lunedì 25 maggio 2015

Riconoscenza tardiva

È rozzo, sgraziato nel dire e nel fare, incapace di una parola dolce, d’affetto. Lei, Carlina, è di ben altro temperamento. Quando lavorava da sarta, sola, ancora nubile, non faceva altro che sognare. Sognava un uomo gentile, pieno di premure. Cosa importa se aveva già 48 anni? Niente; si può esser poeti anche a cent’anni, e lei lo era. Poi capitò lui, Contardo, a farsi fare una giacca. Ci andò per ordinarla, ci andò per provarla e poi per ritirarla. Quest’ultima volta le disse, così a bruciapelo: «Lei, Carlina, sa che io, qui in paese, sono molto stimato, ho un negozio di ferramenta, mio, ben avviato. Sono solo, lo so che a 55 anni è un po’ tardi per sposarsi, ma io sarei disposto. Cosa ne pensa? Potremmo vivere in compagnia, si sta così male da soli».
Carlina aveva preso una settimana di tempo per pensarci, poi aveva acconsentito. Si erano sposati due mesi dopo. Adesso sono insieme da quattro anni, lei ne ha 52, lui 59. A sentire i vicini una coppia molto affiatata, lavorano tutta la settimana, lei casa e qualche volta ad aiutare il marito in negozio, lui sempre dietro il banco. La domenica mattina vanno a messa insieme e, nel pomeriggio, lui va a fare la solita partita a scopone, in osteria.
Ma lei, Carlina, non è contenta. Avrebbe voluto ben altro. Quand’era nubile e passava ore a testa china a cucire, sperava di trovare un uomo che le fosse sempre intorno a dirle qualcosa, cara qui, cara là, cara come ti voglio bene. Ma allora, se la vita coniugale è così, con un uomo che tace sempre, che apre bocca solo per dire «fatti in là altrimenti non passo», «è pronta questa cena?», oppure «quand’è che ti decidi a venirmi a dare una mano nel negozio, non sai che oggi è giorno di mercato?», allora era molto meglio stare da soli, almeno si poteva fantasticare in libertà e c’era la possibilità che un sogno bellissimo si avverasse.
«Contardo – propone lei in un tentativo di dirozzamento del marito --, cosa ne dici se quest’estate andassimo a fare un viaggetto? Non ci siamo mai mossi, non abbiamo fatto nemmeno il viaggio di nozze». «Sarai mica matta, e il negozio? Qui c’è gente che lavora anche d’estate». Carlina scuote la testa: già l’immaginava che avrebbe risposto così. «Piuttosto che pensare alle ferie – dice Contardo – metti un po’ a posto, nella retrobottega, le pompe per il verderame che sono arrivate questa mattina».
È salita sulla scaletta, ha sistemato le pompe sullo scaffale che è dietro la porta. Questa pompa è messa male, se l’uscio si apre completamente va a sbattere contro il manico che fa da leva; la pompa si ribalta e cade. Le sembra di vedere la scena: un piccolo colpo qui e questa ferraglia pesante si rovescia e precipita. Dio, cade sulla testa di suo marito. Le viene quasi da ridere, perché se l’immagina steso a terra, forse svenuto, anzi no, addirittura morto. Oddio, che disgrazia! Lei vedova, sola. Cosa farà, rimarrà qui in negozio o tornerà a fare la sarta? Comunque, in una maniera o nell’altra, potrà riprendere i suoi sogni come una volta. Certo bisognerebbe proprio cercare di metterlo meglio questo materiale, perché così è davvero pericoloso, ma adesso è tardi, lo farà domani. E poi lui la chiama, c’è gente da servire.
Scende dalla scaletta, va in negozio: ci sono tre clienti, saranno contadini, ne hanno tutto l’aspetto; è diventata esperta nel giudicare la clientela, anche se non è sempre dietro il banco. Ma che vita triste questa del negoziante di ferramenta: almeno ci fosse da vendere dei fazzoletti di seta. Usciti i clienti, Carlina pensa che è meglio vada a finire il lavoro che stava facendo. Quando è dentro guarda in alto per vedere come può fare. Anche il marito, approfittando del momento libero, decide di andare a dare un’occhiata e apre l’uscio. Lo fa con decisione e accade esattamente quello che lei ha previsto pochi minuti fa: il manico della pompa, urtato, fa cadere tutto il materiale che è stato malamente accatastato: precipita e colpisce proprio sulla testa la povera Carlina che, travolta, si accascia con un gemito ai piedi del marito sbigottito. Quello che segue è tutto dramma. In ospedale tre giorni d’inferno: prima la danno per spacciata, poi lasciano trapelare un filo di speranza, infine la conclusione letale.

Contardo è qui che piange, in cucina, solo. «Era tutta la mia vita – mormora tra i singhiozzi – poverina. Adesso cosa farò della mia esistenza. Avevo scoperto la bellezza della compagnia, la bellezza del volersi bene. Povero me. Era una donna meravigliosa, sicuramente introvabile. Avrei dovuto tenerla nella bambagia, sempre a casa, ai suoi aghi, alle sue forbici, e accontentarla ogni tanto, magari con un viaggettino. Oh Dio, sono di nuovo solo: brutto, brutto destino».

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