venerdì 22 giugno 2012

L'intrufolone

Girolamo ha sessantacinque anni. È piccolo, segaligno, fortemente miope. Vive solo in un alloggetto di camera e cucina al terzo piano di una casa senza ascensore che ha cinque piani e quattro apppartamenti per piano. Gente modesta, in genere operai ma anche alcuni impiegati. Si mantiene con una piccola pensione che gli viene corrisposta per la sua passata attività in una fabbrica di dolci. Vedovo da dieci anni, ha sempre cercato di ravvivare la solitudine guardandosi attorno, praticamente partecipando alla vita della casa. Era andato ad abitare lì quando si era sposato, come prima tappa per passare poi in un alloggio più grande appena fosse nato un bimbo. Ma il figlio non è venuto e lui si trova ad essere uno dei più vecchi inquilini. Conosce quindi tutti molto bene e di tanti sa anche cose riservate. Ma è talmente addentro alla vita della comunità da desiderare di accrescere sempre più le sue conoscenze dei vari nuclei. In genere ci riesce perché a questo fine ha plasmato il suo comportamento di inquilino. Non appena sente qualcuno che fa le scale è pronto ad uscire con un pretesto per vedere chi è. Nella sua porta ha un pomello d’ottone che lui ha già lucidato migliaia di volte, appunto per avere vista libera.
Ai proprietari di alloggi che abitano altrove Girolamo offre i propri servigi: per andare alla posta a pagare bollette, riscuotere affitti, fare un acquisto in un negozio. Sono tutte occasioni per tenere i contatti con gli inquilini, e mantenersi aggiornato sulle novità. A taluni offre altri favori: per esempio scende a prendere le posta o il giornale nel casellario e glieli porta su. Tra una commissione e l’altra si ferma a parlare, chiede notizie dell’uno e dell’altro, riferisce ciò che ha sentito dire, aggiunge qualcosa di suo per godersi lo spettacolo delle facce meravigliate. Càpita così che qualche inquilino, causa sua, possa venire in discussione con qualche altro, ma lui è subito pronto ad intervenire per fare correzioni e ristabilire la pace. Quando il condominio deve prendere delle decisioni comuni di una certa importanza Girolamo va a dire le sua di alloggio in alloggio, fa propaganda e comizi come se si dovessero tenere elezioni. In queste fasi di grande attività si sente importante. Guarda chi sale e chi scende con occhietti che si vedono piccolissimi dietro le lenti spesse, ma che si intuiscono gioiosi.
Se qualcuno si oppone alla sua invadenza rifiutando i suoi servizi, lui non se ne offende, aggira l’ostacolo, torna alla carica sotto un’altra forma. Per coloro che si dimostrano decisamente ostili Girolamo usa diversa tattica: aspetta al varco i loro bambini e offre caramelle. I piccoli, ammaestrati dai genitori, le rifiutano, ma lui insiste, gliele scarta, gliele mette in bocca. Fra i casigliani si diffonde la voce che le caramelle di Girolamo sono stregate: c’è chi fa le scale di corsa per non incontrarlo; altri si affidano ciecamente a lui per non averlo come avversario. E Girolamo entra nelle loro case, parla, ascolta, esce, va in un altro alloggio a riferire quello che ha appena sentito, aggiunge qualcosa di suo, pensa che domani qualcuno litigherà e lui dovrà intervenire. Si sente un personaggio importante, ha la casa in pugno ed è felice.

