Nell'anniversario della scomparsa di Remo Lugli

Verso la fine di Luglio, mi pare. Eri alla tua scrivania, seduto in carrozzina. Avevi ancora meno di tre mesi davanti a te.
Stavo per andare a un appuntamento di lavoro; prima di uscire, passai a salutarti.
Avevi in mano una strana statuina di metallo; un oggetto piccolo, insignificante, che non avevo mai visto. Mi dicesti: “Questa statuina ha una storia lunga”.
Guardai l'orologio. Ero già alle strette con il tempo, come mi capita di frequente. “Me la racconterai più tardi, adesso devo schizzare via”.
Ovviamente quando ci rivedemmo, dopo qualche ora, ce ne eravamo ambedue dimenticati.

Qualche giorno fa, mettendo ordine tra le tue cose, quella statuina mi è capitata in mano. Mi avrebbe fatto piacere conoscere la sua lunga storia.

(All'appuntamento di lavoro ero riuscito ad arrivare puntuale e avevo dovuto aspettare, almeno dieci minuti).

La morte dà un senso alla vita. Dove ho letto, di recente, queste parole, che mi sono sembrate assurde? Eppure adesso mi sono chiare.

Finché ci siamo, tutto è fluido, tutto può cambiare, tutto può ancora capitare. Se fossimo immortali, forse non faremmo mai niente, perché tutto potremmo sempre fare domani.

Ma c'è quel limite, quella soglia invalicabile, che proietta nell'eternità il non fatto e il non detto. E non sappiamo quando.

Dovrebbe farci capire se è il caso, per una volta, di arrivare un po' in ritardo ad un appuntamento importante.


Daniele Lugli

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