martedì 30 agosto 2011

Fedeltà sicura


Il rag. Tivelli temeva di essere tradito. Questo cruccio gli era venuto un paio di anni dopo il matrimonio, una sera in cui era ospite nella casa del titolare della fabbrica di prodotti farmaceutici per la quale faceva il rappresentante. C'erano altre persone: uomini d'affari e signore. Uno di loro, a un certo punto, incominciò a sostenere la tesi secondo la quale tutti gli uomini che hanno sposato una donna più giovane sono destinati ad essere vittime di tradimento. Quella sera il rag. Tivelli tornò a casa arrovellandosi la mente: gli otto anni che separano l'età sua da quella della moglie – lui più vecchio, naturalmente – diventavano ai suoi occhi un baratro pauroso. Possibile, si diceva, che Enrica mi tradisca già adesso o che mi tradirà in futuro? Gli sembrava di vederla chiacchierare con un uomo sconosciuto in una strada in penombra, oppure abbracciarsi in un cinema, al buio.

Certo, colui che sosteneva la tesi del tradimento in quella serata mondana, aveva gettato un seme fecondo nell'animo del rag. Tivelli. Questi trascorreva buona parte della settimana fuori casa, in giro per i paesi della regione per collocare nelle farmacie i medicinali di cui aveva la rappresentanza. Enrica, se avesse voluto, avrebbe potuto fargli tutte le corna che voleva. Bisognava trovare un rimedio che desse una certa tranquillità. Il rag. Tivelli pensò agli investigatori privati, ma capiva che non poteva far pedinare la moglie vita natural durante e d'altra parte un simile sistema di controllo avrebbe comportato una spesa per lui non sostenibile.

Dopo aver pensato a lungo a questa faccenda trovò una soluzione che gli parve soddisfacente. Si sarebbe ugualmente rivolto ad una agenzia di investigazioni ma in modo saltuario, dando il preciso incarico ad uno degli agenti di fare apertamente la corte a sua moglie, fingendosi magari un ricco industriale o un possidente terriero o un professionista. Se Enrica avesse dimostrato di non cedere a queste tentazioni per due o tre prove, si sarebbe potuto considerare sicuro della sua fedeltà e sarebbe potuto andare in giro tranquillo a svolgere il proprio lavoro. Attuò questo piano presto. Il primo esperimento andò bene: ogni tentativo non aveva dato che rifiuti. Aspettò qualche mese e riprovò con un'altra agenzia: stesso esito. Molto tranquillizzato il rag. Tivelli riprovò ancora, per scrupolo, sei mesi dopo e poi basta: non era vero che tutte le mogli più giovani dei mariti li tradivano, c'erano anche le donne fedeli, ad esempio la sua. E così il rag. Tivelli si avviò con animo sereno verso la sua prossima vecchiaia.

Non sapeva che sua moglie era, sì, fedelissima, ma non a lui, bensì al primo agente che egli stesso le aveva messo alle costole con l'incarico di saggiarne la fedeltà. Era da sette anni il suo amante fisso, e ben vigile contro eventuali altri tentativi di agenti concorrenti.

giovedì 18 agosto 2011

Pensione in montagna


Al mattino è sempre il primo ad alzarsi e a scendere per la colazione. Appena scende, un altro lui va a sedersi al suo tavolo e incomincia a parlare; così, senza avviare un discorso normale, senza accennare alla propria stranezza di sedersi senza motivo. Parla di tutto: di politica con un ragazzino, di motociclette con una vecchia signora, di Kant con la cantante lirica. E il suo modo di parlare è torrenziale, chi lo ascolta resta stordito e stupito, ormai lo conoscono tutti: questo è il dott. Barri, laureato in legge e dipendente di una ditta di prodotti farmaceutici. È qui da una settimana e ci starà per altre due. Di sé dice che ha l’esaurimento nervoso. Si è anche messo a piangere improvvisamente, una volta, mentre parlava di astrologia con un falegname. A una signora ha chiesto se sapeva cosa era capitato a Beethoven mentre stava componendo la nona sinfonia. A un’altra ha domandato quanto si sarebbe trattenuta. “Otto giorni”, ha risposto. "Bene, -- ha detto Barri -- così avremo modo di parlare del Tasso, perché mi interessa conoscere il suo pensiero sulla Gerusalemme Liberata”. Con Barri c’è anche la moglie, chiaramente sua vittima. Sta al tavolo, sola davanti alla colazione, ad occhi bassi; se osa dirgli di non disturbare i commensali, lui risponde malamente, una volta le ha fatto una sfuriata e poi è uscito sbattendo la porta, ma è rientrato subito dopo per andare a un altro tavolo.
Tra gli ospiti c’è la signora Gianfranca, che sembra mulatta, tanto è abbronzata. Viene dal mare e invece il marito sembra pallido, al mare non c’è stato; lui è per la montagna ed è qui con tutto l’occorrente per fare una scalata, aspetta solo che il tempo, ora incerto, si rimetta al bello. Gianfranca ha una trentina d’anni: molto magra, naso aquilino, in complesso non bella. Ma alcuni giovani la guardano con insistenza, attratti dalla particolare carnagione e dal suo sguardo penetrante.