venerdì 1 giugno 2012

Tramonto di un re

Lorenzo Borla, agricoltore, ha 74 anni. È sempre stato un uomo di una tempra eccezionale. Da ragazzo faceva il garzone presso un contadino. Ha imparato a coltivare la terra facendosi venire grossi calli nelle mani, alzandosi prima dell’alba, tornando dai campi quando già era buio. A diciotto anni, quando s’è trovato un gruzzoletto di risparmi in tasca, è andato al mercato delle bestie bovine e ha comperato un vitello, che ha rivenduto la settimana successiva guadagnandoci qualcosa. Da allora ha fatto il mercante di buoi. Aveva occhio: uno sguardo e di quella bestia aveva già capito se prometteva bene o no. A un certo punto s’è trovato con tre grossi poderi; e ancora si alzava presto alla mattina per andare sui mercati. Non ha mai accettato di indulgere alle comodità che gli offriva il denaro. La tavola è sempre stata parca per tutti, e i figli, due maschi, avevano tutto, ma solo l’indispensabile per la loro posizione di studenti, non una briciola di qualcosa che lui considerava superfluo.
È rimasto vedovo. I due figli, uno medico l’altro ingegnere, sono andati per la loro strada e Borla si è ritirato su uno dei tre poderi per condurlo direttamente con l’aiuto di braccianti. A settant’anni ha trovato una vedova di quaranta e se ne è innamorato. «La sposo», ha detto ai figli e loro l’hanno implorato di non farlo. Ma Borla, alto, di spalle larghe, imponente, con il grosso bastone da vaccaro, ha risposto che aveva già deciso e che in vita sua non è mai tornato su una decisione già presa. In effetti in casa era sempre stato un re, e non solo in casa: anche nell’ambiente dei mercati e nel settore economico in generale era visto con grande rispetto e considerazione. «Ti farai mettere i piedi in testa», hanno insistito i figli e lui li ha cacciati di casa. Il giorno dopo è andato da un notaio, ha intestato a ognuno dei due un podere e, dopo aver firmato l’atto, ha detto ai due di non farsi più vedere da lui.
Si è sposato. Il giorno delle nozze ha fatto un grande banchetto al quale hanno partecipato mercanti di bestiame di cinque paesi dei dintorni. Era sempre il Borla di un tempo, tenuto nella più grande considerazione, uno solo da ammirare. A tavola tutti ascoltavano quello che raccontava del suo mondo, e c’era tanto da imparare. La moglie, piccola e tonda, ascoltava incuriosita ma era evidente che di quegli argomenti capiva poco, sorrideva, contenta. Lui era ancora il re; alle sue spalle, posato al muro, era pronto il suo bastone da impugnare come uno scettro.
Sono passati quattro anni. La casa del terzo podere si sta trasformando. Gli operai rifanno i pavimenti delle stanze con legni e marmi pregiati; hanno rifatto l’unico bagno che c’era e ne hanno fatti altri due. La moglie di Borla va e viene, dà ordini, esamina alcuni tipi di tendaggi per scegliere quello della grande sala che si è creata abbattendo due muri. Si dà un gran daffare anche una ragazzina, Ginetta, figlia della sposa. Dice: «Di questa casa vogliamo fare una villa come da questa parti non ce ne sono. Non posso mica dare delle feste in una casa da villanacci come era questa». Borla sta seduto in cucina, guarda e tace: su queste cose non sa cosa dire, non se ne intende. È solo un po’ preoccupato: ha sentito parlare di una cosa che dovrà essere abbattuta. Pensa: abbattuta vuol dire tirata giù? Ma che cosa? Non sarà mica la stalla. Dio mio, ma cosa succede?
Si alza, prende il bastone, fa qualche passo. È sempre dritto di schiena, ma s’è ingrassato, di un grasso un po’ flaccido. Il suo sguardo sembra smorzato dalla tristezza. Un muratore viene a chiedergli: «Le mattonelle azzurre vanno con il bordo in alto?». Borla lo guarda stupito, come se quel linguaggio fosse di un altro mondo. Fa un gesto con la mano per dire che non sa niente. Esce dalla cucina, nel corridoio c’è un via vai di garzoni che portano scatole di mattonelle. Passa anche sua moglie. «E togliti di mezzo – gli dice – non vedi che intralci il passaggio?». Borla va fuori, si va a sedere su una panca di fianco alla stalla. Si sente stanco, non s’è mai sentito così stanco.