“La
qualità, per cui Remo Lugli si segnala ed emerge tra il gruppo di
narratori emiliani del secondo dopoguerra è, per definirla al modo
di Alberto Bevilacqua, quella «di saper dare al romanzo o al
racconto una costruzione risolta non già attraverso più o meno
mascherati residui di lirismo [...], ma grazie ad una robusta
inventiva ed a una tensione psicologica»
che Lugli
mantiene alta per tutto il corso della narrazione attraverso il fine
utilizzo della suspense,
scoprendo
pian piano i personaggi nel vivo del loro dramma.
Un
magistrale uso della suspense
si segnala
soprattutto nel secondo romanzo di Lugli, La
colpa è nostra, dove
«la lunga scena del ritrovamento del cadavere di Enrico [è] tenuta
per una cinquantina di pagine con tensione e bravura notevoli»,
come nel 1960
Vittorio Sereni, già citato precedentemente, aveva notato. La
descrizione dettagliata della modalità di recupero del corpo
presunto di Danilo aumenta il sentimento d’attesa nel lettore, fino
a quando la scoperta da parte del narratore che il cadavere è in
realtà quello di Enrico scioglie la tensione: «A un tratto emerse
la faccia e io lanciai un urlo e mi ritrassi con un balzo. Era
Enrico, il morto, non Danilo».
I
personaggi di Lugli, intricati in una fitta rete costituita da
superstizioni, egoismi, avidità e sospetti, si svelano gradualmente
mettendo a nudo le proprie debolezze. Le storie che li vedono
protagonisti dimostrano la precarietà di una vita considerata
spesso una condanna, piuttosto che una possibilità giacché essi
preferiscono l’individualismo, la vendetta e perfino la morte al
pentimento e alla solidarietà. La fragilità umana scaturisce
prepotentemente dalle vicende narrate da Lugli, dove raramente
l’individuo emerge come vincitore.
I tipi di
Lugli, insicuri e indecisi, intraprendono nel corso del romanzo o dei
racconti un cammino di conoscenza e consapevolezza di sé, che nella
maggior parte dei casi è stimolato da eventi esterni (la morte di
un famigliare, un incontro o un evento inaspettato, una disgrazia,
ecc...). I personaggi, spesso sconvolti da ossessioni e drammi
personali, sono sollecitati da un’inquietudine che li anima nella
ricerca del senso della propria vita (Le
formiche sotto la fronte)
o della verità (La
colpa è nostra).
Ancora, in
Il
piano di sopra è
evidente che l’attenzione dell’autore si rivolge al mistero che
vela la vita dell’uomo. L’autore si serve della geografia
emiliana «non più solo in modo simbolico, [...] cronistico,
documentario [...], quanto con arte meno allusiva o pittorica, e più
intima, meno fumosa, indistinta [...] e meglio attenta a quel tanto
di mistero».
Il peso
del destino che grava ineluttabile sull’uomo non è più svelato
come quello di Berto in Le
formiche sotto la fronte,
ma è nascosto tra le alterne vicende umane raccontate da Lugli nei
racconti de Il
piano di sopra.
Ricerca dell’identità, insoddisfazione, tradimento, ossessione,
speranza, morte sono solo alcuni dei temi di questa raccolta.
Attraverso l’analisi di tali tematiche l’autore indaga l’animo
umano superando la mera descrizione dell’ambiente a favore della
rappresentazione di personaggi egoisti e irrequieti.
Lugli
invita il lettore a non fermarsi all’apparenza, ma a ricercare le
vere ragioni, i desideri, gli istinti che guidano l’agire umano.
Particolarmente esemplificative a riguardo sono le parole di Lugli
pubblicate su “Il Caffè”: «Le vicende di questa mia gente
cercano d’avere talvolta un significato che vada oltre la
conclusione reale dei fatti narrati, un significato superiore, un
Piano
di sopra per
dirla con il titolo della mia raccolta». ”
Elisa Dagnilevschi