È rozzo, sgraziato nel dire e nel
fare, incapace di una parola dolce, d’affetto. Lei, Carlina, è di
ben altro temperamento. Quando lavorava da sarta, sola, ancora
nubile, non faceva altro che sognare. Sognava un uomo gentile, pieno
di premure. Cosa importa se aveva già 48 anni? Niente; si può esser
poeti anche a cent’anni, e lei lo era. Poi capitò lui, Contardo, a
farsi fare una giacca. Ci andò per ordinarla, ci andò per provarla
e poi per ritirarla. Quest’ultima volta le disse, così a
bruciapelo: «Lei, Carlina, sa che io, qui in paese, sono
molto stimato, ho un negozio di ferramenta, mio, ben avviato. Sono
solo, lo so che a 55 anni è un po’ tardi per sposarsi, ma io
sarei disposto. Cosa ne pensa? Potremmo vivere in compagnia, si
sta così male da soli».
Carlina aveva preso una settimana di
tempo per pensarci, poi aveva acconsentito. Si erano sposati due
mesi dopo. Adesso sono insieme da quattro anni, lei ne ha 52, lui 59.
A sentire i vicini una coppia molto affiatata, lavorano tutta la
settimana, lei casa e qualche volta ad aiutare il marito in negozio,
lui sempre dietro il banco. La domenica mattina vanno a messa
insieme e, nel pomeriggio, lui va a fare la solita partita a scopone,
in osteria.
Ma lei, Carlina, non è contenta.
Avrebbe voluto ben altro. Quand’era nubile e passava ore a testa
china a cucire, sperava di trovare un uomo che le fosse sempre
intorno a dirle qualcosa, cara qui, cara là, cara come ti
voglio bene. Ma allora, se la vita coniugale è così, con
un uomo che tace sempre, che apre bocca solo per dire «fatti
in là altrimenti non passo», «è pronta questa
cena?», oppure «quand’è che ti decidi a venirmi a
dare una mano nel negozio, non sai che oggi è giorno di mercato?»,
allora era molto meglio stare da soli, almeno si poteva fantasticare
in libertà e c’era la possibilità che un sogno bellissimo si
avverasse.
«Contardo – propone lei in un
tentativo di dirozzamento del marito --, cosa ne dici se quest’estate
andassimo a fare un viaggetto? Non ci siamo mai mossi, non abbiamo
fatto nemmeno il viaggio di nozze». «Sarai mica matta,
e il negozio? Qui c’è gente che lavora anche d’estate».
Carlina scuote la testa: già l’immaginava che avrebbe risposto
così. «Piuttosto che pensare alle ferie – dice Contardo – metti un po’ a posto, nella retrobottega, le pompe per il
verderame che sono arrivate questa mattina».
È salita sulla scaletta, ha sistemato
le pompe sullo scaffale che è dietro la porta. Questa pompa è messa
male, se l’uscio si apre completamente va a sbattere contro il
manico che fa da leva; la pompa si ribalta e cade. Le sembra di
vedere la scena: un piccolo colpo qui e questa ferraglia pesante si rovescia e precipita. Dio, cade sulla testa di suo marito. Le
viene quasi da ridere, perché se l’immagina steso a terra,
forse svenuto, anzi no, addirittura morto. Oddio, che disgrazia! Lei
vedova, sola. Cosa farà, rimarrà qui in negozio o tornerà a fare
la sarta? Comunque, in una maniera o nell’altra, potrà riprendere
i suoi sogni come una volta. Certo bisognerebbe proprio cercare di
metterlo meglio questo materiale, perché così è davvero
pericoloso, ma adesso è tardi, lo farà domani. E poi lui la chiama,
c’è gente da servire.
Scende dalla scaletta, va in negozio:
ci sono tre clienti, saranno contadini, ne hanno tutto l’aspetto;
è diventata esperta nel giudicare la clientela, anche se non è
sempre dietro il banco. Ma che vita triste questa del negoziante di
ferramenta: almeno ci fosse da vendere dei fazzoletti di seta. Usciti
i clienti, Carlina pensa che è meglio vada a finire il lavoro che
stava facendo. Quando è dentro guarda in alto per vedere come può
fare. Anche il marito, approfittando del momento libero, decide di
andare a dare un’occhiata e apre l’uscio. Lo fa con decisione e
accade esattamente quello che lei ha previsto pochi minuti fa: il
manico della pompa, urtato, fa cadere tutto il materiale che è
stato malamente accatastato: precipita e colpisce proprio sulla
testa la povera Carlina che, travolta, si accascia con un gemito
ai piedi del marito sbigottito. Quello che segue è tutto dramma.
In ospedale tre giorni d’inferno: prima la danno per spacciata, poi
lasciano trapelare un filo di speranza, infine la conclusione letale.
Contardo è qui che piange, in
cucina, solo. «Era tutta la mia vita – mormora tra i
singhiozzi – poverina. Adesso cosa farò della mia esistenza. Avevo
scoperto la bellezza della compagnia, la bellezza del volersi bene.
Povero me. Era una donna meravigliosa, sicuramente introvabile.
Avrei dovuto tenerla nella bambagia, sempre a casa, ai suoi aghi, alle sue
forbici, e accontentarla ogni tanto, magari con un viaggettino. Oh
Dio, sono di nuovo solo: brutto, brutto destino».
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