sabato 24 settembre 2011

LA GIOIA D’ESSER MAMMA


Vanno, con la loro macchinina, nel dolce mattino di inizio d’estate. Lei, felice, che guida canticchiando, e Betty, il suo tesoro, alle spalle, ben sistemata nel seggiolino. Betty sembra volerla imitare, con vocalizzi e gorgheggi che ricava da quel poco di conoscenza del linguaggio, appreso nei suoi diciotto mesi di vita. È felice, Berta, perché sta vivendo una realtà che aveva sognato per anni e anni, quella di essere madre e non ci riusciva, proprio non ci riusciva. Quante visite, dai clinici più noti. E poi, finalmente, all’estero, la via eterologa. Che gioia, la gravidanza, sapere di stare facendo una creatura, un’altra vita che diventa sua figlia. «Betty, siamo arrivati, adesso io scendo un momento, tu stai lì buona, mi aspetti, e puoi continuare a cantare».

Sono arrivate nella piazza grande, dove ci sono tante altre macchine parcheggiate; là in fondo c’è il duomo e di fianco la torre con l’orologio che batte le ore con rintocchi fortissimi, sta battendo anche ora, gli ultimi delle undici. Proprio dietro il duomo, nella prima casa della via Degli Angeli, che è stretta ma di nobiltà, abita Corinna, la sua cara amica che è appena tornata da un viaggio negli Sati Uniti: due mesi in giro con l’auto, lei e suo marito, una cosa che avevano preparato con grande cura, in modo da poter sempre trovare ogni sera, all’arrivo in una nuova città, l’ospitalità migliore.

Abbracci e baci e poi via alle parole, tante, che corrono veloci, con le domande, brevi, e le risposte, lunghe. No, non è andato tutto bene, come speravano alla partenza: c’erano stati dei contrattempi, uno soprattutto, li aveva tenuti in ansia parecchie ore. «Ma pensa – dice Corinna -, una notte, alle tre, in un albergo di quasi cento camere, un cliente, pazzo, si era messo a gridare dicendo che voleva fare un macello, uccidere tutti, perché tutti lo perseguitavano. E precisava che lui poteva farlo con l’esplosivo che aveva con sé. Era suonato l’allarme, ci avevano fatti alzare e uscire. L’albergo aveva un giardino e lì siamo rimasti per quasi due ore, fin che la polizia, dopo avere bloccato l’uomo, non ha ispezionato ogni più piccolo spazio della sua camera. Un’avventura davvero spiacevole. Ma adesso, Berta, parlami di te, racconta di Betty». E Betty diventa, nelle parole di sua madre, la protagonista: ogni suo gesto, il suo linguaggio in formazione, un suo risveglio un certo mattino, diventano fatti da essere esposti con particolari.

Una pausa e in questa pausa arrivano i rintocchi dell’orologio della piazza. Berta guarda il suo con gesto brusco del braccio. «Oddio –grida – è mezzogiorno e ho Betty nell’auto». È già in piedi, girata verso l’uscita. L’amica la guarda stupita ed esclama: «L’hai lasciata là sola!». Ma lo stupore di Corinna, Berta non lo coglie più, sta già correndo oltre il duomo. Arriva, apre lo sportello, e una vampata di calore l’investe. L’auto è un forno e Betty piange. Berta la prende in braccio: «Poverina, poverina, non piangere, non piangere, c’è qui la tua mammina che ti vuole tanto bene, tesoro tesoro».

sabato 10 settembre 2011

PRIMA DI TUTTO LA MORALITÀ

«Tutto è da moralizzare – grida il prof. G. C. nel microfono – ma per farlo bisogna avere polso fermo, coscienza pulita e non guardare in faccia nessuno. È per questo che vi chiedo di darmi il voto: io, modestamente, mi sento in grado di fare il moralizzatore». Sta parlando in una piazzetta di una borgata ai margini della città, in piedi su un tavolo da osteria. Davanti a lui ci sono diciotto persone, per lo più ragazzotti sfaccendati. Lo stanno ad ascoltare con svagatezza, in parte appoggiati a un muro, le mani in tasca, i baveri alzati per ripararsi dall'aria pungente. Qualcuno lo guarda con occhio strafottente, altri hanno sul viso espressioni annoiate, sonnacchiose.

Il prof. G. C. ha finito, scende dal tavolo con l'aiuto di un giovane, lo stesso che l'ha condotto qui con la propria utilitaria. È un rappresentante di macchine per cucire; il professore lo ha conosciuto un mese fa in casa di un comune amico e gli ha promesso che, se diventerà consigliere comunale, lo farà assumere in comune. Per questo motivo il giovane rappresentante sta trascurando il lavoro per mettere se stesso e l'automobile a disposizione del candidato G.C.

Sceso dal tavolo il professore si asciuga le lenti degli occhiali che si sono appannate. Si asciuga anche la fronte perché nel discorso ha messo molto impegno, «tutta l'anima», come dice lui commentandosi compiaciuto. «Vogliamo andare? – dice al suo accompagnatore – altrimenti viene tardi, i ragazzi mi aspettano». I ragazzi sono i suoi allievi. Il professore, 45 anni, insegna materie letterarie in un pubblico istituto. In questo periodo, con tutti i comizi che vuole fare, dovrebbe sempre chiedere dei permessi al preside. Ha superato l'ostacolo mettendosi d'accordo con gli alunni. «Voi state quieti – dice –come se io fossi qui, e se mi cercano rispondete che sono andato fuori un momento». Appena ha firmato il registro e le lezioni sono iniziate, esce dall'aula in punta di piedi e lascia la scuola passando attraverso il locale caldaia termosifone e un'uscita laterale. Balza sulla macchina del giovane che lo aspetta e ritorna a comizio concluso, in genere pochi minuti prima che suoni la campana. Con lo svolgimento del programma è maledettamente indietro. «Non vi preoccupate – dice agli alunni – appena sarò eletto vi porterò avanti in fretta».