La sera, dopo cena, nella sala si balla, con un impianto stereo. Gianfranca è stata scelta da un farmacista neolaureato e danno dimostrazione di essere abili ballerini e subito affiatati. Ballano anche altre due o tre coppie. Tutt’intorno stanno seduti anziani e ragazzini. Il marito di Gianfranca parla di montagna con un colonnello degli alpini in pensione. Qualcuno fa notare che Gianfranca in certi momenti avvicina molto la guancia al suo cavaliere. L’indomani pioviggina, tutti i pensionanti sono in sala a fare il gioco dei pegni. Manca il marito di Gianfranca che è uscito lo stesso, per una passeggiata di allenamento. C’è un nuovo arrivato, un ingegnere che viene dall’Arabia Saudita dove è addetto alla trivellazione di pozzi petroliferi. Racconta della sua vita nel deserto: Gianfranca gli è sempre vicino, lo guarda con i suoi occhi azzurri e acuti. Adesso la signora deve pagare un pegno: dare un bacio all’ingegnere. Lo fa con uno slancio che solleva alcune esclamazioni di meraviglia. Il farmacista si rabbuia, si alza e va a sedere in disparte, dice che ha mal di testa.
Dopo cena si torna a ballare, ma questa volta la signora Gianfranca balla con l’ingegnere, che ha perduto la sua loquacità ed è attento solo a stringere bene la ballerina. Il marito di lei ha trovato da parlare con un architetto che gli racconta di quella volta che andò in cordata sul Monte Bianco. Entra il farmacista: “Signora Gianfranca, -- dice -- sotto la sua finestra c’è un vestito, forse è caduto dal davanzale, vuole venire a vedere?” La signora esce col giovane farmacista. Qualcuno in sala, in un momento di silenzio, ha l’impressione di udire, fuori, un suono secco, come di schiaffo: Passano due o tre minuti, la signora rientra, sola, senza tenere nessun vestito in mano. Ha i capelli un po’ arruffati.
L’indomani è bel tempo. Il marito di Gianfranca non c’è, è partito prima dell’alba con tutta l’attrezzatura, anche il sacco a pelo, per una scalata che lo terrà lontano tre giorni. Alle 11 arriva un giovane con una fiammante Porsche targata Milano e la signora Gianfranca gli va incontro in giardino. Quando rientra avvicina il titolare della pensione, gli sussurra: “Mi devo assentare per un paio di giorni. Tornerò prima di mio marito. Mi raccomando, lei faccia conto che sia sempre stata qui”. Sale di corsa, ridiscende con una valigetta, e monta sulla Porsche. A mezzogiorno il farmacista e l’ingegnere, ognuno dal proprio tavolo, guardano con insistenza quello della signora Gianfranca, vuoto.

Ma chi saranno quei due, si chiedono alcuni pensionanti guardando due nuovi ospiti. Lui è sulla sessantina, lei sui trenta, nessuno ha l’anello. L’uomo è fine, molto elegante, si direbbe un signore. Lei è soprattutto molto appariscente , più alta di lui. Padre e figlia, ma non assomigliano, zio e nipote, un avvocato e la sua segretaria? Bisognerebbe chiedere al titolare della pensione se hanno lo stesso cognome, ma è domanda troppo indiscreta, forse non risponderebbe nemmeno. Improvvisamente piomba a quel tavolo il dott. Barri, si siede e incomincia a parlare di fitto. I due lo guardano stupiti, ma poi parlano anche loro. Qualche minuto e poi Barri si alza , se ne va. Una signora l’avvicina e gli chiede se ha saputo qualcosa di loro. “Ma cosa avrei dovuto sapere? Abbiamo parlato della evoluzione della specie”.