martedì 21 agosto 2012

Isolato

Roberto Canta ha 43 anni e fa il tornitore. Lavora una settimana dalle 6 alle 13, la settimana dopo dalle 13 alle 20. Ha un carattere brusco, specialmente quando fa il turno della mattina, perché si deve alzare presto; rincasa di umore cattivo, trova la minestra scondita, salata o troppo cotta. Maria, sua moglie, non dice niente; guarda di sottecchi il figlio, Angelo, che ha sedici anni, e lui le risponde con un’altra occhiata significativa. Sono anni ormai che le cose vanno così. Col passar del tempo tra il marito e la moglie è sorta come una barriera che li tiene distanti. Non si dicono mai una parola tenera, non le ricordano più, né lui né lei.
Eppure non è che Roberto abbia un’altra donna, no, si comporta così unicamente perché questo è il suo animo. Si arrabbia per stupidaggini. Forse tutto dipende dal fatto che ha poca voglia di lavorare e il lavoro quotidiano, fisso, metodico, gli pesa e lo esaspera; senza tuttavia che egli abbia la forza e il coraggio di ribellarsi a questa costrizione e di abbandonare la famiglia per non doverla mantenere e andare a fare magari il barbone. Probabilmente, se vincesse una grossa lotteria e non dovesse più alzarsi presto al mattino per andare davanti al tornio o tornare la sera tardi, sarebbe un uomo cordiale e simpatico.
Tratta male anche il figlio, che invece è pieno di buona volontà e studia giorno e notte. Anzi, studia troppo e l’affaticamento lo esaurisce, il medico gli ha consigliato di prendersi po’ di riposo. «Non posso – dice – devo concludere gli studi». Sente la necessità di rendersi indipendente per sfuggire all’atmosfera paterna. A volte, quando suo padre lo sgrida per motivi stupidi, Angelo si alza di scatto e va in camera sua e si mette a piangere. Questa facilità al pianto è uno dei sintomi dell’esaurimento che lo debilita. La madre, appena può, va a consolarlo. Si abbracciano, stretti, e anche lei piange; Angelo è decisamente di qua dalla barriera che divide i genitori: è con la madre. A volte, in casa, quando loro due sono soli, parlano a lungo, come amici o forse più che amici, come complici. Parlano del futuro, di quando lui sarà medico. La madre si commuove. «Roberto – dice – sei la mia consolazione, guai se non avessi te». In questi discorsi non nominano l’assente e anche nei progetti futuri il Padre-marito è come se non esistesse. Poi lui torna, con il passo pesante, le mani sporche, la voce dura. Madre e figlio si guardano furtivamente. Sono al di qua di una barriera, oltre c’è un altro mondo, c’è l’asperità, la difficoltà, la contrarietà, la vita no.