognato d’aver vinto. No: avevo perso, mi avevano derubato.


* * *

Poche estati fa, gran caldo, con la giacca aperta, sono a uno sportello postale e sto pagando una bolletta. Mi si affianca un uomo con un giornale in mano, me lo mostra poi incomincia a scuoterlo dicendo parole che stento a capire. Ma insomma cosa vuole costui, vada al diavolo. Ritiro la ricevuta che mi rilascia l’impiegata e lascio il posto a un altro cliente. Lo scocciatore se ne è già andato. Due minuti dopo, in macchina, mi accorgo che il portafoglio non ce l’ho più.


* * *

Ancora estate. Arriviamo a casa a metà giornata. Noi entriamo davanti e loro fuggono dal di dietro: non li vediamo ma li sentiamo. Hanno, non solo aperta, ma divelta la cassaforte, Sono venuti senza attrezzi, si sono serviti dei nostri, come la mazza, presa in garage. A noi sono servite ore per controllare tutto e rilevare i danni, ingenti.

Nessun commento:

Posta un commento

Dimmi la tua opinione: