Una giornata molto piena, su e
giù per paesi dell'Emilia a visitare sportelli bancari, a discutere
con i direttori dei problemi che la banca deve affrontare in tempo di
crisi. Ma il suo incarico ispettivo è di soddisfazione; e altro
piacere gli viene dal poter viaggiare su questa automobile veramente
confortevole. Era da tempo che ne desiderava una con il
condizionatore. Adesso ce l'ha e può constatare che il caldo, mentre
guida, non è più un problema. Siamo nel pieno d'agosto: se avesse
viaggiato con la vettura che aveva prima, oggi avrebbe bagnato le
classiche sette camicie e invece è fresco e riposato, per nulla
preoccupato di dover affrontare, adesso che è sera, tanti altri
chilometri per attraversare l'Appennino. L'ha da appena un mese
questa auto: è di seconda mano, con un anno di vita e cinquantamila
chilometri. Sembrano tanti, ma per una vettura di questo tipo,
tedesca e di gran marca, non sono nulla. Con questi motori, dice chi
se ne intende, si possono fare anche trecentomila chilometri prima di
revisionarli.
È venerdì, inizio del fine
settimana. Il viaggio che il dott. Sisto Verzuoli sta per affrontare
come appendice al lavoro della giornata è motivo di ulteriore
soddisfazione perché lo porterà sulla spiaggia della Versilia dove
sono in vacanza sua moglie e i due bambini. Godrà di due giorni di
intensa, lieta partecipazione alla vita familiare, per poi riprendere
servizio in attesa delle ferie che gli toccheranno in settembre. Il
percorso che sta affrontando è per lui di particolare interesse. Sul
primo tratto appenninico, da Maranello all'Abetone, lo aveva portato
in gita molti anni fa, quando era ancora ragazzo, suo padre,
desideroso di rivedere i luoghi dove aveva combattuto la guerra
partigiana. Con l'inoltrarsi della sera il buio non gli consentirà
di ammirare il paesaggio, ma gli fa piacere ugualmente sapere che su
questo territorio il suo caro papà - che purtroppo non c'è più,
morto da un anno - aveva vissuto un periodo tra i più incisivi della
sua vita, per i pericoli, le paure e le speranze.
Ora, con la pianura ormai
alle spalle, la strada incomincia a salire e la collina presenta le
sue quinte successive che sfumano nella bruma. Qua e là si vedono le
chiazze bianche dei calanchi, avvallamenti classici di questa zona di
terra argillosa che, corrosa dalla pioggia e dal vento, si denuda di
ogni vegetazione offrendo alla vista dirupi scoscesi e rugosi.
Verzuoli è attento alla strada ma riesce anche a dare rapide
occhiate al paesaggio; può rallegrarsi constatando che il buio della
notte non avanza, contrastato dalla luminosità della luna che è
alta e piena. Benissimo: proprio un viaggio di grande piacevolezza.
Tra l'altro c'è un traffico scarso, lui può ammirare la suggestiva
scenografia che lo circonda e anche ripensare ai racconti che gli
aveva fatto suo padre durante quella lontana gita. Una notte, mentre
in pattuglia attraversavano la statale per passare da una vallata a
un'altra, erano stati sorpresi dai fari di un camion sbucato da una
curva. Era carico di soldati tedeschi, che avevano incominciato a
sparare prima ancora che l'automezzo si arrestasse. I partigiani si
erano sparsi alla ricerca di ripari da dove avevano risposto al
fuoco; lo scontro era durato una ventina di minuti, poi i tedeschi
erano ripartiti e da entrambe le parti non c'erano state perdite.
L'auto fila via liscia,
silenziosa, il motore è dolce, sensibilissimo al lieve tocco
sull'acceleratore. Ma poi, d'improvviso, che cosa succede? Un colpo
secco, sotto il cofano, qualche secondo di sferragliamento e infine
più nulla. Il motore s'è arrestato e anche la vettura, per la
salita, si ferma in fretta. Accidenti, dice fra sé, esterrefatto,
Verzuoli. Ripensa ai rumori uditi e gli sovviene che possa essersi
rotta una catena. La catena della distribuzione? Se esiste: non lo
sa, non se ne intende. Quello che sa è che è rimasto in panne.
Infatti prova un po’ di volte a far girare il motorino
d'avviamento ma il motore si rifiuta di ripartire. La tanto decantata
vettura, eccezionale per la marca e la nazionalità, capace dei
trecentomila chilometri, l'ha piantato in mezzo alla montagna, una
terra che fino a qualche minuto fa gli era simpatica e cara e che
adesso già vede come un odioso luogo di angustie. Che fare? Intanto
bisogna sfruttare la strada in pendenza e lasciare andare un po'
indietro l'auto per metterla al sicuro sullo spiazzo che poco prima
aveva notato a lato della strada. Poi dovrà telefonare all'ACI,
sempre che l'ACI a quest'ora faccia servizio, per chiedere
l'intervento di un carro attrezzi. Ma dove trovare un telefono?
Perché è senza cellulare: ha una carta ricaricabile, proprio oggi
ha scoperto che malauguratamente gli è finito il credito e non ha
avuto il tempo per provvedere.
Dunque, eccolo qui Sisto
Verzuoli, all'inizio della notte, su una strada dell’Appennino,
praticamente come nel deserto, di fianco a un'auto che non va più e
con tanti chilometri ancora da fare. E il brutto è che non passa
quasi nessuno; sembra impossibile, d'agosto, in epoca di vacanze.
Arriva un motociclista, inutile fargli cenno; poi un'auto che lo
illumina e lui alza una mano con gesto timido, con risultato nullo.
In dieci minuti transitano sei vetture e un camion, tre in salita e
quattro in discesa, ma dei conducenti non uno che risponda alla sua
richiesta. È preoccupato. Bisogna decidersi: farà altri tentativi
per cinque minuti, poi s'incamminerà in discesa per arrivare fino a
Maranello che dista, forse, sei o sette chilometri.
E così, dopo altre vane
richieste ad automobilisti frettolosi e insensibili, chiude l'auto e
incomincia a scendere. Dopo pochi passi sente le prime gocce. Un
lampo, poi il tuono. C’è la luna, bella, limpida, ma in giro si
vedono anche nuvole nere, certamente è in arrivo un temporale, così
dovrà anche bagnarsi: una sera proprio scalognata. Due minuti e poi
vede arrivare un camioncino carico di rottami di ferro; si volta e
prontamente alza il braccio, l’automezzo si ferma.
«Per favore» dice Verzuoli
rivolgendosi al conducente, «potrebbe aiutarmi? Il mio cellulare non
funziona e devo chiedere l'intervento di un carro attrezzi». Alla
guida c'è un uomo magro, dalla faccia scavata, i capelli bianchi, ma
forse ancora abbastanza giovane. Ascolta e tace, è come
soprappensiero. Infine risponde: «Io non ho un cellulare. Stavo
scendendo ma, visto che si sta mettendo a piovere, tutto sommato è
meglio se cambio programma: torno a casa, e lei telefona dal mio
fisso». Gli apre lo sportello di destra e lo fa salire. «Stavo
andando a Maranello, nel giardino di un mio amico, un calzolaio, per
mangiare con lui l’anguria che è lì tra i suoi piedi; invece la
mangerò con mia moglie mentre lei telefona».
«È molto gentile, mi scuso
per il disturbo».
«No, va bene così, non si
preoccupi» dice l'uomo. E aggiunge: «Questo camioncino ha più
anni lui dei rottami caricati nel cassone». Verzuoli cerca di
sistemarsi sul sedile ma ha difficoltà a trovare il posto per i
piedi. «Adesso giriamo e attacchiamo con calma la salita. Lei si
metta l’anguria tra le gambe così la tiene ferma. Attento che c’è
anche il coltello. Ah, si è già sistemato? Bene, allora andiamo».
Avvia il motore, partono in
salita. Dice il ferravecchi: «È brutto rimanere a piedi in mezzo a
una strada, lo so bene: questo mio vecchio trabiccolo mi ci ha
lasciato più di una volta». Verzuoli ringrazia ancora, poi
aggiunge: «Non è serata buona neanche per lei; sarebbe stato
piacevole mangiare l'anguria nel fresco della sera con un amico».
La strada continua a salire,
poi c'è un bel tratto pianeggiante e il motore dimostra di
rallegrarsene schiarendo un po' il suo rombo roco. Ai lati della
statale ogni tanto si incontra un gruppetto di case o una villa
isolata.
«Tra poco arriviamo. Vede
sulla destra quella chiazza chiara del calanco? La mia casa è là
sotto. C'è una valletta con un bello spiazzo che io ho occupato con
il deposito dei rottami di ferro. Una volta al mese viene un camion
con la gru e il camionista si fa il carico da solo. L'unico problema
è che la stradina è stretta. Per il resto va tutto bene: bisogna
accontentarsi, anche tenendo conto che la casa è abusiva. Se l'era
fatta un muratore, anni fa, lavorando il sabato e la domenica; alla
fine ha cambiato idea e me l'ha ceduta per poco. Ho avuto un po' di
grane, il tetto è basso e manca la grondaia; però è sicura perché
le finestre sono protette da inferriate».
