martedì 3 aprile 2012

La gioia del recupero



La lunga zimarra grigia lo fa ancora più magro, slanciato. Il volto scarno è dominato dagli occhi verdi che si muovono con una vivacità giovanile. Gli anni non sono più pochi, forse oltre i 70, ma lo slancio che è nell’anima e in ogni gesto del corpo è carico di una forza e di una vitalità che sono ancora ben lontani dall’età avanzata.
Angelo D.B. è un artigiano del legno, restauratore di mobili antichi. Passa i suoi giorni nel cortile di una vecchia casa dove ha la bottega. Il suo laboratorio è sempre pieno di pezzi da riparare, c’è libero soltanto un piccolo spazio intorno al bancone da lavoro. Quando la riparazione e la stagione lo consentono, lavora oltre la soglia della bottega, all’aria aperta. La cultura in fatto di stili se l’è conquistata a poco a poco, facendo dapprima il garzone, da ragazzino, e poi l’aiuto falegname e infine l’artigiano in proprio. Nello scaffale degli attrezzi ha dedicato un ripiano ai volumi dei mobili d’arte. Assieme alla conoscenza teorica ha approfondito, con maestria, quella pratica.
A volte gli portano da riparare mobili antichi in sfacelo, rosi dai tarli e dall’umidità, o privi addirittura di qualche parte integrante. Per lui ogni nuovo arrivo è sempre una festa, non perché pensi al guadagno che potrà venirgli dal restauro, ma per la gioia che esso gli procurerà. Le mani di Angelo, ossute e ruvide, incominciano a palpare il legno, i polpastrelli si soffermano sugli intarsi e sugli intagli, sui rilievi delle cornici: una perlustrazione che sembra dare all’artigiano un voluttuoso piacere; può ricordare anche un medico che palpa il malato. Poi Angelo incomincia a illustrare l’oggetto. Dice epoca, zona di origine, qualità dei legni, dice se il costruttore lavorò bene, benissimo o con trascuratezza. Descrive come devono essere ricostruite le parti andate in malora, e se il cliente non apprende con facilità, corre allo scaffale, ne toglie un libro, lo apre a una certa pagina, si serve di una fotografia per spiegare meglio. Parla con fervore del nuovo lavoro, si sente che già pregusta il piacere di ricreare quello che è andato perduto, di riportare nella giusta luce quello che il tempo ha imbruttito.
Fa tutto da solo, Angelo D.B. «I giovani d’oggi non sono adatti per questo mestiere – dice–. Vogliono l’officina, dove si fanno cose automatiche che lasciano libero il pensiero alla fantasia per pensare alle corse in motocicletta che faranno all’uscita dal lavoro. Qui, invece, la testa bisogna tenerla ai mobili, perché non si può lavorare soltanto di mano». È un artigiano all’antica, una razza che, purtroppo, si va estinguendo. Con la sua competenza in materia potrebbe vivere da signore facendo il commerciante, l’antiquario. A chi gli accenna una simile possibilità, risponde con un gesto secco della mano. «No, no – dice–. Non potrei, per comperare bene, dire che un mobile è brutto quando invece so che è bello e pregiato e non potrei, per vendere a tutti i costi, decantarne uno falso o mal fatto o scarsamente autentico». Gli piace starsene in pace nella sua bottega, mettere mano agli arnesi, modellarsi i pezzi da sostituire, via via sentire sotto le sue mani il mobile rivivere a nuova vita, salvarlo.

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