lunedì 13 giugno 2016

Un nuovo blog per Else

Invito i lettori a visitare http://elsetotti.blogspot.it, il nuovo blog dedicato alla poesia e alla pittura della moglie di Remo.

giovedì 2 giugno 2016

Un'intervista al grande Enzo Ferrari

Riordinando la documentazione dei miei servizi da inviato mi è capitato di riascoltare la registrazione di un mio colloquio con Enzo Ferrari. Emozionante rievocazione. La data: 5 settembre 1975. Il direttore della Stampa, Arrigo Levi, mi aveva mandato a Maranello per sentire il grande padre della Ferrari. Era un momento cruciale. Tre giorni dopo, domenica 8, a Monza si sarebbe corso il Gran Premio d'Italia e il settore sportivo dell'azienda era pieno di promesse, ma il settore industriale era in crisi, con quasi metà delle maestranze in cassa integrazione. L'imminente gara fu poi un trionfo con la doppietta di Niki Lauda e Clay Regazzoni e la conquista dell'undicesimo campionato mondiale conduttori (ed erano così 21 le vittorie di campionato del mondo tra marche e conduttori totalizzate), ma in quell'incontro io dovevo parlare con Ferrari dell'aspetto industriale, della crisi.
Il rincaro della benzina a partire dai primi anni Settanta e la limitazione della velocità avevano rallentato le vendite: c'erano in stoccaggio 470 vetture, un numero enorme per un'azienda che aveva una produzione di sette-otto macchine al giorno. L'argomento non era gradito a Ferrari e molto gentilmente mi spiegò perché. Non era cosa di cui si occupasse. Dal '69 c'era stato l'ingresso della Fiat nell'azienda della quale era stato nominato presidente, con pieni poteri solo per la parte sportiva e completa estraneità al settore produttivo. Diceva: «Ho ottenuto un vitalizio, posso fare quello che voglio nel campo delle corse, mentre in quello industriale non voglio metterci mano: è roba che scotta, io non ho nessuna responsabilità, né amministrativa né tecnica, do solo dei suggerimenti quando me li chiedono. Certo, in questi giorni mi trovo in una particolare situazione: il direttore generale ha dato le dimissioni la settimana scorsa e quello nuovo non ha conoscenze per poter parlare. Si rivolgono a me ma io non so rispondere, sulle gran turismo posso esprimere soltanto delle opinioni personali, niente di più».
Si fece presto ad esaurire il tema ufficiale dell'incontro, poi si passò al colloquio informale, a ricordare il passato. La mia ormai ventennale lontananza da Modena mi rendeva curioso e lui con piacere incominciò ad aprire le pagine dei suoi ricordi. Saltò fuori che avevamo fatto la prima comunione tutti e due nella stessa chiesa, Santa Caterina, lui 22 anni prima di me, con don Morandi, io con don Boni. Parlava con una scioltezza che incantava impreziosendo il racconto con incisi dialettali. «Ormai mi considerano un po' come un monumento, un monumeint che quand a cunvin al s'invoca e quand an cunvin brisa a sec pessa a dos». Incominciò a parlare di personaggi, dando di ognuno rapide pennellate che in una sola frase ne presentavano aspetto carattere pregi e difetti. Bersagli preferiti erano giornalisti, una categoria che l'aveva sempre attirato: «Se avessi studiato avrei fatto il giornalista». Per lui i giornalisti si dividevano in due categorie: quelli che hanno già un'idea precisa, si sono prefabbricata una opinione del personaggio da intervistare e indipendentemente dalle risposte ricevute ne ricavano un testo che dà ragione ai loro preconcetti; gli altri, che vengono a porre delle domande di estrema ingenuità e in tal modo invitano la persona intervistata ad una comunicativa aperta, indifesa. Un esempio dei primi: «YX viene qui, gli dico se vuole vedere la fabbrica e lui risponde che non gli interessa la fabbrica, vuole parlare con Ferrari per venti minuti. Ma che concetto si può fare di una persona se prima non conosce bene le opere che ha promosso? YX fa delle interviste divertenti, sì, ma non sono sincere, non è quella la verità».

 Di queste divagazioni Ferrari si compiaceva. Si divertiva anche lui come chi l'ascoltava. Ma in quel nostro incontro del '75 d'un tratto si fece serio, ritornò ad essere quello che lui rappresentava su quella poltrona nello stabilimento di Maranello. Riprese il tema iniziale, motivo della mia presenza. «Lei dice che il sindaco di Modena Bulgarelli ci critica perché non produciamo una macchina di media potenza che possa interessare una vasta fascia di clienti. Le spiego: produrre una macchina sui duemila di cilindrata vuol dire affrontare un costo molto alto per progetti, ricerca, e prototipi da distruggere per dimostrarne la sicurezza in fase di omologazione, tutto questo per poi venderla solo sul mercato italiano, al massimo in 250-300 esemplari: una quantità irrisoria, i conti non tornerebbero. Noi dobbiamo pensare a un mercato più vasto, cioè al mondo, dove è il maggior numero dei nostri clienti. I quali vogliono da noi una Ferrari come siamo soliti proporre, potente e fuori dal comune, la grande Ferrari».