mercoledì 23 gennaio 2013

Errore iniziale


Sergio Bocci ha la patente da sei mesi. L’ha presa pochi giorni dopo aver compiuto i 18 anni. Va a scuola in macchina, va dagli amici in macchina, va al club in macchina. Suo padre, che è architetto, aveva una onesta Panda di un paio d’anni. Il figlio gliel’ha disprezzata fino a fargliela vendere e gli ha fatto comperare un’auto sportiva: motore ruggente e carrozzeria filante, dentro la quale un eventuale terzo passeggero sta con le ginocchia in bocca. Qualche volta l’architetto Bocci riesce ancora a salire sull’automobile, ma prende il posto del terzo passeggero. Sua moglie sta davanti, a destra, il figlio alla guida. L’auto va per qualsiasi strada, in città o fuori, come se il conducente fosse inseguito dalla polizia con i mitra spianati: le ruote stridono lamentosamente sull’asfalto, il motore urla tutta la sua potenza compressa. Talvolta i genitori hanno l’impressione che il figlio esageri e timidamente glielo fanno presente. «Ma state zitti – dice lui, – che se fosse per voi andreste sempre come tartarughe. Bisogna essere dinamici».

Sergio Bocci frequenta la quinta liceo. È bravo, perché l’intelligenza non gli fa difetto, anzi, gli basta studiare pochissimo per ottenere voti che ad altri costano molta più fatica. Così può dedicare parecchio tempo agli svaghi: il club, il tennis, gli amici. Tutti ambienti molto distinti dove anche tra i giovani non sono rare le buone mance date con aria di grandezza. L’architetto Bocci ha una buona posizione, ma non proprio brillantissima. È un uomo che gode poca salute: ha mal di cuore, non si sa bene se il cuore è effettivamente deficiente o se i disturbi sono causati da distonie dovute al sistema nervoso. Fatto sta che basta una preoccupazione per dargli l’affanno, fiaccarlo fisicamente. E così il Bocci si lascia scappare i lavori più redditizi. La moglie, che di solito provvede alle finanze del figlio, cerca talvolta di far comprendere a Sergio che le possibilità della famiglia sono limitate, che lui non può permettersi i lussi e le larghezze che sono normalissimi per altri suoi compagni, figli di ricchi o di professionisti dalla grande fortuna. Sergio scuote le spalle sgarbatamente: «Non vorrete che faccia la figura del pezzente».

Sua madre, nonostante tutto, continua a adorarlo e a trattarlo come se fosse il figlio più buono e giudizioso. «Ma cosa vuoi sapere, tu, mamma – dice in certi casi Sergio –: hai una mentalità arretrata di cento anni. Dovresti farti più furba». La mamma sorride, lo prende come un complimento. L’architetto si rende conto che il comportamento del figlio è sbagliato, capisce che occorrerebbero metodi drastici, ma non se la sente di prendere posizione, lascia correre e si adatta ad andare in tram per cedere la macchina e qualche volta vi sale sopra mettendosi le ginocchia in bocca. Sa che tutto questo è così perché lui non s’è imposto fin da quando il figlio era piccolo, con buone dosi di sculaccioni o anche soltanto con la voce carica di autorità e la volontà di ottenere ubbidienza.

Certe sere Sergio riempie la casa di amici: ballano, bevono liquori, invadono le stanze, si sdraiano anche sui letti. In quei casi papà e mamma escono su invito del figlio: «Stasera dovete andar fuori – dice Sergio, anche all’ultimo momento – ho da portar gente in casa. Mi raccomando, non rientrate prima dell’una». Padre e madre vanno da amici, dopo una frettolosa telefonata di annuncio. Si trattengono il più possibile, poi si mettono a passeggiare in centro dove c’è ancora un certo movimento, sempre guardando l’orologio, sperando che arrivi presto questa benedetta una. E quando rientrano può capitare che i ragazzi li ricevano con fischi e urla per il ritorno, a loro avviso prematuro. E loro rapidamente vanno a chiudersi in camera e magari la baldoria continua nelle altre stanze.