venerdì 5 aprile 2013

A chi l'eredità

 
A passettini e senza fretta la signora Giustina Merli vedova Canali fa tutti i giorni una passeggiata intorno all’isolato. Curva com’è, si aiuta appoggiandosi all’ombrello che porta sempre con sé. Anche col cielo sereno, in piena estate, inconsciamente sarà per non dover ricorrere al bastone. È sola da 28 anni e ne ha 92. Nonostante l’età è abbastanza lucida, qualche volta legge il giornale. Non ha preoccupazioni di carattere finanziario, anzi, dispone di un buon reddito: la pensione del marito che era funzionario statale e gli affitti di un grande palazzo centrale avuto in eredità dal padre. Spende un’inezia rispetto a quello che incassa.
Abita in un appartamento di sei camere, pure di sua proprietà, lo stesso in cui abitò col marito e il figlio, che era farmacista e che morì in un incidente ferroviario. Le finestre sono sempre socchiuse, sicché la casa, già poco luminosa per le pareti annerite, assume un aspetto tetro. Poltrone e sedie sono tutte ricoperte da fodere bianche, che nel buio risaltano e paiono trasformarsi in fantasmi a consesso. Sono anni ormai che la vedova Canali non si mette a sedere su una poltrona o una sedia, per non rovinarle. Si siede su uno sgabello in un angolo di un salotto, con la schiena appoggiata al muro. Una domestica al mattino va a farle da mangiare e a sbrigare le faccende più grosse in cucina e nella camera in cui dorme, tutti gli altri vani restano sempre chiusi.
La vedova Canali ha paura dei ladri, quindi evita di tenere il denaro in unico posto. In casa sua ci sono soldi fra i piatti, nelle scatole delle scarpe, sotto il lavandino, fra la biancheria. Lei li nasconde poi se ne dimentica, spesso capita che debba pagare qualcosa e non si ricordi dove li ha messi. È probabile che siano dimenticanze istintive nell’illusione di non dover pagare. La Canali ha due nipoti, figli di suo fratello col quale è in disaccordo da epoca lontana. Da una decina d’anni si è posta il problema dell’eredità. La prima decisione fu di passare sopra le divergenze fraterne e di lasciare eredi i due giovani. Ma due mesi dopo ci ripensò: ritornò dal notaio e gli consegnò un altro testamento, a favore della parrocchia. Fu il primo di una lunga serie di cambiamenti. Da allora di testamenti ne ha fatti più di quindici. I favori sono rimbalzati anche sull’ospedale, su due coniugi sventurati la cui storia era stata raccontata dal giornale, ancora sui nipoti e una domestica, quest’ultima diseredata per l’assenza di un giorno.
I coinquilini sono a conoscenza di questi suoi tormenti perché lei li racconta come volesse averne dei suggerimenti. E allora accade che qualcuno abbia per lei molta attenzione e sia pronto ad offrirle servigi, ma chiaramente lei non si lascia influenzare: ad esempio, per principio non ammette in casa nessuno all’infuori della donna di servizio. A volte, chiacchierando sulle scale coi vicini, parla con tristezza della propria solitudine e della morte che sta per venire. Di solito conclude: «Mi dispiace andar via, perché si sta bene nella mia casa, c’è tanto silenzio e poi ho ancora tutte le poltrone nuove».