Sono arrivati. ll ferravecchi
scende e va, nel pieno della luce dei fanali, ad aprire la porta.
Verzuoli lo guarda: è allampanato, indossa jeans sporchi e
stracciati e una canottiera gialla, pure vistosamente macchiata.
Mentre spinge l'uscio si volta verso il camioncino e dice qualcosa a
proposito dell'anguria, che è da portar dentro, e altre parole che
Verzuoli non capisce perché è distratto e impressionato dalla vista
del suo sguardo alla luce dei fari: gli occhi sono neri, penetranti e
duri, con un'espressione assolutamente incongruente con il carattere
che egli si era figurato ascoltando i bonari accenni all'anguria e
all'amicizia con il calzolaio. Una spiacevole sorpresa per Verzuoli
che istintivamente si guarda intorno come se cercasse un conforto,
ma dalla vista di quel paesaggio brullo, spettrale sotto il poco di
luce lunare che è rimasta, ottiene solo un ulteriore senso di
disagio.
L'uomo si avvicina a Verzuoli
che è sceso e sta di fianco allo sportello ancora aperto. Si china
all'interno della cabina e si risolleva tenendo fra gli avambracci la
grossa anguria. Dice: «Per favore, lei prenda il coltello. Attento
però, lo afferri per il manico perché la lama è tagliente. Poi
entriamo».
E così fa Verzuoli. Si
raddrizza con il coltello in mano e si gira per seguire l'uomo che
sta entrando. Il contatto con l'oggetto gli dà una sensazione
spiacevole perché sente il manico umido, appiccicaticcio. Entrano. È
una cucina con al centro il tavolo, sulla destra una credenza, sulla
sinistra i fornelli con la bombola, l'acquaio senza rubinetto con un
secchio appeso a un gancio. Di fronte alla porta di ingresso c'è un
altro uscio.
«Posi il coltello sulla
tavola» dice il ferravecchi mentre depone l'anguria nel lavello. «Il
telefono è nella camera sul comodino; c'è anche la guida. Prego,
s'accomodi» e gli fa cenno di avviarsi mentre lui apre la credenza
per tirar fuori i piatti. Verzuoli esita, l'occhio gli è caduto
sulla lama del coltello che è stretta e lunga e sembra macchiata,
come se l'anguria fosse già stata tagliata; poi apre l’uscio
della camera, è illuminata con la fioca luce di una lampadina che
penzola al centro del soffitto: si vede, di fronte alla porta, una
parte del letto.
«Prego, prego» insiste
l'uomo, e allunga il braccio nella direzione della stanza per far
entrare l'ospite; poi improvvisamente retrocede d'un passo e chiude
la porta. Verzuoli non se ne accorge perché sta cercando con uno
sguardo panoramico il comodino. Non lo vede e intanto sente alle sue
spalle scattare una serratura. Si gira allarmato e afferra la
maniglia deciso ad uscire perché di quella casa e di quell'uomo ne
ha abbastanza. Ma la porta è bloccata.
«Apra, apra» grida. «Che
cosa fa, è impazzito?» Batte i pugni sull'uscio, ma l'uomo non
risponde. Verzuoli si porta le mani al capo. C'è la finestra, aperta
sulla notte, ma con l'inferriata. E il telefono, c'è o non c'è?
Non si vede. Va verso l'altro lato del letto per cercare meglio ma,
come arriva al fondo, una visione lo blocca: vede spuntare, distesi
sul pavimento, due piedi scalzi. Si lascia sfuggire «Dio, Dio!»
Esita un momento ma poi si fa coraggio, perché vuole sapere fino a
che punto è orribile questa verità nella quale è precipitato. I
piedi sono di una donna, evidentemente la moglie del ferravecchi, con
la gola squarciata; una pozza di sangue si è allargata sulle
mattonelle. Grida «Apri, apri, vigliacco, assassino, apri, apri!»
Si avventa contro la porta, la percuote con pugni e calci. Va alla
finestra, urla, impreca. Ma fuori c'è solo silenzio. E là di fronte
una parete di montagna che gli pare mostruosa.
Il
ferravecchi è dentro al camioncino col cellulare in mano. Dice
concitatamente: «Maresciallo, che tragedia, me l'hanno ammazzata, la
mia povera moglie, me l'hanno sgozzata. Quando sono arrivato
l'assassino aveva ancora il coltello in mano e sono riuscito a
disarmarlo e a chiuderlo nella camera. È là che grida, corra subito
a prenderlo, prima che abbatta la porta e scappi. Che tragedia,
maresciallo. Corra, corra».
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